“Non aspettare il 25 luglio”

Adriano Sofri sulla crisi del berlusconismo e il solo riconoscimento che bisogna rendergli

Adriano Sofri su Repubblica ripercorre la crisi del centrodestra, dalla sconfitta alle amministrative e ai referendum al difficile rapporto con la Lega, e risponde all’invito di Giuliano Ferrara di dare un giudizio “equanime” al berlusconismo. Il 25 luglio a cui si fa riferimento è quello del 1943: il giorno in cui Benito Mussolini fu estromesso e poi arrestato dal Gran consiglio del Fascismo.

Vediamo se non sia andata così. Berlusconi era finito, nel suo credito politico e personale, da un bel po’ di tempo. È restato lì a mezz’aria, perché non era pronta la successione, e in molti erano convinti di trarre vantaggi dalla sua dilazione.

Intanto i “suoi”, spaventati di sprofondare con lui, leporelli da strapazzo col don Giovanni da strapazzo. Ma soprattutto la Lega, persuasa che il tempo giocasse a suo favore, e che tutto quello che Berl. e il Pdl perdevano finisse per trasfusione a lei. Berl. non governava. Si occupava degli affari suoi, patrimoniali e giudiziari (coincidono) oltre che di esibizioni estere: col ministro ridotto a controfigura delle bravate da caserma di Berl. coi grandi e i satrapi della terra. Per il resto, Berl. era un ostaggio nelle mani della Lega, che governava con Tremonti e Maroni.

I sondaggi continuavano a rispondere a Berl. come lo specchio alla matrigna, che lui era il più amato del reame, benché Biancaneve fosse già grandicella. Rassegnata a una berlusconizzazione intima degli italiani, buona parte dell’opposizione aveva ripiegato sulle procure, o sulla manovra parlamentare. La seconda si era tradotta in un disastroso passo falso con la mozione di sfiducia, rintuzzata dalla compravendita di deputati con famiglia, così da eclissare la candidatura di Fini. In ognuna di queste occasioni la dilazione sembrava lavorare per il re e la sua corte. Così il rinvio di quindici giorni della discussione della sfiducia a dicembre, prezioso per chiudere con Siliquini e Scilipoti, Dorine e Proci. Così l’impudente separazione fra le date delle amministrative e dei referendum. Avevano capito male. Il rinvio giocava per loro a Montecitorio, al mercato delle mezze calze di cui una metodica selezione alla rovescia e l’apposita porcata elettorale hanno gremito il Parlamento (trionfo di figuri e ballerine quanto al centrodestra, con contagi incresciosi nel centrosinistra, spettacolosi nell’Idv); ma il rinvio giocava contro di loro nella società. Insofferenza e vera e propria ribellione si erano mostrate con la mobilitazione dei giovani, con la bellissima giornata delle donne, e in tante manifestazioni.

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