Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 20 Febbraio 2022

Più che l’editore poté la Gazzetta

La Gazzetta del Mezzogiorno, che era il più radicato quotidiano della Puglia e della Basilicata, è tornato ieri in edicola, dopo un’assenza di quasi sette mesi. Aveva smesso di essere pubblicata a inizio agosto 2021 dopo 133 anni, gli ultimi tre passati in una profonda crisi, fra i fallimenti delle società editrici, mancate cessioni e dispute legali. A ottobre il Tribunale di Bari aveva omologato la proposta di concordato (con assunzione dei debiti e progetto di rilancio) della Ecologica Spa, un’azienda con sede a Taranto che si occupa principalmente di smaltimento rifiuti.
Da oggi, secondo giorno in edicola, la Gazzetta del Mezzogiorno uscirà in abbinamento con la Gazzetta dello Sport, al prezzo di 1,50 euro per i due giornali. L’iniziativa di lancio in collaborazione – che viene chiamata in gergo “panino” – col quotidiano sportivo del gruppo RCS dovrebbe durare per qualche mese e ha molti precedenti nell’editoria locale e non solo. La scelta ha però causato proteste e comunicati sindacali da parte del Corriere del Mezzogiorno, la testata che dal 1997 raccoglie le cinque sezioni locali del Corriere della Sera nelle regioni meridionali, e che è a sua volta del gruppo RCS. La collaborazione fra le due “Gazzette”, dice il comunicato sindacale, può “nuocere gravemente al Corriere della Sera e al Corriere del Mezzogiorno che vi è contenuto all’interno, in una logica perversa di cannibalismo aziendale interno al medesimo Gruppo editoriale”. L’editore ha risposto minimizzando i rischi e confermando l’iniziativa. Corriere e Gazzetta del Mezzogiorno (quest’ultima prima della chiusura dichiarava 8 mila copie vendute) si trovano in un mercato ad alta concorrenza, dove operano anche la Repubblica di Bari, il Quotidiano del Sud, il Nuovo Quotidiano di Puglia e l’Edicola del Sud.


domenica 20 Febbraio 2022

50 anni senza perdere una causa per diffamazione

Il giudice ha rigettato la richiesta di danni per diffamazione di Sarah Palin nei confronti del New York Times, la storia che avevamo riassunto domenica scorsa e che abbiamo raccontato con maggior completezza sul Post.

“Per avere successo la denuncia di Palin – che ha ritenuto insufficiente la correzione rispetto al danno comunque subito – avrebbe dovuto dimostrare che l’errore non fosse stato compiuto per disattenzione, come sostenuto dal quotidiano, ma fosse frutto di “effettiva malafede” (“actual malice”).
È una discriminante prevista dalla legislazione americana, una delle più garantiste al mondo riguardo alla libertà di stampa, introdotta da una sentenza della Corte Suprema del 1964, in un caso relativo sempre al 
New York Times (New York Times v. Sullivan). L’accusa doveva dimostrare che il giornale aveva pubblicato informazioni pur essendo pienamente cosciente della loro falsità, o con un totale disinteresse riguardo alla loro veridicità: in questo dedicando parte dei suoi argomenti all’inclinazione politica del giornale e a presunti pregiudizi contro Palin. Per questo gli avvocati di Palin hanno cercato di dimostrare che Bennet fosse “prevenuto” nei suoi confronti e hanno chiesto di ricostruire tutti i passaggi che avevano portato alla pubblicazione dell’editoriale. Lo stesso giudice Rakoff, nel rifiutare gli argomenti contro il giornale, ha sottolineato la gravità dell’errore e ha detto di non essersi stupito della scelta di Palin di fare causa”.

Successivamente la stessa giuria ha convenuto con la decisione del giudice: che si era pronunciato in modo anomalo mentre la giuria era ancora ritirata per deliberare. Alcuni dei giurati erano quindi stati informati della sua decisione. Secondo alcuni commenti questo potrebbe essere un appiglio solido per un ricorso di Palin contro la sentenza, e il dibattito sul fatto che la questione non si chiuderà facilmente è molto vivace.


domenica 20 Febbraio 2022

We don’t talk anymore

Una importante sentenza della Corte Suprema britannica sulla libertà d’espressione e sulla privacy permette di spiegare come la consuetudine italiana di “sbattere il mostro in prima pagina” (era il titolo di questo precoce film di Marco Bellocchio) non sia una condizione scontata. Nel Regno Unito, infatti, è vietato divulgare i nomi delle persone sottoposte a indagine prima che vengano formalmente incriminate o arrestate: o meglio, si considera che nella stragrande maggioranza dei casi, il diritto alla privacy di chi sia soltanto indagato prevalga sul diritto all’informazione da parte dei media, per via dell’indiscutibile e irrimediabile “danno alla reputazione” che questo genere di notizie comporta per le persone coinvolte.

L’attenzione dei tribunali a queste tutele è ulteriormente cresciuta nell’ultimo decennio, dopo lo scandalo che ha rivelato le pratiche spregevoli e illegali di alcuni tabloid per ottenere informazioni private su celebrities e privati cittadini. E il caso più famoso di questa severità è quello del cantante Cliff Richard, il cui nome fu diffuso da BBC dopo una perquisizione a casa sua (trasmessa in tv) nell’ambito di un’inchiesta per cui non fu poi mai perseguito, e da cui venne ritenuto estraneo ai fatti: Richard ottenne le scuse di BBC e della polizia per la diffusione della notizia, e diverse centinaia di migliaia di sterline di risarcimento (a BBC costò oltre due milioni comprese le spese legali).

Mercoledì la Corte Suprema ha rigettato un ricorso dell’agenzia di stampa Bloomberg che era stata condannata per aver citato il nome di un dirigente di una società americana coinvolto in un’inchiesta per corruzione, che non fu poi incriminato: il ricorso sosteneva che si trattasse di un caso in cui l’informazione sull’indagine avesse una pubblica utilità maggiore della tutela della privacy dell’interessato. Le critiche alla sentenza hanno aggiunto che ci sono casi in cui le notizie pubblicate su un indagato possono suggerire a persone con maggiori informazioni di condividerle con le indagini. La sentenza ha però confermato che il “danno alla reputazione” di una persona su cui non ci siano elementi per la formalizzazione di un’accusa non possa essere accettato.
Secondo il Guardian in seguito alle critiche alla sentenza il governo starebbe considerando una revisione delle norme in senso meno restrittivo per il diritto di cronaca.


domenica 20 Febbraio 2022

La qualità paga fino a un certo punto

Un ringraziamento lo dobbiamo da un pezzo ai molti che scrivono al Post manifestando gentili complimenti e apprezzamenti per Charlie, e a chi ci aiuta con informazioni e suggerimenti, e lo mettiamo qui come prologo al prologo: la newsletter è riuscita in un anno e mezzo a diventare interessante sia per chi si occupa di giornalismo e informazione, sia per semplici lettori e utenti che trovano utile capirne meglio i meccanismi.

Il prologo vero ne approfitta per rispondere anche ad alcune segnalazioni che riceviamo e che riguardano singolari contenuti dei giornali, a volte interessanti o a volte discutibili: ma – salvo occasionali eccezioni peculiari – Charlie è una newsletter interessata a capire perché le cose succedono più che a dedicarsi alle singole cose che succedono. Per questo parliamo spesso di questioni apparentemente meno divertenti come modelli di business, esperimenti, strategie commerciali, tendenze e conflitti di interessi. E soldi. Perché sono le questioni che spiegano come mai leggiamo le cose che leggiamo, e perché orientano scelte, fortune e sfortune dei prodotti giornalistici assai di più dei loro “progetti editoriali”. Come ha scritto Matt Yglesias (ex giornalista di AtlanticSlate e Vox) nella sua newsletter, parlando dei problemi odierni di Slate, che fu un rivoluzionario e precoce giornale online di gran qualità: “odio quando i critici sostengono che i problemi economici di un sito non sono che le conseguenze dei loro limiti editoriali, quindi lo dico chiaramente: gli affari di un sacco di siti che io ritengo spazzatura sembrano andare benissimo, e penso che progetti della dimensione di Slate avrebbero difficoltà a prescindere dalla qualità del prodotto”.
Fare “un buon giornale” in termini di contenuti c’entra solo in parte, e a volte per niente, con la sostenibilità e il successo di quel giornale.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Febbraio 2022

Insegnare a distinguere

La questione della scarsa trasparenza di molti giornali rispetto a quali dei propri articoli siano una scelta della redazione e quali siano incentivati da ragioni di ricavo pubblicitario o di interesse di altro genere per il giornale è spesso trattata su Charlie: è piuttosto decisiva, capirete, nel conservare la fiducia dei lettori necessaria – non bastassero le ragioni etiche – a ottenerne i ricavi indispensabili a sostenere i giornali stessi. Il compromesso creato in questi anni per mantenere parte dei ricavi pubblicitari senza ingannare i lettori è quello dei formati – soprattutto digitali – che sono stati chiamati di “native advertising”, “branded content”, “articoli sponsorizzati” o con altri nomi: ovvero articoli e contenuti giornalistici indicati con chiarezza nella loro natura pagata dall’esterno.
Il problema, che è stato notato già da tempo, è che pure le più vistose e benintenzionate indicazioni di questo genere spesso non sono sufficienti a far percepire a gran parte dei lettori la natura degli articoli. La conseguenza non è soltanto che quindi si mantiene il problema che chi legge attribuisce all’autorevole autonomia del giornale l’articolo che legge e la scelta di pubblicarlo, ma anche un’altra, come ha raccontato un articolo di pochi giorni fa sul sito The conversation: ovvero che laddove i lettori percepiscono la bassa qualità o il tono promozionale dei suddetti articoli, li attribuiscono al giornale stesso, e alla sua redazione, e questo contribuisce alla loro perdita di fiducia nella sua stessa qualità e autorevolezza. Ragione di più per distinguere chiaramente i contenuti promozionali da quelli giornalistici indipendenti, e per farlo con tripla evidenza.

Fine di questo prologo.


domenica 13 Febbraio 2022

Piccole cose buffe ma illuminanti

Avevamo scritto un mese fa dei timidi tentativi di alcuni siti di news italiani di raggiungere pubblici maggiori pubblicando articoli anche in inglese: i risultati fino a oggi sono stati poco soddisfacenti e i costi relativi insostenibili, quindi chi lo fa ancora si affida spesso a meccanismi di traduzione automatica, con frequenti incidenti. Quello che è capitato mercoledì al sito dell’Unione Sarda ne è un esempio, con effetto comico moltiplicato dalla famigerata tendenza dei titolisti italiani di usare l’espressione “è giallo”.
Yellow on the fate of the French virologist Luc Montagnier, Nobel Prize in medicine in 2008 who became a guru of no vax at the time of the Covid pandemic”.


domenica 13 Febbraio 2022

Titolismi

Anche Jovanotti si è lamentato su Instagram della pratica dei maggiori quotidiani italiani di usare nei titoli dei virgolettati inventati e non corrispondenti né alle parole né al senso delle cose effettivamente dette: a proposito di una sua intervista alla Stampa.
(ricordiamo che i titoli degli articoli vengono composti in redazione da chi lavora alla “cucina” del giornale – ovvero la sua progettazione, confezione, revisione, impaginazione – e non da chi scrive gli articoli)


domenica 13 Febbraio 2022

Oggi è già domani

È uscito il primo numero del settimanale Oggi diretto da Carlo Verdelli, giornalista col più ricco e vario curriculum di direzioni e vicedirezioni in Italia (SetteCorriere della SeraVanity FairGazzetta dello Sport, informazione Rai, Repubblica) che un anno fa era stato licenziato in modi molto criticati dalla nuova proprietà del gruppo GEDI.
Oggi è un settimanale di lunga tradizione (nacque nel 1939) pubblicato da sempre dall’editore Rizzoli (oggi RCS, l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport) e con un’inclinazione “popolare” ma arricchita da temi e autori qualificati e importanti (a novembre aveva una diffusione di 157mila copie). Approccio in grande sintonia con quello di Verdelli, che ha sempre introdotto qualità giornalistica nei prodotti popolari che ha diretto, e attenzioni “larghe” nei progetti giornalistici: già molti anni fa raccontava che una sua ambizione fosse dirigere un Paris Match italiano, riferendosi all’illustre rotocalco popolare francese. I tempi sono cambiati completamente, ma già dal primo numero Verdelli sembra voler riprodurre l’impostazione che fece le fortune di Vanity Fair italiano, che sotto la sua direzione all’inizio del millennio divenne un ibrido tra un “femminile” e un newsmagazine. Tra gli autori ospiti ci sono Ferruccio De Bortoli, Liliana Segre, Stefano Bartezzaghi, Nino Cartabellotta, Fabio Fazio, Francesca Mannocchi, e tra gli autori degli articoli diversi giornalisti del Corriere della Sera.


domenica 13 Febbraio 2022

Quanto vendono i quotidiani di carta americani

Sempre il sito britannico PressGazette ha messo in ordine i numeri della diffusione delle edizioni cartacee dei quotidiani americani: mostrando che il più venduto rimane il Wall Street Journal, seguito dal New York Times e da USA Today, che ha ridotto a molto poco il suo vantaggio sul Washington Post. Sono i quattro quotidiani considerati “nazionali”: seguono i primi dei “locali”, New York PostLos Angeles Times e Minneapolis StarTribune. I dati sono significativi nel mostrare il declino complessivo per tutte le testate (-30% in due anni, solo il New York Post ha recuperato qualcosa rispetto al disastroso 2020).


domenica 13 Febbraio 2022

Uno e settanta

Da lunedì anche la Stampa replicherà gli aumenti del prezzo in edicola introdotti la settimana scorsa dall’editore GEDI per il suo altro quotidiano maggiore, Repubblica.


domenica 13 Febbraio 2022

Meno entertainment

La grande società di media, editoria digitale ed entertainment che si chiama IAC (posseduta da Barry Diller, uno dei più ricchi e noti imprenditori ed editori americani, che ha 79 anni), che aveva comprato l’azienda editoriale Meredith e le sue testate quattro mesi fa, ha deciso che dismetterà la stampa su carta di alcuni noti periodici statunitensi: tra questi la rivista di moda InStyle e il settimanale (da tre anni divenuto mensile) Entertainment Weekly, quest’ultimo uno dei più importanti periodici dedicati allo spettacolo (una specie di Sorrisi e Canzoni americano, fatte le dovute proporzioni tra l’offerta di spettacolo, musica e cultura pop americana e quella italiana). 200 posti di lavoro saranno eliminati.


domenica 13 Febbraio 2022

La consueta manciata di esempi

Le “accoppiate” di inserzioni pubblicitarie trasparenti e contenuti giornalistici dedicati all’inserzionista sono ormai legittimate estesamente sui quotidiani maggiori: come diciamo spesso, sono violazioni di etiche e di regole scritte che si spiegano con la vulnerabilità economica dei giornali e col crescente potere che le concessionarie di pubblicità hanno nelle scelte redazionali (l’esempio più palese è la assoluta mancanza di indicazioni della natura promozionale delle sezioni che Repubblica e Corriere della Sera chiamano “Le Guide” o “Eventi”). Questa settimana tra i casi più vistosi ci sono state le interviste di sabato all’amministratore delegato della banca Illimity a poche pagine di distanza dalle inserzioni pubblicitarie della stessa banca su Corriere della Sera e Sole 24 Ore (il gruppo GEDI ha scelto di intervistarlo sulla Stampa pubblicando le inserzioni su Repubblica): inserzioni e interviste dedicate allo stesso prodotto. Giovedì il Corriere della Sera aveva celebrato nelle pagine dell’Economia i risultati della banca Fineco, assiduo inserzionista negli stessi giorni.


domenica 13 Febbraio 2022

I limiti di Libero

Il direttore di Libero ha pubblicato in prima pagina le ragioni di una scelta piuttosto inconsueta nei quotidiani italiani, che invece abbiamo visto molto nella stampa anglosassone negli ultimi anni, come risultato di una maggiore attenzione e severità verso i comportamenti e le dichiarazioni dei propri giornalisti sui social network e fuori dai rispettivi giornali. Ovvero la decisione di interrompere un rapporto di collaborazione e di annunciarlo ai lettori.
La ragione, per Libero, è stato un messaggio su Twitter di un suo giornalista che alludeva alle note immagini delle “bare di Bergamo” all’inizio della pandemia, nel 2020, come se si fosse trattato di un’invenzione.
È vero che i contenuti dei social personali dei giornalisti non ricadono sotto il controllo del direttore, ci mancherebbe altro. Ma è anche vero che il giornalista, con la sua faccia e la sua firma, è un pezzo dell’immagine del giornale su cui scrive, della sua autorevolezza e della sua credibilità. Per cui non posso permettere che neppure per un secondo e neppure per sbaglio e nemmeno per un fraintendimento tra social privati e aziendali un nostro lettore o chiunque altro possa essere sfiorato dal dubbio che qui a Libero si pensi che quel convoglio di camion sia stata una cinica messa in scena […] Per questo ho chiesto all’azienda la sua immediata sospensione, saranno gli avvocati a decidere il resto ma nessuna carta bollata potrà assemblare i cocci”.


domenica 13 Febbraio 2022

Sbagli che tornano nel giornalismo americano 2

Un’altra storia delicata che sta circolando molto nel mondo dei media americani riguarda ancora degli errori compiuti diversi anni fa e oggi arrivati al pettine: in questo caso non in un tribunale, ma nel podcast di una giornalista, Vicky Ward, che ha raccontato che una sua precoce traccia (era il 2003) sugli abusi criminali di Jeffrey Epstein fu accantonata dall’allora direttore di Vanity Fair Graydon Carter, che scelse di non pubblicare le prime accuse di molestie sessuali contro Epstein raccolte allora da Ward. Secondo Ward una combinazione di complicità maschile tra uomini potenti e timore delle conseguenze spinse Carter (un’istituzione nella storia di Vanity Fair e della mondanità statunitense, direttore dal 1992 al 2017) a non dare seguito alle ipotesi di Ward, che aveva parlato con due vittime di Epstein.
Dopo la ricostruzione di Ward nel suo podcast, il New Yorker (settimanale che appartiene allo stesso gruppo editoriale di Vanity Fair, Condé Nast) ha dedicato un articolo a indagare e verificare le accuse di Ward contro Carter, presentandole come confuse e contraddittorie e di fatto assolvendo l’ex direttore e indicando Ward come una giornalista sulla cui affidabilità c’erano molti dubbi all’interno del giornale. Ward ha risposto nella sua newsletter con un lungo testo indignato (che allude ancora a complicità maschili, ma anche a complicità aziendali) che ha riportato molte delle conversazioni avute tra lei, Carter ed Epstein intorno alle accuse poi taciute nel suo articolo del 2003. E una nuova newsletter, venerdì, che sostiene che la ricostruzione del New Yorker finisca in realtà per darle ragione.
A margine della sostanza del contendere, sono interessanti le riflessioni di Ward sulla difficoltà di ricostruire con certezza ed esattezza i dettagli di cose avvenute quasi vent’anni fa, e di come gli umanissimi dubbi della memoria possano essere usati contro chi li confessa.


domenica 13 Febbraio 2022

Sbagli che tornano nel giornalismo americano 1

È in corso un interessante processo contro il New York Times per una denuncia presentata da Sarah Palin, ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti per il partito Repubblicano. Nel merito c’è accordo tra querelante e querelato: in un editoriale del 2017 il New York Times accusò Palin di avere contribuito a incentivare azioni terroristiche violente contro i membri del parlamento (compreso l’attentato del 2011 contro Gabrielle Giffords), attraverso sue campagne e messaggi descritti in modo errato nell’articolo. Dopo le proteste il giornale corresse l’editoriale, segnalando l’errore in coda, ma Palin presentò lo stesso una denuncia per diffamazione. Durante le udienze di questi giorni stanno emergendo molte questioni significative sul funzionamento dei giornali: la principale è la contraddizione quotidiana tra i tempi immediati di pubblicazione e la necessità di verifiche attente. In quel caso l’editoriale seguiva un nuovo attentato e il giornale ritenne che non potesse essere rimandato, e il difetto di memoria del suo autore non ebbe il tempo di essere verificato e corretto.


domenica 13 Febbraio 2022

Contare gli abbonati ma anche quanto pagano

La newsletter Ellissi di Valerio Bassan ha ripreso una questione accennata nell’intervista della settimana precedente col direttore del Post e ha approfondito le considerazioni su fragilità e ingannevolezza dei numeri degli abbonamenti digitali ai giornali (citando un’altrettanto utile e chiara analisi della newsletter di Lelio Simi, altro esperto di media e innovazione).

“Per misurare il successo di un’azienda subscription-based ci sono tre dati centrali. 

Il numero di subscriber attivi totali; 
Il ricavo medio per utente pagante o per abbonato (ARPPU/ARPS), di cui ti ho parlato sopra; 
Il customer lifetime value (CLTV), ovvero il valore generato dall’utente nel corso della sua lifetime, del suo ciclo di vita come cliente dell’azienda.

Di solito quando un giornale o una piattaforma annunciano il proprio numero di subscriber, quasi mai rivelano la propria ARPPU, il che rende pressoché impossibile capire il reale valore di ciascun abbonato – pardon, abbonamento – attivo.
Questo rende arduo capire anche chi tra Netflix, Amazon, Disney e compagnia stia vincendo la sanguinosa ‘guerra dello streaming’.
Il numero totale dei subscriber, dunque, è ancora un indicatore dello stato di salute di una media company o di una piattaforma video?
Sì, ma omette un pezzo fondamentale della storia, visto che un +25% di abbonati non corrisponde mai a un +25% di profitti.
Se il numero dei subscriber attivi è il termometro posto all’ingresso del supermercato, l’ARPPU è il saturimetro: ci dice quanto ossigeno c’è in un dato momento nel sangue di una azienda.
Per questa ragione è di gran lunga il dato più importante: non solo perché ci aiuta nella diagnosi, ma anche perché ci permette di prevedere meglio cosa succederà in futuro”.


domenica 13 Febbraio 2022

Il Washington Post continua ad allargarsi

La nuova direttrice del Washington Post Sally Buzbee ha annunciato con una lettera interna ma resa pubblica che nel 2022 il giornale assumerà 70 persone nella redazione più altri dipendenti per ruoli nel marketing. Nella lettera indica esplicitamente alcune aree su cui il giornale vorrà investire di più, ovvero “salute e benessere”, ambiente e clima, tecnologia; e anche maggiori risorse e attenzioni fuori da Washington, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.
Il Washington Post è in un’ambiziosa fase di crescita da alcuni anni, grazie agli investimenti del suo editore Jeff Bezos (che lo ha acquistato nel 2013) e a una lungimirante attenzione sugli sviluppi e l’innovazione nell’informazione e nei suoi modelli di business.


domenica 13 Febbraio 2022

Aggiornamenti su Google e giornali

I fronti di contesa maggiori in tutto il mondo sono due, ricordiamo: uno è quello che riguarda l’uso dei contenuti dei siti di news da parte di Google sui suoi motori di ricerca e servizi; l’altro è quello dell’essersi Google impadronito (al pari di Facebook) di una quota prevalente degli investimenti pubblicitari, sottraendoli così alle aziende giornalistiche e alle loro concessionarie di pubblicità. E controllandone funzionamenti e meccanismi a proprio favore.
Sulla prima questione il combattimento è stato per ora risolto grazie alla scelta di Google di pagare i maggiori gruppi editoriali mondiali (ma anche molti minori) per la loro rinuncia a pretese maggiori: soprattutto attraverso il progetto Showcase.
La seconda questione ha a sua volta due fronti aperti: uno è quello generale del potere sproporzionato di Google nel convogliare verso di sé investimenti e ricavi, su cui gli editori in molti paesi stanno aprendo confronti legali in nome soprattutto di violazioni della concorrenza; l’altro è il coltello dalla parte del manico che Google ha nel controllo dei dati degli utenti attraverso il potere e la diffusione del suo browser Chrome, e delle tecnologie relative ai cookie che raccolgono quei dati. Su queste tecnologie Chrome sta introducendo limitazioni che spaventano molto i business online basati sulla pubblicità e anche molte aziende giornalistiche.
Nei giorni scorsi sono successe due cose nuove, aggregate insieme in questo articolo del sito PressGazette: un consorzio di editori di giornali europei ha annunciato di voler denunciare Google alla Commissione Europea per pratiche contro la libera concorrenza, e Google ha acconsentito a sottoporre all’approvazione dell’autorità britannica sulla concorrenza le novità che introdurrà sui cookie.


domenica 13 Febbraio 2022

I quotidiani a dicembre

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a dicembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo mese piccoli inconsueti recuperi rispetto al mese precedente da parte di alcuni quotidiani nazionali (su cui possono influire anche variabili occasionali, come il numero maggiore di giorni festivi): ma si fa notare solo il calo maggiore del Sole 24 Ore.

Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti salvo un piccolo guadagno per il Messaggero (che però era andato molto male a dicembre 2020), e di nuovo con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 18% in un anno (staccando ormai di molto il suo rivale Libero e superando il Giornale, ma il dato è ancora discutibile, come diciamo sotto). A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche Avvenire e il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 27% delle copie il Giornale. Anche il Fatto ha iniziato a ridimensionare i successi del 2020. Tutte tendenze simili a quelle del mese passato.

Come sempre vale la pena considerare un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi”, per avere un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Ottenendo questi numeri, e il risultato migliore per il Corriere della Sera, rispetto a novembre:
Corriere della Sera 186.512
Repubblica 136.121
Stampa 88.568

Resto del Carlino 66.287
Sole 24 Ore 66.177
Messaggero 56.790
Fatto 47.583
Nazione 44.447
Gazzettino 39.361
Giornale 33.317

Notevoli sono il “sorpasso” del Resto del Carlino sul Sole 24 Ore, e il distacco mantenuto dal Giornale sulla Verità, che nel suo totale dichiara una quota assai maggiore di copie digitali scontatissime.
Altri giornali nazionali:
Verità 30.625
Libero 20.402
Avvenire 16.634
Manifesto 12.836
ItaliaOggi 9.743

(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)

Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che spiegano le discrepanze tra i due conti – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70% del prezzo: 45mila e 35mila, dietro di loro c’è Repubblica con 10mila.
– il numero di copie cartacee dichiarate dal Fatto è ormai stabilmente inferiore a quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 62mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, 21mila, in gran parte digitali.
– delle 22mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora AvvenireMessaggeroSole 24 Ore e Gazzettino.
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” (ovvero duplicati nel conteggio totale) sono Corriere della SeraSole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
– la Stampa indica un numero molto rotondo di “copie digitali individuali” a prezzo superiore al 30% (10.000) frutto probabilmente di un’approssimazione occasionale.
Ricordiamo che per tutte le testate sono considerate copie digitali vendute anche tutte quelle che vengono vendute a un prezzo scontato fino al 70%.

(Avvenire, Manifesto, Libero ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)


domenica 13 Febbraio 2022

La fine del modello “blogger ospite”?

È arrivata anche sui quotidiani italiani una storia di truffe americane che ha un riflesso anche su dei meccanismi contemporanei e discussi di alcuni siti di news. La storia è l’arresto con l’accusa di avere progettato una truffa legata ai bitcoin di una donna con eclettiche attività, tra cui quella di “collaboratrice” del sito di Forbes, la rivista finanziaria di grande fama internazionale. Fama che ormai è molto immeritata, come ha spiegato un articolo sul sito NiemanLab, perché Forbes ha perso grande parte del suo credito diventando il contenitore di molte cose di bassa qualità e poche garanzie di affidabilità, soprattutto per avere scelto anni fa di offrire spazi gratuiti online a migliaia di autori diversi, non retribuiti e con nessun controllo su ciò che pubblicano. Questa opportunità, che Forbes usa per ragioni di numeri e traffico, ha creato un grande mercato di articoli promozionali che gli autori vendono a chi desideri poter dire o scrivere di essere stato “citato da Forbes” per la propria azienda, il proprio nome o il proprio prodotto. La persona arrestata era uno di questi autori.
L’articolo di NiemanLab ricorda come questo meccanismo sia stato sfruttato per primo e con grande dispiego di “blogger” soprattutto dallo Huffington Post, che però ha eliminato quattro anni fa tutti i blog non retribuiti. Lo HuffPost italiano oggi ne ospita un centinaio, ma sono quasi tutti assegnati ad autori in qualche modo qualificati o noti (il Post adottò nei suoi primi anni una scelta simile per un numero molto più esiguo di autori scelti e verificati, che oggi sono quasi tutti retribuiti).


domenica 6 Febbraio 2022

La gara è truccata

Su Charlie ci ripetiamo spesso a proposito dell’inefficacia dei contributi pubblici diretti ai giornali: che si definiscono destinati al “pluralismo” e in questo senso aumentano certamente la pluralità di testate esistenti, ma inevitabilmente non possono valutare la qualità del servizio informativo di quelle testate, che è ciò che sarebbe nell’interesse della comunità e dello Stato. Il pluralismo senza una qualità di informazione serve quindi a poco: e quei soldi finiscono per sovvenzionare una buona informazione solo casualmente e parzialmente, e altrettanto casualmente ne sovvenzionano di cattiva.
Ma c’è un altro aspetto “distorsivo” nell’erogazione dei contributi diretti a cui abbiamo accennato, e che in queste settimane ha un esempio palese e comprensibile. Dal momento che i criteri per accedere ai contributi possono essere in buona parte soddisfatti attraverso la creazione di strutture formali (cooperative, soprattutto) che non cambiano la natura societaria delle aziende giornalistiche, la differenza di condizione tra alcune testate che vengono finanziate e altre che invece no è inesistente, e questo crea una discriminazione di fatto alla libera concorrenza. Prendete la vivace competizione che si sta sviluppando tra i quotidiani italiani di destra, con
Libero che cerca di rincorrere i recenti successi della Verità, e un gran lavoro di entrambi nel convincere gli inserzionisti a preferire l’uno o l’altro: bene, in questa competizione lo Stato – e le persone che pagano le tasse, e il canone Rai – dà a Libero cinque milioni e mezzo di euro che la Verità non riceve. E lo stesso si può dire degli altri giornali che si possono permettere grazie ai contributi pubblici investimenti sui contenuti o sulla promozione, sottraendo lettori a chi quei contributi non li riceve (in Trentino-Alto Adige c’è un quasi monopolio dell’informazione, ricco e potente: ed è ampiamente sovvenzionato dallo Stato). Se è vero, come è vero, che tra le testate beneficiarie ce ne sono che rispondono correttamente ai criteri richiesti, o che producono informazione utile alla comunità, e se è vero, come è vero, che è purtroppo illusorio pensare di azzerare il groviglio di interessi e spartizioni politiche e clientelari che è alla base della attuale distribuzione, bisognerebbe almeno ridurre il peso – assai maggiore – dei suoi effetti negativi: stabilendo per esempio un limite, tra l’1 e il 2% del totale, alle contribuzioni per ciascuna testata beneficiata.

Fine di questo prologo.


domenica 6 Febbraio 2022

Correzioni, imbarazzate

Con un lapsus così freudiano dall’aver fatto sospettare molti lettori di Charlie che ci fosse una intenzione deliberata di fare gli spiritosi (grazie, ci sopravvalutate), la settimana scorsa questa newsletter ha titolato la sua ultima notizia “Gli errori capitano” e ha poi riferito di un incidente al “Giornale di Vincenza”. Un involontario eccesso di solidarietà coi colleghi vicentini di cui ci scusiamo col resto della penisola.


domenica 6 Febbraio 2022

Parlarsi addosso

La newsletter Ellissi, dedicata “all’intersezione tra media, business, marketing e strategia digitale”, ha intervistato il direttore del Post Luca Sofri, su bilanci degli ultimi anni e sviluppi dei prossimi.
“è la qualità del contenuto a fare la differenza, non il formato. Morning è un successo più per la bravura di Francesco [Costa, ndr] che per il fatto di essere un podcast in sé. La strategia sarà replicabile, quindi, solo se avremo delle buone idee su cui lavorare. La scelta del formato – newsletter? Podcast? Qualcos’altro? – per noi avviene a valle e non a monte”.


domenica 6 Febbraio 2022

Non benissimo

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato un rapporto sui “bilanci dell’editoria quotidiana e periodica” per gli anni 2016-2020. È un documento interessante che si può leggere qui, e che indica tra le altre cose che:

– “l’andamento aggregato dei ricavi delle principali imprese operanti nel settore dell’editoria quotidiana e periodica, registra una riduzione complessiva del 27,2% passando 4,51 a 3,28 mld. di €, con una contrazione media annua del 7,6%. I ricavi domestici mostrano una flessione del 14,0% riducendosi, corrispondentemente da 3,43 a 2,95 mld. di €.”
– “i proventi editoriali rappresentano il 40,1%, seguiti dai ricavi pubblicitari per il 29,2% e da quelli attribuibili all’editoria libraria che pesano per il 14,4%. Nel quinquennio considerato, gli introiti pubblicitari sono quelli che hanno sofferto maggiormente della crisi (-30,1% nel periodo), mentre l’andamento dei proventi da editoria libraria sono risultati maggiormente stabili, con una flessione limitata al 6%. Va tuttavia sottolineato che i tre comparti principali (ricavi editoriali, ricavi pubblicitari e ricavi da editoria libraria) registrano nell’ultimo anno una perdita complessiva pari al 13,1%”.
– “Nel periodo considerato, gli addetti delle principali imprese del settore si sono ridotti complessivamente di oltre 2.000 unità (-11,4%), passando da un totale di 13.000 addetti nel 2016 a 11.000 nel 2020. Nel 2020, la flessione su base annua, circa 400 unità, è attribuibile principalmente alle riorganizzazioni aziendali poste in essere dai gruppi GEDI e Mondadori”.


domenica 6 Febbraio 2022

Mister Bonaventura

Per quello che valgono – in termini di notizia – queste continue esibizioni di numeri di abbonati da parte delle stesse testate, il New York Times ha annunciato di avere raggiunto il numero di dieci milioni, aiutato dall’acquisizione del sito The Athletic.


domenica 6 Febbraio 2022

Oops

Ai vari errori e incidenti ordinari che capitano nel lavoro di una redazione, internet ne ha aggiunto uno, frutto delle disintermediazioni e della peraltro preziosa autonomia dei giornalisti: la pubblicazione-per-sbaglio. Basta un clic e articoli non ancora pronti o non controllati finiscono online e anche nei pochi secondi prima che si possa rimediare vengono letti da migliaia di persone. Oppure sono articoli preparati per un’eventualità possibile (primi tra tutti i necrologi di persone famose e malate o anziane), che diventano come un’arma a cui è tolta la sicura. A volte sono cose indolori, altre volte il risultato genera maggiori imbarazzi e maggiori agitazioni tra gli interessati, come con il sito di Bloomberg che sabato ha pubblicato queste scuse:

“Prepariamo titoli per molti scenari e il titolo “La Russia invade l’Ucraina” è stato pubblicato inavvertitamente intorno alle 16 di oggi sul nostro sito. Ci dispiace profondamente dell’errore. Il titolo è stato rimosso e ne stiamo indagando la causa”.


domenica 6 Febbraio 2022

Valigia Blu e i suoi sostenitori

Valigia Blu ha raggiunto ancora, anche quest’anno, l’obiettivo che si era data di raccolta di contributi da parte dei suoi lettori. Valigia Blu è un sito di news nato come emanazione del Festival del Giornalismo di Perugia ma che da anni si è preso uno spazio e una visibilità online raccogliendo apprezzamenti legati soprattutto al lavoro di verifica e “debunking” delle notizie false, alle riflessioni sull’informazione e al “giornalismo esplicativo”. Si sostiene con i contributi dei lettori, promuovendo ogni anno campagne puntuali di contributo.


domenica 6 Febbraio 2022

Giochi preziosi

Proseguendo l’investimento sui giochi che ha dato straordinari risultati nel coinvolgimento di nuovi abbonati, il New York Times ha comprato Wordle, il gioco online con le parole che aveva avuto un grande successo “virale” nelle passate settimane.


domenica 6 Febbraio 2022

Le convocazioni aperte di Open

Enrico Mentana, che ha creato il giornale online Open tre anni fa, tenendo una posizione di “fondatore” sul giornale che non ha un direttore da quasi un anno, ha comunicato sui social network che Open – da cui erano andati via alcuni giornalisti – ne assumerà quattro nuovi, invitando a mandare curriculum fino al venerdì passato. Intanto il mese scorso David Puente è diventato vicedirettore.


domenica 6 Febbraio 2022

Repubblica costa di più

Dopo i già delicati e mal digeriti aumenti del prezzo nel weekend, Repubblica ha comunicato che il giornale costerà di più anche nei giorni feriali: da 1,50 a 1,70 euro.


domenica 6 Febbraio 2022

I contributi pubblici a chi rende gli articoli pubblici

Negli Stati Uniti continua il dibattito sulla necessità di sostenere i giornali “locali” (che ricordiamo negli Stati Uniti essere quasi tutti) con degli interventi pubblici e sui rischi connessi. Tra gli sviluppi più recenti c’è l’intervenuto timore che le sovvenzioni sia pubbliche che di grandi fondazioni private si indirizzino in maniera conservatrice (“salvare” i giornali esistenti piuttosto che incentivarne nuovi) verso città e aree con comunità abituate a essere più servite dall’informazione, piuttosto che verso quelle già tradizionalmente poco informate. Differenza che si tradurrebbe in informazione di maggior qualità garantita alle città con un elettorato più progressista e Democratico, e di cui resterebbero private le zone a elettorato più di destra o trumpiano, abituate a essere informate solo dai network televisivi e da Fox in particolare.
Un’altra notizia interessante è una proposta di legge californiana per contributi che siano basati su un esame di progetti di informazione di servizio pubblico, e che uno dei criteri principali sia che i giornali sovvenzionati garantiscano accessibilità a tutti, senza limiti o paywall, e anche che i progetti giornalistici sovvenzionati siano liberi da diritti in modo che possano essere condivisi e diffusi il più possibile. Scelta che attenuerebbe il rischio, di cui si è parlato molto, che i beneficiari dell’informazione di qualità siano solo coloro che sono in grado di pagarla.


domenica 6 Febbraio 2022

Infowars

C’è una contesa info-diplomatica tra Russia e Germania. L’ente tedesco che assegna le concessioni alle frequenze televisive ha deciso la chiusura della versione tedesca di Russia Today, l’ambiziosa e famigerata rete televisiva russa che funziona in gran parte come strumento di propaganda del regime russo e di diffusione di notizie false. Secondo l’ente tedesco le trasmissioni – iniziate a dicembre – non hanno le autorizzazioni di legge. Russia Today era stata accusata nelle settimane passate di disinformazione sul coronavirus.
Per ritorsione il governo russo ha annunciato che chiuderà gli uffici della tv pubblica tedesca Deutsche Welle.


domenica 6 Febbraio 2022

Severi coi social

A seguito di altre minori perdite di controllo e di trasparenza sui contenuti pubblicitari online, c’è stata una contestazione interna a Repubblicariferisce il sito Professione Reporter. Ma la protesta che viene citata sembra segnalare più una contesa tra la redazione e chi si occupa del sito e dei social network, piuttosto che notare un problema deontologico che riguarda più visibilmente le stesse pagine del giornale.
“Cari colleghi – scrivono i redattori degli Interni al Cdr – in allegato troverete dei post e articoli pubblicati sui nostri social e sul nostro sito. Sono contenuti che confondono i lettori, con poco giornalismo e molta pubblicità, e che dequalificano il nome, il marchio “Repubblica”.  Li riteniamo deontologicamente scorretti e oltretutto, temiamo, anche passibili di provvedimenti esterni proprio per la confusione e commistione che generano. Stiamo assistendo da tempo a un decadimento qualitativo e informativo dei contenuti che vengono pubblicati sui social (e anche sul sito), ma qui siamo di fronte a réclame vere e proprie”.


domenica 6 Febbraio 2022

Altri esempi di fluidità

Le citiamo meno spesso su Charlie, ma le sovrapposizioni e confusioni tra articoli giornalistici e articoli promozionali sui quotidiani continuano a essere molto frequenti, e a mostrare la perdita di autonomia delle redazioni e l’occupazione sempre maggiore di spazi decisionali da parte delle concessionarie di pubblicità nella confezione dei giornali. Per non perdere di vista questo aspetto – fondamentale nella comprensione delle scelte dei giornali – segnaliamo in queste due ultime settimane una manciata di esempi più vistosi solo sui quotidiani maggiori: gli articoli celebrativi e aziendalisti sull’anniversario di Pirelli nei giorni delle numerose pagine pubblicitarie comprate da Pirelli, gli annunci sui successi della società A2A nei giorni di estese campagne pubblicitarie di A2A, lo spazio dato alle acquisizioni di Arvedi nei giorni di pagine pubblicitarie di Arvedi, le interviste ai dirigenti di MSC vicine alle pagine pubblicitarie di MSC, gli articoli sulle (benemerite, certo) iniziative di AIRC durante le campagne pubblicitarie pagate da AIRC, le celebrazioni in prima pagina dei Baci Perugina nei giorni delle campagne per l’anniversario dei Baci Perugina.


domenica 6 Febbraio 2022

Diverse notizie in una, nuove e vecchie

La redazione del Giornale di Brescia è stata informata che dal 21 febbraio assumerà il ruolo di vicedirettrice Anna Masera, giornalista tra le più precoci in Italia a occuparsi di innovazione digitale e di internet dagli anni Novanta, prima a Panorama e poi alla Stampa, dove negli ultimi anni era stata “public editor” (e come tale è stata spesso citata in questa newsletter).
Ma la prima di queste newsletter, invece, ad agosto del 2020 fece i conti sulla minima presenza di donne nei ruoli direttivi dei quotidiani, sintetizzata dal dato per cui nei trenta quotidiani a maggiore diffusione in Italia le direttrici fossero soltanto due. Il dato è rimasto lo stesso (anzi, vale anche per le prime quaranta testate), ma uno dei due quotidiani che è diretto da una donna è appunto il Giornale di Brescia (l’altro è la Nazione), che ora è l’unico ad avere una direttrice e una vicedirettrice.


domenica 6 Febbraio 2022

Stanno cercando di fregarvi

James Fallows è un illustre giornalista americano di 72 anni, che è stato a lungo uno degli autori più importanti del magazine Atlantic (oggi uno dei siti di approfondimento e news più importanti e riusciti), ha scritto per molte altre testate e per due anni ha fatto anche lo speechwriter del presidente Jimmy Carter. Da qualche mese ha una newsletter su Substack, in cui questa settimana ha descritto alcuni meccanismi con cui fatti e notizie non falsi o infondati vengono messi in contesti che ne forzano l’interpretazione (“framing the news”), ingannando i lettori. Uno di questi, riconoscibile anche in molta produzione giornalistica e saggistica italiana, è “stanno cercando di fregarvi” o “di prendersi ciò che è vostro”. Traducendo i suoi esempi nelle consuetudini giornalistiche italiane, può essere “la casta”, “il gender”, “i clandestini”, “l’Europa”, ma anche “la sinistra”.
«Può riferirsi a chiunque e a qualunque cosa. Ma sono loro. Imbrogliano e complottano contro di voi. E contro la gente come noi. È una triste ma fondata verità della vita che più le persone invecchiano e più sono predisposte a una lettura del mondo “qualcuno vuole fregarmi”».
Fallows spiega che “un pubblico spaventato è un pubblico fedele”, e questo tipo di narrazione dei fatti – che li confeziona suggerendo pericoli diretti esplicitamente verso il lettore, o spettatore – è un successo in termini commerciali, ma tossico per la convivenza civile, e attecchisce di più presso i pubblici più anziani. Da noi, è facile vederlo dispiegato nelle titolazioni che privilegiano l’indicazione di nemici, responsabili e capri espiatori rispetto alla descrizione degli eventi e fatti in questione.


domenica 6 Febbraio 2022

Altri movimenti tra i quotidiani di destra

Questa volta non si tratta della consueta circolazione dei direttori, né delle polemiche e competizioni delle scorse settimane tra i direttori stessi: ma di possibili cambiamenti più radicali, con Antonio Angelucci – deputato di Forza Italia di fortune economiche legate alle cliniche private – che già possiede il Tempo e Libero (malgrado quest’ultimo si avvalga dei contributi pubblici diretti presentandosi formalmente come cooperativa) e che sta trattando per acquistare il Giornale, la cui maggioranza è posseduta da Paolo Berlusconi, mentre una quota minore è di Mondadori (editore a sua volta di proprietà della famiglia Berlusconi).
Della trattativa hanno parlato alcuni giornali nei giorni scorsi: avrebbe l’interesse di Mondadori, che da tempo si sta liberando di molte proprietà tra i giornali concentrandosi sui libri. Sarebbe una cessione con molte implicazioni politiche e simboliche: da una “scissione” del Giornale era nato Libero, ma ultimamente entrambe le testate stanno venendo superate in diffusione dalla Verità, nata da un’ulteriore distacco da Libero. Il Giornale è di fatto l’organo di Forza Italia, mentre Libero ha sostenuto molto di più la Lega e Matteo Salvini. Dice la Stampa:
“orizzonte di questa acquisizione, è evidente, è la creazione di un polo editoriale della destra italiana. Lo schema della fusione prevede una sinergia tra testate. Una delle ipotesi che circola è di agganciare Il Tempo e Libero come cronache cittadine, rispettivamente di Roma e di Milano, a Il Giornale che invece offrirebbe la parte nazionale”.


domenica 6 Febbraio 2022

Morning show in CNN

L’avvenimento della settimana tra i grandi media americani sono state le dimissioni di Jeff Zucker, presidente di CNN, responsabile delle grandi trasformazioni e dei successi – anche discussi – della rete in questi anni. Come scrivevamo su Charlie l’anno passato, CNN non è più infatti la rete delle news e dei fatti “distaccati” di cui il mondo si era fatto un’idea dalla sua nascita, ma una testata tra quelle divenute più vivacemente partigiane soprattutto durante l’amministrazione Trump – contro Trump – e dove Zucker (che era in carica dal 2013, e che prima di farlo attaccare da CNN aveva costruito il successo televisivo di Trump quando era capo di NBC) aveva spinto in generale verso una forte personalizzazione ed emotività da parte dei conduttori e giornalisti, ritenendo questo indirizzo più adeguato ai tempi e ai gusti del pubblico, che gli ha dato ragione. Ma negli ultimi mesi CNN era stata penalizzata anche più delle altre organizzazioni giornalistiche dal calo di interesse sulla politica dopo l’elezione di Joe Biden.
Giovedì Zucker si è dimesso con una dichiarazione che attribuisce la decisione alla sua responsabilità nel non dichiarare all’azienda una sua relazione con una dirigente della rete, relazione che si è trovato a dover confessare durante le indagini interne su Chris Cuomo, il giornalista sospeso dopo le accuse di aver inopportunamente aiutato la difesa di suo fratello Andrew, governatore di New York accusato di diversi casi di molestie sessuali.
La spiegazione delle dimissioni però ha convinto pochi degli osservatori del mondo dell’informazione: Zucker e la sua partner sono entrambi divorziati, e la relazione non era così segreta, e quindi ci sono molti commenti e ipotesi su eventuali ragioni di scala maggiore, che abbiano a che fare con ritorsioni di Chris Cuomo o dello stesso Trump, o con scelte e questioni di scala ancora maggiore. Warner Media, la società che possiede CNN, sta concludendo una grossissima fusione con la rete Discovery.


domenica 6 Febbraio 2022

Chi si porta a casa mezzo montepremi

La grande società di consulenza internazionale Ebiquity ha diffuso dei numeri impressionanti sul potere delle tre maggiori società digitali sul mercato pubblicitario: Amazon, Alphabet (ovvero Google) e Meta (ovvero Facebook) avrebbero raccolto nel 2021 il 74% degli investimenti pubblicitari digitali nel mondo, equivalente al 47% di tutti gli investimenti pubblicitari. Immaginando che questa piega prosegua (le quote erano 67% e 39% nel 2020), nel 2022 queste tre società avrebbero la maggioranza di tutto il mercato pubblicitario mondiale. Per quanto pertiene ai temi di questa newsletter, una sensibile quota di questi soldi è tolta ai tradizionali percorsi di ricavo pubblicitario dei giornali


domenica 30 Gennaio 2022

Gli errori capitano

La cosa che fa la differenza è quanto ci si sta attenti; una seconda cosa che fa una differenza è con quale severità o indulgenza si fa autocritica. Il Giornale di Vicenza ha avuto un incidente imbarazzante e l’ha trattato con apprezzabile imbarazzo.


domenica 30 Gennaio 2022

Le “home page” stanno strette

Un tempo erano la cosa più vista e visibile dei siti di news, e anche il loro modo principale di mostrarsi e di promuovere se stessi e i propri contenuti. Da quando l’uso di internet si è spostato in grandissima prevalenza sugli smartphone (dove oggi quasi tutti i giornali online registrano tra il 65% e l’85% delle visite), le opportunità di disporre i contenuti in modi più vari e attraenti si sono molto ridotte: lo schermo è piccolo, l’abitudine d’uso è governata quasi soltanto dallo “scroll”. Il risultato è che alle home page su desktop si sono sostituite quelle su mobile, come spazio più frequentato e familiare, che nella quasi totalità aderiscono con variazioni limitate al formato della “timeline”: una serie di “post” disposti in successione verticale, più o meno identici tra loro oppure con poche alternative formali.
Nel tentativo di diversificare e darsi identità più originali e riconoscibili, senza rischiare di diminuire l’attrattiva dei contenuti o la loro quantità, i diversi giornali fanno piccoli esperimenti con la visualizzazione delle loro pagine web su mobile, o delle loro pagine sulle app. Al New York Times hanno raccontato una disposizione dei contenuti che è stata introdotta da alcuni mesi: sfrutta uno “scroll” orizzontale, alternato a quello consueto, e lo hanno chiamato Bursts.


domenica 30 Gennaio 2022

Domande stupide

Il presidente degli Stati Uniti ha dato dello “stupido figlio di puttana” a un giornalista della tv Fox News che gli aveva fatto una domanda, pensando – Biden – di non essere ascoltato. L’irritazione di Biden si doveva al fatto che la domanda era una di quelle che non prevedono possibili alternative e servono solo a mettere in difficoltà l’interrogato e a ottenere una reazione: “pensa che l’inflazione potrà nuocervi, alle elezioni di midterm?”. Lo stesso giornalista aveva ricevuto una risposta più efficace da John McCain cinque anni fa, di fronte a una simile provocazione: McCain gli aveva spiegato che era una domanda cretina.

Capita spesso però che le persone siano impressionate dalla povertà delle domande dei giornalisti che vengono mostrate in video o alla tv (ma a volte anche da quelle che i giornalisti riportano nelle interviste scritte): molte sembrano proprio stupide, e un’occasione in cui il pubblico lo ha notato spesso in questi due anni sono state le conferenze stampa delle istituzioni sulla pandemia trasmesse in diretta. E se è vero che molte di queste sono stupide e basta, e diventano un’occasione sprecata di farsi dire qualcosa di interessante per il pubblico, altre volte sono appunto un tentativo – non sempre riuscito, non sempre apprezzabile – di ottenere dall’interrogato una risposta o una reazione qualunque che diventi una notizia su un tema delicato o potenzialmente interessante (nel caso di Biden ha funzionato, anche se in modo imprevisto). Bisogna avere presente che per raccogliere informazioni utili ci sono molti altri canali meno diretti e pubblici, per i giornalisti: quando intervistano il personaggio pubblico – o anche il politico per strada – per i giornalisti conterà che una cosa sia stata detta da quel personaggio, non che sia utile al pubblico o a spiegare qualcosa.


domenica 30 Gennaio 2022

Sui compensi dei collaboratori

La settimana scorsa Charlie ha pubblicato una raccolta di informazioni sui compensi attribuiti da alcuni giornali e siti di news ai collaboratori esterni, indicando come quelle tariffe fossero una base abituale e frequente ma anche soggette a molte variabili. I dati hanno ricevuto molte conferme tra i giornalisti che hanno scritto a Charlie e tra chi ha commentato sui social network. Tra questi, il sito del Fatto ha voluto definire con maggiore completezza le cifre, attraverso due tweet (e grazie per essersi fatti vivi con Charlie, che raccoglie sempre volentieri informazioni dirette).

“i compensi del fattoquotidiano.it non sono corretti: oltre alla fascia da 30 euro, c’è anche quella da 60 euro, per i pezzi collocati negli spazi più alti dell’homepage, indipendentemente dalla lunghezza.
E poi 110 euro come base per i contenuti video. Ma soprattutto, negli anni, abbiamo ridotto i borderò e raddoppiato i contratti ai nostri collaboratori. Dobbiamo migliorare, ma cerchiamo di prestare attenzione ai compensi e ai percorsi dei colleghi”.


domenica 30 Gennaio 2022

La visita di Schrödinger

Una storia invece italiana che possiamo associare alla precedente, ma che ha avuto molti meno sviluppi, è quella del presunto incontro tra Matteo Salvini e il giurista Sabino Cassese nei giorni delle trattative per la scelta di un candidato alla presidenza della Repubblica. Mercoledì scorso il Foglio ha pubblicato online un breve articolo che rivelava la visita di Salvini a casa di Cassese, e in quel momento di stallo e misteri sulle trattative è stata una notizia e un suggerimento di un’ipotesi – quella di una candidatura Cassese, che però il Foglio non ha mai direttamente evocato – piuttosto rilevante. Ma immediatamente “fonti della Lega” hanno smentito l’incontro, e poco dopo lo ha fatto direttamente lo stesso Salvini in diretta tv, rispondendo ai giornalisti che lo avevano raggiunto per strada. Nelle ore successive – mentre il nome di Cassese entrava nel dibattito sulle candidature su tutti i mezzi di informazione – il Foglio (di cui Cassese è un frequente collaboratore) ha invece confermato la sua versione, e lo ha fatto pubblicamente anche il suo direttore Claudio Cerasa.
Nessuno ha ulteriormente dato seguito per definire coi fatti chi abbia detto la verità e chi mentito.


domenica 30 Gennaio 2022

Le parole per dirlo

Questa settimana negli Stati Uniti c’è stata una polemica giornalistica di quelle che capitano solo tra i rigori serissimi che riguardano il giornalismo di quel paese, e sono certamente impensabili da noi, per esempio. Una nota giornalista che è l’esperta della radio pubblica NPR sulla Corte Suprema, Nina Totenberg (avevamo parlato di lei già qui), ha scritto che uno dei giudici della Corte, il presidente Roberts, avrebbe chiesto “in qualche modo” ai suoi colleghi di indossare la mascherina durante le sedute: la questione ha delle implicazioni, perché uno dei giudici non l’ha indossata e un’altra ha scelto di collegarsi da remoto, e questo potrebbe confermare tensioni e dissensi anche su cose apparentemente accessorie.
Solo che Roberts ha smentito di avere fatto qualunque richiesta del genere, e i critici di Totenberg e NPR ne hanno approfittato per attaccare entrambi. Totenberg ha allora confermato la sua versione, ma invece la “public editor” di NPR (interna ma indipendente) ha pubblicato un articolo in cui invitava la radio a maggior chiarezza e spiegazioni sulla sua versione. Secondo la public editor l’espressione “ha chiesto in qualche modo” è vaga ed elusiva (“ha usato il verbo sbagliato”), secondo Totenberg le sue fonti non le hanno dato maggiori informazioni di così. NPR non ha voluto intervenire oltre, ma in una successiva versione Totenberg ha usato invece il verbo “suggerito”.


domenica 30 Gennaio 2022

Il prezzo della carta

Qualche mese fa si è capito che la crisi delle forniture di materie prime che ha riguardato molti settori produttivi dopo la pandemia stava diventando un problema anche per l’editoria: aveva cominciato a mancare la carta per i libri. Ma la carenza riguarda anche i giornali, e questa settimana ne ha scritto il quotidiano Domani, che ha anche annunciato – con un articolo del suo direttore – di avere cambiato tipo di carta su cui è stampato il giornale, in conseguenza di questo.
«Qualche settimana fa ci arriva la comunicazione dello stampatore: la carta da 52 grammi è finita. Non è questione di prezzo, non esiste più.

Resta una sola alternativa, passare a quella più leggera, da 42, che però nel frattempo è diventata incredibilmente costosa (l’ultima riserva di 52 grammi la conserviamo per qualche DopoDomani speciale) […] Almeno per ora noi eviteremo di alzare il prezzo della singola copia, però questa è la pressione che si riversa su tutto il settore (e sappiamo che i prezzi dei prodotti al consumo, quando aumentano difficilmente poi si riducono).
Insomma, quando sentirete tra le mani una copia di Domani più sottile e vi chiederete cos’è successo, sappiate che quello che stringete tra le mani è la sintesi dei grandi cambiamenti nell’economia mondiale post-Covid. Le mutazioni del capitalismo in dieci grammi di carta mancanti
».


domenica 30 Gennaio 2022

Google e i cookie: la novità

La novità è che dopo mesi di critiche al nuovo approccio che aveva proposto, Google ha deciso di accantonarlo. E di sostituire il progetto “FLoC” con un nuovo progetto “Topics“: che non è stato molto chiarito ancora, ma il riassunto è che Topics individuerebbe per ogni utente del browser Chrome cinque “argomenti” di interesse ogni settimana (tra 300 definiti), e permetterebbe di indirizzare le inserzioni pubblicitarie sulla base di tre di quelli, scelti casualmente dalle ultime tre settimane. Dalle prime sommarie analisi il sistema sembrerebbe venire incontro ai dubbi che riguardavano la tutela della privacy della navigazione, ma ridurrebbe ulteriormente la disponibilità di dati per gli inserzionisti e per le piattaforme e i servizi che gestiscono la pubblicità, riducendo molto l’efficacia della profilazione. E ci sono quindi già molte perplessità. Le aziende giornalistiche che ricevono ricavi pubblicitari da concessionarie e intermediari devono probabilmente ancora capire ed elaborare, ma non saranno soddisfatte neanche loro.


domenica 30 Gennaio 2022

Google e i cookie: un ripasso

La questione delle scelte di Google rispetto ai “cookie di terze parti” era stata l’agitazione principale di editori e siti che si sostengono attraverso la pubblicità, un anno fa, e poi era stata sospesa in attesa che venisse digerita e che ci si inventassero delle alternative.

Il sistema dei cookie di terze parti implica delle ingerenze nella privacy evidenti – malgrado noi le consentiamo quando accettiamo sbrigativamente quelle condizioni che troviamo sui siti alle nostre prime visite – e il dibattito sul limitarle dura da molto, ma la questione ha subito un’enorme accelerazione quando si è mossa Google, come sempre. Che all’inizio dell’anno passato ha annunciato che avrebbe inibito l’uso dei cookie di terze parti sui propri browser Chrome, adducendo appunto ragioni di maggior rispetto della privacy. Che sono da una parte fondate senza essere disinteressate: Google percepisce la domanda da parte dei propri utenti e cerca di rispondere. D’altra parte Google ha interesse ad aumentare ancora di più il proprio potere sul mercato dei dati e della pubblicità proponendo soluzioni sempre più adeguate a questo. E la proposta che ha fatto è una soluzione tecnologica dal buffo nome (sembra una puntata del Trono di Spade): Federated Learning of Cohorts, abbreviato in FLoC. Vuol dire, grossomodo, “apprendimento collaborativo delle coorti”. Per farla davvero molto breve, l’idea è la creazione di un sistema di categorie di utenti (moltissime, le coorti) che riconosca a quale di queste appartenga ciascuno di noi quando visita un sito, senza identificarci singolarmente. La proposta ha inizialmente spiazzato i moltissimi coinvolti (ovvero chiunque usi internet, nei fatti), presentandosi come un servizio di rispetto della privacy. Ma presto se ne sono comprese anche le implicazioni in termini di maggiore potere affidato a Google, e di possibili violazioni diverse della privacy stessa. Oltre che di sovversione del mercato pubblicitario pericolosa per molte aziende e business. Quindi in questi mesi in cui Google sta avviando la sperimentazione del sistema ci sono molte diffidenze e cautele, anche nelle aziende giornalistiche in cui si cerca di capire se e come adeguarsi, se ci siano più rischi o più opportunità, se collaborare con Google o provare a mettersi di traverso”.
Trovate una più estesa spiegazione delle puntate precedenti qui.


domenica 23 Gennaio 2022

I giornali spiegati bene

Sabato prossimo al Circolo dei lettori di Torino riprendono le rassegne stampa del Post con Luca Sofri e Francesco Costa, alle 11.


domenica 23 Gennaio 2022

Avere i titoli

Il direttore del Post ha pubblicato una breve considerazione su Twitter a proposito di un tratto dei quotidiani italiani del tutto peculiare e unico rispetto agli altri paesi, l’inclinazione ormai diffusa su quasi tutte le testate a preferire sulle loro prime pagine dei titoli maggiori fatti di giochi di parole, o di formulazioni “cinematografiche” ed enfatiche, piuttosto che descrittive della notizia: consuetudine un tempo più normale e radicata nella titolazione degli articoli delle riviste, e più in generale di quelli meno legati all’attualità immediata. Iniziò tanti anni fa il Manifesto, a farlo con frequenza quotidiana, poi si aggiunsero i quotidiani sportivi, oggi si è convinta della scelta la maggioranza dei giornali: ed è una cosa che all’estero avviene con questa assiduità solo sui giornali “tabloid” più scandalistici o screditati. Ma a giudicare dai commenti online una buona parte dei lettori sembra apprezzarli.