Ustica e i quattro caccia ”nascosti”

Le indagini sul disastro aereo di 31 anni fa sarebbero a un nuovo ennesimo bivio, scrive Andrea Purgatori sul Corriere

Il 27 giugno 1980 ottantuno persone morirono in un disastro aereo nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza: disastro al quale ancora oggi, dopo oltre trent’anni, non sappiamo dare una spiegazione precisa. Negli anni si sono fatte decine di ipotesi, dalla bomba a bordo dell’aereo fino all’attacco missilistico e alla battaglia tra caccia militari, e si è assistito – specie nei primi anni di indagini – a tutto il repertorio di depistaggi e oscurità che hanno caratterizzato i cosiddetti “misteri d’Italia”.

Oggi Andrea Purgatori sul Corriere della Sera racconta un ulteriore sviluppo delle indagini e delle ricostruzioni di quanto accadde, legato alle tracce radar di quattro aerei militari – formalmente sconosciuti e forse francesi – di cui una rogatoria italiana ha chiesto alla NATO la formale identificazione. Nel caso di Ustica, la quantità di piste investigative ritenute credibili e decisive per essere poi abbandonate è talmente lunga da imporre una certa cautela anche nel seguire gli sviluppi odierni.

La vera «bomba» della strage di Ustica sono le tracce radar di quattro aerei militari ancora formalmente «sconosciuti» – due/tre caccia e un Awacs – su cui la Nato, dopo una rogatoria avanzata un anno fa dalla Procura della Repubblica di Roma (con il sostegno operativo ma silenzioso dell’ufficio del consigliere giuridico del capo dello Stato), sta decidendo in questi giorni se apporre le bandierine d’identificazione. Tutti gli indizi portano allo stormo dell’Armée de l’air che nel 1980 operava dalla base corsa di Solenzara. Lo stesso contro cui puntò il dito pubblicamente (poi anche a verbale) Francesco Cossiga. Forse dopo aver saputo che i caccia francesi avevano lasciato le loro impronte su un tabulato del centro radar di Poggio Ballone (Grosseto), miracolosamente non risucchiato dal buco nero che dalla sera dell’esplosione del DC9 Itavia aveva ingoiato nastri, registri e persino la memoria di tanti testimoni.

La questione non è più militare ma sostanzialmente politica. E non solo perché la risposta ai magistrati italiani deve prima ottenere il benestare dei 28 paesi membri dell’Alleanza, nessuno escluso. Il fatto è che, come in un surreale gioco dell’oca, dopo trentun anni gli attori tirati in ballo nella strage (Italia, Francia, Stati Uniti) si ritrovano insieme alla casella di partenza. Alleati in una guerra (stavolta dichiarata) a Gheddafi, vittima designata oggi come allora, e al solito con posizioni tutt’altro che sovrapponibili. In più l’identificazione certa dei caccia francesi non sarebbe cosa facile da digerire nei rapporti bilaterali, visto che Parigi ha sempre negato che il 27 giugno 1980 i suoi aerei fossero in volo nel cielo di Ustica e, persino contro l’evidenza delle prove raccolte dalla magistratura italiana, ha sostenuto che nella base di Solenzara le luci furono spente alle cinque e mezza del pomeriggio. Il 2 ottobre del 1997, il segretario generale della Nato Javier Solana graziò Parigi consegnando al nostro governo la relazione di sei pagine di un team di specialisti dell’Alleanza atlantica che aveva incrociato tutte le tracce radar sopravvissute al buco nero, identificando in una tabella dodici caccia in volo quella sera (americani e britannici) ma evitando di apporre la bandierina su una portaerei e quattro aerei la cui presenza nella zona e all’ora della strage non veniva comunque messa in discussione. Un lavoro ripetuto più e più volte con i sistemi informatici in dotazione alla Difesa aerea dell’Alleanza e definito dagli stessi specialisti Nato senza alcuna possibilità di errore. Però reticente su un unico punto, cruciale: l’identificazione dei caccia francesi.

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