Vincenzo De Luca, prima di oggi

Chi è il nuovo governatore della Campania, qual è il guaio che incombe sul suo insediamento, e cosa ha fatto finora

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Vincenzo De Luca è diventato presidente della regione Campania dopo aver battuto domenica alle elezioni il suo avversario appoggiato dal centrodestra, il presidente uscente Stefano Caldoro. Di lui si è parlato a lungo prima delle elezioni e probabilmente si continuerà a parlarne molto nelle prossime settimane. Soprattutto a causa di una complicata questione giudiziaria: De Luca rischia infatti di essere sospeso dalla carica di presidente al momento stesso del suo insediamento. Inoltre, De Luca è un personaggio ammirato da molti per la sua amministrazione ventennale della città di Salerno e altrettanto criticato per i suoi modi autoritari, per le inchieste giudiziarie che lo riguardano e per i toni molto spicci, a volte anche volgari e offensivi, che utilizza nei suoi discorsi. In poche parole, De Luca, pur non essendo giovane, è uno dei personaggi politici più complessi e notevoli prodotti dalla politica meridionale negli ultimi anni.

La questione della sospensione
Vincenzo De Luca ha 66 anni e fa politica da quando ne aveva venti. È nato in provincia di Potenza, nel 1949, ma si è trasferito quasi subito a Salerno. Si è iscritto al PCI da giovane, ha lavorato come sindacalista nel settore agrario e nel 1990 ha avuto i primi incarichi nell’amministrazione comunale della sua città. Nel 1993 è stato eletto sindaco di Salerno e lo è rimasto per quasi vent’anni fino al febbraio di quest’anno, con una sola pausa di cinque anni nel mezzo. Nel 2010 si era già candidato alle elezioni regionali con il PD, ma era stato duramente sconfitto da Stefano Caldoro del Popolo della Libertà, che ha poi sconfitto domenica scorsa.

11377178_963298110388883_2536641639897909452_nLa foto è del 1980, seduti al tavolo ci sono Antonio Bassolino ed Enrico Berlinguer, De Luca è l’uomo con i baffi in piedi a destra.

La storia per cui De Luca rischia di non potersi insediare è del 2010, quando fu condannato a un anno di carcere per abuso di ufficio. La condanna rende applicabile la cosiddetta legge Severino, che obbliga il presidente del Consiglio a disporre la sua sospensione da ogni incarico pubblico per almeno 18 mesi. Non è chiaro che cosa accadrebbe alla Campania se il suo presidente venisse sospeso ancora prima di aver il tempo di nominare una giunta e quindi un vice che lo possa sostituire. Forse non verremo mai a saperlo: la procedura di sospensione prevede infatti che i giudici avvertano il prefetto di Salerno del “problema” di De Luca, che il prefetto a sua volta faccia una comunicazione ufficiale al ministero dell’Interno, che insieme al presidente del Consiglio sarà obbligato a ordinare la sospensione di De Luca. Questi passaggi dovrebbero dare il tempo a De Luca di formare una giunta e nominare un vicepresidente in grado di guidare la regione nel periodo della sospensione. Una volta sospeso, De Luca ha già annunciato che farà ricorso al tribunale ordinario – e non più al TAR, come fece già da sindaco di Salerno – per chiedere la sospensione degli effetti della legge Severino in attesa che la Corte Costituzionale si esprima sulla legge, accusata da molti di violare la Costituzione. Non si sa come andrà a finire ma secondo gran parte dei giornali e degli osservatori, il tribunale impiegherà almeno un mese per far sapere a De Luca se accetterà o meno la sua richiesta. Nel migliore dei casi, quindi, la regione sarà governata dal vice di De Luca per almeno un mese e forse di più. Se invece De Luca dovesse decadere, la Campania dovrà tenere nuove elezioni.

La condanna
Il tribunale di Salerno riassume la faccenda del 2010 in una decina di pagine contenute nelle motivazioni della sentenza di condanna (un documento che lo stesso De Luca ha pubblicato sul sito del comune di Salerno). Nel 2008, all’epoca dell'”emergenza rifiuti” in Campania, De Luca era stato nominato dal governo commissario per la gestione del rifiuti nella provincia di Salerno e in virtù della sua carica aveva deciso di far studiare a un gruppo di lavoro la progettazione di un termovalorizzatore. Nello spazio di poche settimane nel marzo del 2008, De Luca aveva emanato una serie di ordinanze in cui delineava le funzioni e la composizione di questo gruppo di lavoro. In una delle ultime ordinanze De Luca aveva nominato “project manager” del gruppo il capo del suo staff, Alberto Di Lorenzo. Un anno dopo, nel febbraio 2009, terminati i lavori di progettazione preliminare (il termovalorizzatore poi non si è fatto), il comune aveva deliberato il pagamento degli incentivi per il lavoro svolto e Di Lorenzo aveva ricevuto un premio netto in busta paga per un anno di lavoro: circa ottomila euro.

Secondo i giudici la nomina di Di Lorenzo era stata un abuso d’ufficio, illegittima: Di Lorenzo e un altro membro del gruppo di lavoro sono stati quindi condannati insieme a De Luca. In quanto commissario, De Luca aveva il diritto di creare il gruppo di lavoro e di nominarne i componenti, ma avrebbe dovuto farlo all’interno di alcuni criteri determinati dalla legge. Per esempio non poteva nominare un “project manager”, perché non è una figura esplicitamente prevista dal codice degli appalti. Su questo documento vale la pena aprire una piccola parentesi: si tratta di uno dei regolamenti pubblici in assoluto più criticati da giornalisti, imprenditori e magistrati. È lungo 273 articoli, è estremamente complesso e nel giro degli ultimi anni è stato sottoposto a più di 500 modifiche che rendono molto difficile anche ai professionisti capire cosa si può e cosa non si può fare. De Luca, secondo i giudici, avrebbe nominato Di Lorenzo nel gruppo di lavoro per fare un favore a un suo collaboratore e permettergli di aumentare i suoi guadagni, mentre in realtà di lui non ci sarebbe stato alcun bisogno all’interno del gruppo di lavoro.

Il sindaco
Questa vicenda racchiude in sé molti elementi del personaggio De Luca: il piglio padronale con cui gestisce – rivendicandolo spesso – le faccende che riguardano il suo comune, l’attitudine a usare persone a lui vicine nell’amministrazione locale, e le attenzioni che gli riserva la magistratura. In tutto, De Luca è coinvolto o è stato coinvolto in una decina di processi che hanno quasi tutti a che fare con il suo modo considerato sbrigativo e imperioso di gestire il comune di Salerno, e che lui vanta come l’unico che gli ha permesso di portare a termine i suoi progetti di sindaco. Tranne in un caso, De Luca ha sempre rinunciato alla prescrizione: lo ha fatto anche nel 2012 quando ha rinunciato alla prescrizione nel processo “Sea Park” in cui è accusato di corruzione, truffa aggravata, truffa, falso, associazione a delinquere e concussione. Il processo riguarda il progetto di costruzione di un parco acquatico in una zona del comune dove sorgeva un complesso industriale. All’epoca dei fatti, nel 1998, secondo i magistrati ci furono scambi di denaro e altre irregolarità nel passaggio di proprietà dei terreni e per far approvare le delibere comunali necessarie per costruire il parco (che alla fine non venne costruito). Diciassette anni dopo i fatti contestati, il processo deve ancora arrivare alla sentenza di primo grado. È a causa di questo processo che De Luca è finito nella lista dei cosiddetti “impresentabili” stilata dalla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi.

Secondo Adolfo Pappalardo, un giornalista del Mattino di Napoli, De Luca «è sicuramente stato un sindaco che ha dato una spinta alla città di Salerno che oggi, rispetto al resto della Campania, appare come una punta di diamante». De Luca ha gestito bene l’emergenza rifiuti e in città oggi la raccolta differenziata ammonta a circa il 70 per cento del totale (più del triplo rispetto a Napoli). Secondo Pappalardo «anche per quanto riguarda gli asili nido, Salerno sembra più una città del nord che un comune campano». La maggioranza dei salernitani da un ventennio a questa parte sembra pensarla allo stesso modo: De Luca è stato eletto sindaco di Salerno per quattro volte, quasi sempre a larghissima maggioranza e a volte anche senza il sostegno dei grandi partiti del centrosinistra (nel 1997, in occasione del suo secondo mandato, vinse al primo turno con più del 70 per cento dei voti). Tra il 2001 e il 2006, quando non poteva governare per il limite di mandati consecutivi, candidò un suo alleato, Marco De Biase, ma in pochi avevano dubbi su chi avrebbe davvero governato la città. La campagna elettorale fu così sfacciata che su alcuni manifesti era scritto: “Per votare De Luca vota De Biase”. Il suo tasso di approvazione tra i salernitani è quasi sempre stato altissimo. Nel 2006 era il quarto sindaco più popolare d’Italia, nel 2008 aveva un tasso di approvazione del 75 per cento.

Tutto questo consenso, però, ha avuto un prezzo molto alto. Salerno è al quindicesimo posto in Italia per le spese per personale sostenute dal comune: quasi il 40 per cento del totale delle spese correnti (cioè il denaro usato per pagare stipendi e far funzionare i servizi essenziali di un comune). Oggi Salerno ha debiti per più di 200 milioni di euro, il 120 per cento della sua spesa corrente. È il venticinquesimo comune più indebitato d’Italia – anche senza considerare un altro centinaio di milioni di euro in debiti fuori bilancio, cioè debiti contratti dalle società partecipate dal comune. Come spiega Pappalardo: «Dopo vent’anni l’amministrazione De Luca ha cominciato a mostrare segni di vecchiaia, e non in senso anagrafico». Salerno, soprattutto a partire dal 2006 durante l’ultimo mandato di De Luca, è diventato uno dei comuni che spendono più soldi per investimenti (il quinto, secondo di dati di OpenBilanci.it). Per il 2014 il comune prevedeva di spendere in investimenti 270 milioni a fronte di 190 milioni di spesa corrente. In altre parole, De Luca è un sindaco che ama spendere, investire e costruire “grandi opere”, e molto spesso lo ha fatto a debito. Ma non tutti questi investimenti sono andati a buon fine: «Negli ultimi anni», dice Pappalardo, «la spinta di De Luca si è indebolita e ha lasciato in eredità diverse opere rimaste in ritardo rispetto ai tempi previsti di completamento: la cittadella giudiziaria, la stazione marittima e molte altre opere minori».

La più spettacolare di queste grandi incompiute – e quella che finora ha diviso di più i salernitani – è “Crescent”, un enorme edificio a forma di mezzaluna costruito sul lungo mare della città. Di Crescent, e di come in un certo senso rappresenti uno spartiacque nel rapporto di De Luca con la sua città, hanno scritto in un lungo e documentato articolo Ciro Pellegrino e Giuseppe Manzo su MicroMega. I due giornalisti descrivono così l’edificio:

Una mezzaluna di cemento affacciata sul golfo, un muro di edifici nella zona portuale di Santa Teresa su un’area gigantesca, piazza della Libertà […] al centro della quale il sindaco, al taglio del nastro, dichiarò teatralmente di voler tumulare l’urna con le sue ceneri quando sarebbe stato il momento, a simboleggiare una comunione eterna e indissolubile col progetto ideato dall’archistar catalana Ricardo Bofill.

Secondo i critici, Crescent è un edificio brutto, inutile, che blocca la visuale del mare a una parte della città. Nell’articolo, Pellegrino e Manzo raccontano come De Luca non si aspettasse un’opposizione così forte a quello che riteneva il progetto-simbolo del suo lungo governo della città. Crescent, invece, ha finito con il raccogliere un’opposizione sempre più larga e sui blog che si occupano della città e nella stampa locale si può leggere come ancora oggi il progetto divida i salernitani. Crescent ora è bloccato; la magistratura ha messo i sigilli sul cantiere. Secondo i magistrati, De Luca ha utilizzato i suoi metodi spicci e sbrigativi per realizzare i lavori e lo hanno rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, falso ideologico e reati ambientali. Sulla questione De Luca ha mantenuto una compostezza inusuale per lui, dicendo pochi giorni dopo il rinvio a giudizio: «Non parlo per carità di patria».

«Un tipo sanguigno»
Usando quello che si può probabilmente definire un eufemismo, il giornalista di Repubblica Filippo Ceccarelli ha definito De Luca «un tipo sanguigno». Una verità più precisa è che al di là dei suoi meriti e demeriti come amministratore locale, De Luca è un personaggio scostante che usa spesso un linguaggio sopra le righe. Negli ultimi anni ha detto un numero straordinario di cose razziste, sessiste e violente che sarebbero più che sufficienti a seppellire la carriera di quasi qualunque altro politico. Una delle più sgradevoli l’ha detta poche settimane fa, durante il dibattito con gli altri candidati presidente della Campania su Sky. A una sostenitrice di Caldoro che gli aveva fatto una domanda, De Luca ha risposto:

«Mi pare abbastanza evidente che la gentile signorina non ha bisogno di una mia risposta politica o programmatica, ma ha bisogno di affetto. E sinceramente, per come sto combinato (alza la mano ingessata) non credo di poterle dare assistenza. Ci sentiamo dopo le elezioni, via»

Solo il 12 per cento degli spettatori al termine della trasmissione ha ritenuto che De Luca avesse vinto il confronto. Nel 2007, molto prima che Matteo Salvini sollevasse polemiche in tutto il paese per aver detto di voler distruggere i campi rom con una ruspa, De Luca aveva detto: «Io smonto i campi dei rom e me ne frego di dove quella gente va a finire. A Firenze li integrano? Io li prendo a calci nei denti, il cielo stellato ce lo godiamo noi». Sempre come Salvini, una volta De Luca ha minacciato di radere al suolo anche un centro sociale nella periferia di Salerno. Questo suo linguaggio – che alcuni potrebbero definire “da duro” e altri, più direttamente, “da bullo” – fa parte dell’immagine che De Luca ha sempre cercato di dare di sé. Quella di un sindaco deciso e inflessibile, uno “sceriffo”, che è anche il soprannome più diffuso tra i tanti che la stampa gli ha dedicato (ennesimo “sceriffo” di una lunga serie). Alcuni anni fa, ad esempio, fece molto discutere la sua scelta di armare i vigili urbani con manganelli e spray urticanti, mentre ancora oggi De Luca non perde occasione di prendersela con i “cafoni”, tutti quelli che imbrattano i muri o bivaccano nelle strade della sua città.

De Luca è stato altrettanto deciso anche con i suoi avversari, a cui ha spesso dedicato espressioni colorite e insulti dalla sua personale tribuna politica su Lira TV, un’emittente locale dove aveva un programma in cui si rivolgeva direttamente ai suoi cittadini (una trasmissione che su YouTube è un piccolo cult). Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio ha vinto contro di lui una causa per diffamazione aggravata proprio a causa di uno di questi sfoghi (tra le altre cose De Luca aveva detto di sperare di incontrarlo in un “vicolo buio”). Tra i bersagli storici di queste invettive ci sono il suo vecchio avversario ed ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino e Ciriaco De Mita, anziano e influente politico della vecchia DC – oggi dell’UDC – che De Luca definì «il problema politico della Campania».

Eppure, poche settimane prima delle ultime elezioni, De Luca e De Mita hanno stretto un patto elettorale che ha portato l’UdC a sostenere il sindaco di Salerno. Questo episodio aiuta a comprendere l’ultimo tratto della figura politica di De Luca, ossia la sua capacità di muoversi con abilità nella politica campana e allearsi con persone in grado di spostare voti e consensi. Tra le prime critiche che gli sono state fatte durante questa campagna elettorale c’era proprio aver imbarcato nelle liste che lo appoggiavano persone discutibili che avevano l’unico merito di portare alla sua elezione cospicue quantità di voti. Tra questi c’erano anche alcuni ex alleati di Nicola Cosentino, un importante politico di Forza Italia, più volte parlamentare, che ora si trova in carcere per estorsione aggravata. I rapporti politici di Cosentino e De Luca vengono da lontano: nel 2006 De Luca si candidò sindaco di Salerno con una lista civica e vinse contro un candidato appoggiato dal suo stesso partito. Secondo Cosentino vinse proprio grazie a voti del centrodestra. Qualche anno dopo De Luca spiegò così quello che era accaduto: «Io e Cosentino ci siamo incontrati tremila volte. E poi se porta voti che male c’è?».