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  • Martedì 2 dicembre 2025

Da mesi Israele trattiene i soldi che dovrebbe versare all’Autorità nazionale palestinese

Equivalgono a quasi mezzo miliardo di euro e servirebbero a pagare stipendi e servizi: è uno dei molti modi in cui danneggia l’economia palestinese

Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, alla Knesset (il parlamento unicamerale israeliano) lo scorso 13 ottobre
Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, alla Knesset (il parlamento unicamerale israeliano) lo scorso 13 ottobre (Chip Somodevilla/Pool via AP)
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Dallo scorso maggio il governo israeliano ha smesso del tutto di trasferire all’Autorità nazionale palestinese (ANP) i soldi che riscuote per conto suo, e che quindi dovrebbe versarle. L’ANP è l’entità parastatale che governa in modo semi-autonomo alcune zone della Cisgiordania: ha già grossi problemi politici, e la mancanza dei versamenti da parte di Israele ne crea molti anche finanziari. I funzionari palestinesi hanno detto che la situazione è insostenibile: senza quei fondi l’Autorità non riesce più a pagare gli stipendi pubblici e i servizi, già ridotti al minimo.

Non è la prima volta che succede. Negli ultimi trent’anni Israele ha sospeso varie volte i versamenti, completamente o in parte: la sospensione più lunga fu tra il 2000 e il 2002, ai tempi della Seconda Intifada. Il blocco più recente è un’iniziativa del ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra messianica, e sta proseguendo nonostante le pressioni diplomatiche per farlo finire. I fondi trattenuti da maggio a fine settembre sono di più di 1,8 miliardi di shekel, la valuta israeliana usata anche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (equivalgono a circa 476 milioni di euro).

Rifiutarsi di trasferire questi soldi è uno dei molti modi che Israele usa per danneggiare l’economia della Cisgiordania. Ha il potere di farlo perché, in base al protocollo di Parigi del 1994, Israele si occupa di raccogliere sia l’IVA e i dazi doganali su tutte le merci che entrano in Palestina, sia le tasse sui prodotti palestinesi o sul lavoro dei palestinesi in Israele (la cosiddetta mukāsa). Il governo però sta trattenendo questi soldi, al contrario di quanto previsto dagli accordi, sapendo che così priva l’ANP di una delle principali entrate del suo bilancio.

Persone in coda fuori da uno dei pochi sportelli bancari di Gaza che ha riaperto, nella città di Gaza, il 23 ottobre

Persone in coda fuori da uno dei pochi sportelli bancari di Gaza che ha riaperto, nella città di Gaza, il 23 ottobre (Rizek Abdeljawad/Xinhua/ABACAPRESS.COM)

Il giornale israeliano Haaretz ha scritto che il blocco è apparentemente stato deciso autonomamente da Smotrich, senza presupposti legali e senza passare da una decisione del gabinetto di sicurezza.

Israele sostiene di trattenere i soldi anche a causa delle indennità mensili che l’Autorità nazionale palestinese ha a lungo pagato alle famiglie dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele per crimini legati al terrorismo, con un sistema criticato anche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. L’ANP ha infine annunciato di aver eliminato queste indennità a febbraio, ma Israele sostiene che stia continuando a pagare le famiglie in altri modi.

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Haaretz e altri media israeliani hanno scritto che il blocco è stato deciso come ritorsione alle sanzioni imposte da alcuni paesi europei a Smotrich, e come reazione alla decisione di molti paesi occidentali di riconoscere lo stato di Palestina, cosa a cui Israele è nettamente contrario.

Il protrarsi del blocco è stato agevolato anche da un fattore politico: è cambiata la posizione degli Stati Uniti. In passato, durante l’amministrazione del presidente Joe Biden, gli Stati Uniti avevano fatto pressione su Israele quando tratteneva i trasferimenti. Con il ritorno alla presidenza di Donald Trump, che è molto più vicino alle posizioni del primo ministro Benjamin Netanyahu, questa pressione è venuta meno. Anzi, gli Stati Uniti hanno sanzionato o comunque ostacolato in più occasioni l’Autorità nazionale palestinese e i suoi principali esponenti.

Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, tra quello francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, durante l'incontro a Sharm El Sheikh dello scorso 13 ottobre

Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, tra il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer, durante l’incontro a Sharm El Sheikh dello scorso 13 ottobre (Eliot Blondet/ABACAPRESS.COM)

Già prima di azzerare i versamenti, il governo israeliano li aveva ridotti o ne aveva decurtato arbitrariamente una parte. Dall’inizio della guerra, nell’ottobre del 2023, aveva trattenuto ogni mese 275 milioni di shekel, cioè l’equivalente di quanto l’ANP destinava ogni mese alla Striscia di Gaza, sostenendo che potessero finire nelle mani di Hamas. È lo stesso pretesto che Israele usa per giustificare il divieto di ingresso nella Striscia per moltissimi beni essenziali, dal carburante al cibo e agli strumenti medici.

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Includendo anche il periodo prima di maggio, il debito totale di Israele verso l’ANP raggiunge i 3,5 miliardi di shekel (più di 900 milioni di euro). Per consentirle di continuare a operare, a fine settembre 13 paesi si sono uniti in una Coalizione per la sostenibilità finanziaria dell’Autorità palestinese, che ha l’obiettivo di coprire una parte delle sue spese. Ne fa parte anche l’Arabia Saudita, che lunedì ha erogato un prestito dell’equivalente di quasi 80 milioni di euro all’ANP. Nella seconda metà di novembre, i paesi dell’Unione Europea hanno stanziato 88 milioni di euro.

Questo blocco, come detto, non è l’unico strumento con cui Israele sta danneggiando l’economia della Cisgiordania. Dall’inizio della guerra per esempio ha annullato i permessi di ingresso ai circa 100mila palestinesi che lavoravano in Israele, soprattutto nei cantieri. L’esercito israeliano spara a quelli di loro che tentano di aggirare il divieto. Smotrich ha anche pressoché raddoppiato il costo dell’elettricità che Israele fornisce alla Cisgiordania, dopo aver minacciato di usare i soldi bloccati dell’ANP per pagarla.

Inoltre le banche palestinesi hanno problemi di liquidità, perché quelle israeliane, da cui dipendono interamente per le transazioni, limitano i cambi in valuta straniera a un massimo di 18 miliardi di shekel all’anno. Il limite, che non era previsto dal protocollo di Parigi, non viene aggiornato dalla metà degli anni Novanta e questo ha contribuito a creare una crisi monetaria.

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