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  • Giovedì 7 ottobre 2021

«In che modo l’informazione può sopravvivere?»

Se lo chiede Jill Abramson, prima direttrice del New York Times, nel suo saggio sul giornalismo contemporaneo uscito oggi in italiano

La sede del New York Times (AP Photo/Mark Lennihan, File, La Presse)
La sede del New York Times (AP Photo/Mark Lennihan, File, La Presse)

È uscito nelle librerie Mercanti di verità, il saggio sul giornalismo contemporaneo scritto da Jill Abramson, prima (e unica) donna ad aver diretto il New York Times e oggi editorialista politica al Guardian e docente all’Università di Harvard. Il libro è dedicato in particolare ai quotidiani americani New York Times e Washington Post, e ai siti di notizie e altre cose BuzzFeed e Vice, ma racconta e spiega in generale le difficoltà e le sfide per i giornali tradizionali, da un lato, e le opportunità e innovazioni portate dall’uso dei mezzi digitali, dall’altro. Pubblichiamo l’introduzione all’edizione italiana, realizzata da Sellerio.

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Sono tempi assai difficili per il settore dell’informazione.

In America, un fenomeno chiamato «Trump Bump» ha provocato un aumento vertiginoso dell’audience e dei profitti legati a tutti i generi di informazione, dalla TV via cavo alle testate di antica tradizione come il New York Times. È stato un ritorno ai «giorni felici» di una volta. Prima di perdere le elezioni e il suo celeberrimo
account Twitter, Trump egemonizzava tutti i notiziari. Anche per coloro che lo disprezzavano, le notizie riguardanti il presidente erano quasi una forma di dipendenza. Sommate Silvio Berlusconi, Marine Le Pen e Boris Johnson, poi moltiplicate per mille: era questa la copertura mediatica dedicata quotidianamente a Donald Trump.

Il boom dell’informazione non ha riguardato solamente il fenomeno Trump. Tra il 2019 e il 2020, altre grandi vicende, come la pandemia da Covid-19 e le proteste contro le uccisioni da parte della polizia, hanno incentivato il consumo di notizie su qualsiasi mezzo, dalla televisione ai siti web, fino ai podcast.

Era assai probabile che quest’epoca di ritrovata crescita del settore fosse destinata a interrompersi bruscamente, come aveva previsto lo stimato commentatore dei media del New York Times, Ben Smith, pochi giorni prima delle elezioni del novembre 2020. «Per i media sarà la fine di un’epoca, qualunque sia l’esito», recitava il titolo della sua rubrica settimanale.

Ben presto si è capito che Smith aveva ragione. La testata per cui scriveva, il Times, era cresciuta in modo fenomenale durante i quattro anni della presidenza Trump, avvicinandosi alla soglia degli 8 milioni di abbonati paganti (un abbonamento digitale al Times costa quasi 20 dollari al mese, un abbonamento cartaceo oltre 1.200 dollari all’anno). Di colpo, nel primo trimestre del 2021, quella crescita si è arrestata.

Oggi, tutte le quattro organizzazioni giornalistiche di cui ho tracciato il profilo in questo libro – New York Times, Washington Post, BuzzFeed e Vice – registrano numeri in calo.

L’audience dei canali di notizie via cavo, che era cresciuta vertiginosamente dopo un decennio travagliato, è scesa a precipizio.

I fattori che hanno penalizzato la stampa e la televisione – la contrazione dei ricavi pubblicitari, il flusso delle inserzioni che privilegia, grazie a costi molto più bassi, piattaforme digitali come Google e Facebook, e infine il calo della diffusione – si sono acutizzati ovunque. In Europa, la transizione al digitale ha comportato sfide ancora più ardue sul piano dell’audience e dei ricavi. I Paesi europei sono alle prese con una riduzione della platea dei lettori dei giornali cartacei e con una migrazione molto più lenta del pubblico verso i loro siti web.

In America assistiamo a uno scenario fatto di vincitori e sconfitti. Il New York Times, per esempio, è un vincitore. Con i suoi 1.500 giornalisti, domina il settore delle notizie di qualità e centrerà sicuramente il traguardo prefissato di 10 milioni di abbonati entro il 2025. Ma i giornali locali – che hanno tagliato le loro redazioni, sono stati venduti a fondi speculativi oppure hanno chiuso definitivamente – sono senza dubbio i grandi sconfitti. Ciò ha indebolito la democrazia, perché l’informazione locale è più vicina alle persone e in genere riflette gli interessi e i punti di vista dei cittadini. Negli Stati Uniti, questo atrofizzarsi dell’informazione locale viene definito «desertificazione delle notizie».

I giornali italiani affrontano gli stessi «venti di cambiamento». In Italia, come negli Stati Uniti, i giornali più letti sono quotidiani storici e autorevoli quali il Corriere della Sera che vende 232.000 copie e ogni giorno attira in media 2,4 milioni di lettori online. Rimane una fonte di notizie affidabile.

In Europa, così come negli Stati Uniti, la rivoluzione digitale ha costretto le aziende leader del settore a studiare attentamente le strategie di crescita. Le quattro aziende giornalistiche descritte nel libro hanno tutte aspirazioni globali e mirano a seguire le notizie in ogni parte del mondo. Ognuna di esse ha vissuto importanti avvicendamenti ai vertici, dopo la pubblicazione del mio libro. Al Times, il giovane editore Arthur Gregg Sulzberger sta sperimentando costantemente nuove e promettenti fonti di ricavi. Al Post, di proprietà dell’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, il direttore Martin
Baron è andato in pensione dopo aver rilanciato il giornale ed essersi aggiudicato diversi premi Pulitzer. Ben Smith ha lasciato BuzzFeed, la start-up digitale cresciuta
in tempi rapidissimi, diventando un giornalista del Times, mentre Shane Smith, il fondatore di Vice, non si fa vedere quasi mai nei suoi uffici di Brooklyn o sul set dei suoi programmi.

Le profezie sulla scomparsa dei nuovi operatori digitali si sono rivelate avventate. BuzzFeed ha vinto il suo primo Pulitzer nel 2021 e Vice si è aggiudicato un ambito Polk Award. Su queste due aziende, incessantemente alla ricerca di pubblicità per continuare a crescere, sono circolate voci riguardo a una possibile fusione o alla quotazione in borsa.

Di questi tempi, è difficile dire quali forze di cambiamento siano strutturali e quali siano cicliche. Il calo della pubblicità cartacea e della diffusione dei giornali è sicuramente strutturale e rappresenta la logica conseguenza del passaggio dell’industria dell’informazione a una fase avanzata della trasformazione digitale. È vero che si continuano a spendere miliardi di dollari per la pubblicità sui mezzi d’informazione, ma la maggior parte di queste risorse va al digitale. Ed è altrettanto vero che, a fronte di questo boom della pubblicità digitale, la maggior parte della torta dei ricavi pubblicitari è appannaggio di Facebook e Google, due piattaforme che sono in grado di indirizzare la pubblicità verso fasce di pubblico specifiche. Anche il passaggio agli investimenti pubblicitari nel digitale è sicuramente di natura strutturale.

Il problema delle aziende che producono quotidiani è che le tariffe delle inserzioni sulla carta stampata sono molto più care. Dunque, per compensare le perdite della pubblicità sui giornali cartacei è necessario che le entrate pubblicitarie legate al digitale crescano esponenzialmente. Per gran parte delle testate giornalistiche ci vorranno ancora molti anni per riuscire a compensare le perdite della pubblicità cartacea con i ricavi della
pubblicità digitale.

Nel mondo della TV via cavo, la popolarità dello streaming e del video on-demand sta penalizzando fortemente gli ascolti e la crescita dell’audience. Anche i principali network stanno combattendo per l’audience.

Sono pochi i giornali in grado di sostenersi finanziariamente con la sola diffusione cartacea. Un’eccezione è il New York Times, il quotidiano che ha il maggior fatturato legato alla diffusione ed è quasi interamente finanziato dagli abbonamenti cartacei e digitali. I ricavi delle vendite sono la fonte della sua solidità e il suo pubblico, come quello di alcuni quotidiani europei, è costituito da lettori affezionati che in genere non interrompono i loro abbonamenti. Si tratta di lettori benestanti e altamente istruiti, che permettono a questi giornali di rimanere forti e di impiegare molti giornalisti. Di conseguenza questi giornali sono in grado di sopravvivere a qualche trimestre negativo.

Lo strapotere delle piattaforme di social media come fonti di notizie è un altro cambiamento che appare di natura strutturale. Facebook e Google sono, in effetti, i più grandi editori che il mondo abbia mai conosciuto. E questo non è cambiato dalla pubblicazione di Mercanti di verità.

I social media hanno anche avuto un impatto notevole sul contenuto delle notizie. I redattori dei giornali tengono d’occhio quali storie sono «di tendenza» e dedicano a queste storie maggiore attenzione. Essere «sulla notizia» e diffonderla istantaneamente su Twitter ha più valore che essere «in anticipo sulla notizia», offrendo analisi e
indagini su argomenti che, pur destando minor attenzione, sono vitali.

Le notizie, specialmente quelle riguardanti la politica, più gettonate sui social media sono quelle che evidenziano il conflitto e suscitano forti emozioni. Donald Trump non è l’unica ragione dietro la radicale polarizzazione delle notizie a cui abbiamo assistito, però ama il conflitto e provoca emozioni viscerali, che siano di rabbia o di adorazione. Ecco perché durante il suo mandato i principali siti web, come CNN.com e NYTimes.com, hanno pubblicato ogni santo giorno quasi una dozzina di articoli sull’allora presidente. Biden, con il suo stile ragionato e misurato, non suscita questo genere di attenzione mediatica. Non tiene la gente incollata allo schermo, che poi è il modo in cui le organizzazioni giornalistiche guadagnano soldi. Come mi ha detto un giornalista di Washington, «siamo passati da una saturazione di notizie a uno stato di torpore».

Potrà sembrare cinico, ma è vero. Basti pensare alla quantità di notizie riguardanti le celebrità che hanno un enorme seguito sui social.

Un’altra sfida è il calo della fiducia nei media. Molte persone credono che qualsiasi fonte d’informazione – di destra o di sinistra – sia di parte. Molti desiderano il ritorno a un giornalismo che fornisca notizie in modo «corretto», senza pregiudizi. Molte delle tendenze che ho descritto, tuttavia, sono in netto contrasto con questa aspirazione.

In che modo, quindi, l’informazione può sopravvivere? Io sono ottimista. Credo che le persone avranno sempre l’umano bisogno di storie che onorino la loro intelligenza e che siano ben scritte e curate. Le persone vogliono essere tutelate dalla proliferazione di informazioni false e capiscono che le «fonti» presenti sui social media sono a volte inaccurate e che alcune delle storie pubblicate non sono affatto notizie.

Il martellamento costante di Donald Trump nei confronti della stampa statunitense, accusata di propalare «fake news» e bollata come «nemica del popolo», non ha di certo contribuito a ristabilire la fiducia nei mezzi d’informazione, una fiducia che, dopo aver toccato il suo massimo storico ai tempi del Watergate, da allora non ha fatto che diminuire.

È un momento entusiasmante per il giornalismo. La parola d’ordine è crescere e le organizzazioni giornalistiche stanno sperimentando tanti modi diversi per fornire informazioni affidabili, per esempio le sofisticate animazioni grafiche che spiegano lo svolgersi di un grosso evento di cronaca, quale può essere una sparatoria da parte della polizia. Ci sono innumerevoli podcast di qualità elevata, la cui popolarità è letteralmente esplosa. Gli studenti affollano le scuole di giornalismo e vogliono essere addestrati a diventare dei veri giornalisti.

Credo che ci sarà sempre bisogno di informazioni affidabili e di un giornalismo di qualità. La mia carriera ora è incentrata sulla formazione di una nuova generazione di reporter, scrittori e redattori alla Harvard University. Sono docente di due corsi di giornalismo e i miei studenti riempiono le redazioni di CNN, ABC News, New York Times, Washington Post e Wall Street Journal. Il loro talento è assolutamente necessario. Le loro carriere attraverseranno un’epoca entusiasmante di mutamenti nella professione giornalistica. Mi piacerebbe tanto avere il tempo di scrivere un altro libro sulla rivoluzione nel campo dell’informazione, una rivoluzione che diventa sempre più elettrizzante e più importante che mai.

Da Mercanti di verità. La grande guerra dell’informazione
© Jill Abramson, 2019 – Sellerio editore, 2021
Traduzione di Andrea Grechi
Tutti i diritti riservati