• Konrad
  • Domenica 9 novembre 2025

Orbán non ha ottenuto tutto quello che voleva da Trump

Mentre anche Romania e Bulgaria vorrebbero un'esenzione dalle sanzioni statunitensi sul petrolio russo

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e Donald Trump durante l'incontro alla Casa Bianca del 7 novembre
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e Donald Trump durante l'incontro alla Casa Bianca del 7 novembre (EPA/AARON SCHWARTZ)
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La parte pubblica dell’incontro di venerdì con Donald Trump è andata eccezionalmente bene per il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Trump gli ha fatto un trattamento di favore, incensando le sue politiche nazionaliste, e una grossa concessione: l’esenzione di un anno dalle sanzioni degli Stati Uniti sulle importazioni energetiche dalla Russia. È più limitata di quella a tempo indeterminato a cui puntava Orbán, che in cambio ha dovuto prendere impegni gravosi.

Nell’immediato, l’esenzione di un anno è comunque importante per Orbán. Gli consente di presentarsi alle prossime elezioni politiche, ad aprile del 2026, mantenendo le cospicue importazioni che la Russia gli garantisce a prezzo scontato. I prezzi calmierati dell’energia sono un pezzo importante della base di consenso del primo ministro e rinunciarvi lo avrebbe messo in difficoltà, mentre nei sondaggi è stato superato dal principale partito dell’opposizione.

Non a caso Orbán aveva usato toni allarmistici, sostenendo che le bollette rischiassero di triplicare. Per questo dopo la visita negli Stati Uniti la propaganda del suo governo ha raccontato l’esenzione come una vittoria, senza soffermarsi sul fatto che sia provvisoria e inferiore a quanto prospettato. In questo senso Trump non ha accontentato Orbán fino in fondo. Per Orbán la concessione è stata comunque molto onerosa.

Trump riceve Orbán alla Casa Bianca, il 7 novembre

Trump riceve Orbán alla Casa Bianca, il 7 novembre (EPA/AARON SCHWARTZ)

Per esempio MOL, la principale azienda energetica ungherese, sta modificando due raffinerie perché possano lavorare il petrolio greggio statunitense invece di quello russo. Tra l’altro MOL ha detto che può sostituirne l’80 per cento attraverso l’oleodotto dalla Croazia, smentendo così la narrazione di Orbán, recepita pure da Trump, secondo cui l’Ungheria non ha alternative perché non ha sbocchi sul mare.

Gli impegni più consistenti, però, sono quelli contenuti in un accordo sull’energia atomica. L’Ungheria comprerà dagli Stati Uniti combustibile nucleare per 114 milioni di dollari (quasi 100 milioni di euro) e tecnologia per il deposito di scorie della centrale di Paks, spendendo tra i 100 e i 200 milioni di dollari (tra 90 e 170 milioni di euro). Si è impegnata anche ad acquistare fino a dieci reattori modulari, più piccoli, con un investimento stimato tra i 10 e i 20 miliardi di dollari.

Un distributore di benzina della Lukoil, a Sofia, il 28 ottobre

Un distributore di benzina della Lukoil, a Sofia, il 28 ottobre (AP Photo/ Valentina Petrova)

In tutto questo ci sono due paesi europei, Romania e Bulgaria, che vorrebbero un’esenzione come quella ottenuta da Orbán perché sono molto esposti alle nuove sanzioni. Con le ultime, di ottobre, infatti gli Stati Uniti hanno preso di mira Lukoil e Rosneft, le più importanti compagnie petrolifere russe che hanno una presenza significativa in questi due paesi dell’Unione Europea.

In Bulgaria la raffineria di Burgas, di proprietà della Lukoil, copre l’80 per cento del fabbisogno di carburante e per questo il governo è molto preoccupato di trovare una soluzione. Venerdì il parlamento bulgaro ha approvato una legge pensata come contromisura in fretta e furia: la votazione in commissione è durata 30 secondi, poi è stata approvata in aula in tempi stretti. Consente al governo di prendere il controllo della raffineria e, nel caso, nazionalizzarla e venderla.

La Romania è un po’ meno esposta. La raffineria di Lukoil, che si trova a Ploieşti, copre il 20 per cento del fabbisogno e per il paese trovare altri fornitori sarebbe meno complicato. Se la raffineria chiudesse, però, ci potrebbero essere conseguenze per la confinante Moldavia, dove la Russia è ancora molto influente.

In ogni caso trovare compratori per gli impianti della Lukoil, una volta eventualmente nazionalizzati, non è semplice, anche per via dei rischi legali legati alle sanzioni e ai costi di gestione. In Italia c’era stato il caso della raffineria di Priolo, in Sicilia, commissariata dal governo nel 2022 e infine venduta a un fondo d’investimento cipriota.

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