I carabinieri raccontano nuove cose su Rostagno

Nel processo stanno emergendo novità sulle indagini fatte dal giornalista ucciso nel 1988

Mercoledì prossimo, due carabinieri torneranno a deporre in aula come testimoni nel nuovo processo sull’assassinio di Mauro Rostagno, il giornalista ucciso nel 1988 nel trapanese, con moventi e assassini da allora sconosciuti e controversi e per il quale il 19 giugno è stata convocata una manifestazione pubblica a Roma.

Il processo che è iniziato quattro mesi fa ha due principali imputati di mafia: Vito Mazzara, presunto esecutore materiale dell’omicidio, e il boss Vincenzo Virga, ritenuto il mandante del delitto. Come ha spiegato Giovanni Bianconi in un articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera, l’obiettivo dei magistrati è «fare luce sul movente dell’omicidio e sui motivi di una impunità durata quasi un quarto di secolo» e quindi capire anche che cosa non abbia funzionato nelle precedenti inchieste, ricche di percorsi errati e fuorvianti, con pesanti sospetti di depistaggi.

I pubblici ministeri Antonio Ingroia, Gaetano Paci e Francesco Del Bene vogliono capire come mai fu ignorata, all’epoca, la testimonianza di Mauro Rostagno sui rapporti tra mafia e massoneria (la cosiddetta Loggia Scontrino di Trapani) e come mai non ne hanno fatto cenno nelle loro deposizioni del marzo scorso, se non di sfuggita, quando non potevano più tacere. Quasi per caso, alla fine del controesame del maresciallo Beniamino Cannas che da brigadiere svolse le prime indagini sull’omicidio Rostagno, la Procura di Palermo è venuta a sapere che il 25 febbraio 1988, sette mesi prima dell’agguato, lo stesso Cannas aveva raccolto le dichiarazioni di Mauro Rostagno sui retroscena di alcune sue denunce alla televisione locale che dirigeva, Rtc, relative proprio al Circolo Scontrino: una presunta loggia segreta finita sotto inchiesta, con nomi importanti della città raggiunti da rumorose comunicazioni giudiziarie.

Rostagno aveva incontrato Natale Torregrossa, uno dei principali membri della Loggia, poco prima che venisse arrestato, e aveva poi spiegato ai carabinieri che cosa aveva scoperto. Torregrossa gli aveva raccontato di un suo viaggio a Roma con Grimaudo, il Maestro del gruppo massonico, dove avevano incontrato alcuni membri dell’ambasciata bulgara e di altri viaggio in Toscana dove c’era stato anche un incontro con Licio Gelli. Rostagno aveva anche scoperto che Gelli aveva incontrato due boss mafiosi di Mazara, Mariano Agate e Natale L’Ala, entrambi frequentatori della Loggia Scontrino. Nella sua deposizione davanti ai carabinieri, Rostagno diede numerose altre informazioni, che al momento non sembrano giustificare direttamente il suo omicidio avvenuto sette mesi dopo, ma che dimostrano comunque di quanti dati e notizie fosse a conoscenza il giornalista, scrive Bianconi.

Ma certo è curioso che ad appena sette mesi da quella deposizione, di fronte al cadavere di Rostagno, allo stesso carabiniere Cannas e ai suoi superiori non sia venuto in mente di approfondire anche le relazioni tra mafia e massoneria di cui il giornalista s’era interessato. Né se ne trova traccia nei successivi rapporti ai giudici. I carabinieri preferirono concentrarsi sulle «irregolarità» all’interno della comunità, poi sui tossicodipendenti allontanati da Saman, tralasciando l’ipotesi mafiosa: «Non avevamo niente – ha ricordato l’ufficiale in pensione Nazzareno Montante, all’epoca superiore di Cannas -. Sì, sulla stampa era scritto che il Rostagno faceva trasmissione contro la mafia però… Questa televisione era soltanto a livello locale, anche i locali vedevano molto poco. Quindi ritenevamo che non potesse essere una causa» .

La pista di Cosa nostra fu così trascurata e se ne torna a parlare 23 anni dopo grazie a una nuova perizia balistica e a una nuova serie di indagini. L’accusa vuole ricostruire la vicenda, cercando anche di capire perché all’epoca si perse così tanto tempo, ignorando alcuni elementi che forse avrebbero potuto portare a qualcosa di concreto. Il delitto mafioso fu la prima ipotesi degli inquirenti, ma in assenza di riscontri si decise di abbandonare la pista e si fecero fragili ipotesi – condotte soprattutto dall comandante dei carabinieri Elio Dell’Anna – legate al delitto del commissario Luigi Calabresi o a un presunto traffico di stupefacenti legato a Saman, la comunità per tossicodipendenti che Rostagno aveva fondato nel 1981 a Trapani. Gli inquirenti ipotizzarono anche che l’omicidio fosse dovuto a un traffico d’armi che avrebbe coinvolto Francesco Cardella, uno dei cofondatori di Saman, ma tutte le piste si dimostrarono inconsistenti.

Nel 1998 si tornò a indagare su Cosa nostra, non più a Trapani, ma presso la Procura antimafia di Palermo, che decise di iscrivere nel registro degli indagati anche Virga, il capo mandamento trapanese all’epoca latitante. Nel gennaio del 2007, Ingroia chiese l’archiviazione dell’inchiesta, decisione che suscitò un’ampia reazione tra diverse associazioni che inviarono al Presidente della Repubblica diecimila firme per far riaprire le indagini. Nel 2009 a Vincenzo Virga, incarcerato nel 2001, venne consegnato un mandato di custodia cautelare in carcere, con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio Rostagno.