Una toppa al caso De Luca

Non andava candidato, dice il giurista Gianluigi Pellegrino: adesso o si vota, o si nomina un altro, ma lui non può insediarsi

Vincenzo De Luca (ANSA/CIRO FUSCO)
Vincenzo De Luca (ANSA/CIRO FUSCO)

Gianluigi Pellegrino, avvocato e noto esperto di diritto amministrativo, ha scritto su Repubblica che secondo lui Vincenzo De Luca, neo-eletto presidente della regione Campania, non potrà insediarsi a causa della legge Severino. De Luca è stato condannato in primo grado per abuso di ufficio, cosa che per la legge Severino provoca la sospensione immediata dall’incarico. In questi giorni si è però molto discusso su come debba essere applicata la legge nel caso di un amministratore eletto ma non ancora insediato: De Luca ha vinto le elezioni per la presidenza regionale in Campania solo tre giorni fa.

Pellegrino ha scritto un parere opposto rispetto a quanto detto ieri in un’intervista a Repubblica da Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, secondo cui la legge Severino nel caso di De Luca – cioè di una condanna in primo grado, non definitiva – agisce come una “sospensione” e non come una “decadenza”. Cantone dice che De Luca dovrà avere per legge almeno il tempo di formare la giunta e nominare un vice-presidente a cui affidare l’incarico, in attesa del processo di appello del suo caso. Pellegrino interpreta però la vicenda in maniera diversa: ha scritto che De Luca non può compiere alcun atto amministrativo, perché la legge Severino è già stata interpretata come una specie di decadenza dall’incarico sia dalla Corte Costituzionale sia dalla stessa Avvocatura di Stato in simili casi precedenti, meno noti. Pellegrino ha scritto che in sostanza le possibili soluzioni sono due: «evitare nuovo caos, e tornare alle urne» oppure scegliere «[una persona con] una funzione vicaria coerente con l’esito del voto (a esempio il consigliere anziano di maggioranza), ma certo non scelta proprio da De Luca».

Ogni giorno che passa il caso Campania si rivela un gran pasticcio istituzionale. E la soluzione che si ipotizza è in realtà tutt’altro che scontata. Si dice che De Luca possa insediarsi, nominare la giunta e solo dopo essere sospeso per gli effetti della legge Severino: a quel punto la guida della Regione sarebbe assicurata dal vicepresidente scelto dallo stesso De Luca. Ma che le cose non stiano così, lo dicono le parole della Corte costituzionale: “È indubbio che la sospensione obbligatoria… integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del Presidente che gli preclude l’esercizio delle attribuzioni connesse alla carica… con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto”. Del resto i provvedimenti già assunti anche da Renzi in applicazione della legge Severino hanno rispettato pacificamente questi principi. Vale per tutti il caso di un amministratore regionale coinvolto nello scandalo Mose, dove Palazzo Chigi ha dato atto che la interdizione retroagisce al momento in cui la incompatibilità si è determinata.

Ma sono decine gli atti di identico tenore anche di precedenti premier. Del resto si tratta di misure (sospensione per sentenze di primo grado) per nulla nuove nel nostro ordinamento. Per questo ci sono molti precedenti e la Consulta ha sancito quei principi già nel 2008. La Severino ha solo aggiunto l’abuso di ufficio nella considerazione che può derivare anche da grave distorsione della pubblica funzione.

È ancora Palazzo Chigi — attraverso l’Avvocatura dello Stato — ad aver evidenziato come a nulla valga lamentare che con l’automatica sospensione, gli organi elettivi possano risultare decapitati o paralizzati, determinando il loro scioglimento. E ciò perché nessun inconveniente può ostacolare l’applicazione di una legge volta a interdire ogni contatto tra la funzione pubblica e la persona incompatibile.

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