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  • Mercoledì 22 ottobre 2025

Dove c’è una guerra c’è anche il Comitato internazionale della Croce Rossa

Da oltre 160 anni opera in tutti i contesti più complicati, compresa la Striscia di Gaza, grazie a una politica di neutralità a volte fraintesa

di Ginevra Falciani

Un’operatrice del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) parla con un combattente di Hamas durante la consegna di due ostaggi israeliani a Rafah, nella Striscia di Gaza, il 22 febbraio 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Un’operatrice del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) parla con un combattente di Hamas durante la consegna di due ostaggi israeliani a Rafah, nella Striscia di Gaza, il 22 febbraio 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)
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Dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, più di due anni fa, il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) è rimasto operativo in zone inaccessibili a quasi tutte le altre organizzazioni umanitarie e devastate dai continui attacchi e bombardamenti israeliani. Tra le altre cose ha gestito le delicate operazioni di scambio tra prigionieri palestinesi e ostaggi israeliani, comprese quelle che stanno avvenendo in queste settimane, dopo l’inizio del cessate il fuoco.

Non è un caso: il Comitato è la più importante associazione di protezione e assistenza per le persone in tempo di guerra, è considerato autorevole in modo trasversale e grazie alla sua politica di neutralità e confidenzialità è potuto intervenire in tutte le situazioni di conflitto più complicate dell’ultimo secolo.

Fu fondato nel 1863 dall’imprenditore svizzero Henry Dunant, e ancora oggi le persone che fanno parte del suo direttivo devono necessariamente essere cittadine svizzere. Si distingue dalle altre organizzazioni anche perché è l’unica a cui le Convenzioni di Ginevra danno esplicitamente il compito di monitorare il rispetto del diritto umanitario internazionale, ossia le regole che valgono in tempo di guerra, a partire da quelle sul trattamento dei civili e dei prigionieri di guerra. Le Convenzioni, adottate nel 1949, sono quattro trattati fondativi del diritto internazionale e furono inizialmente teorizzate dallo stesso Dunant.

Nelle attività di assistenza umanitaria più tradizionale il CICR collabora con le 191 Croci Rosse nazionali, come la Croce Rossa italiana o la Mezzaluna Rossa palestinese, con cui lavora da anni a stretto contatto nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Queste sono associazioni indipendenti presenti in un singolo stato sia in tempo di guerra che di pace, e forniscono beni di prima necessità e soccorso medico alla popolazione civile. Sia il CICR che le molte Croci Rosse, come tutte le altre organizzazioni umanitarie che operano in questi contesti, basano le loro operazioni sul principio di imparzialità: aiutano tutti indipendentemente dalla nazionalità, dall’etnia, dalla religione o dall’appartenenza politica.

Un’operatrice del CICR e un operatore della Croce Rossa del Sud Sudan trasportano un ferito ad Akobo, nel Sud Sudan, il 24 maggio 2025 (AP Photo/Joseph Falzetta)

Negli ultimi dieci anni il CICR è stata l’unica organizzazione internazionale a poter visitare, seppure con molte limitazioni, alcune prigioni del dittatore Bashar al Assad durante la guerra civile in Siria, durata dal 2011 al 2024. Fu l’unica a rimanere attiva durante tutto il genocidio in Ruanda del 1994, in cui quasi un milione di civili di etnia tutsi furono uccisi da persone di etnia hutu in poco più di tre mesi. Da anni è anche una delle pochissime a poter visitare regolarmente i detenuti a Guantánamo, il carcere di massima sicurezza allestito dagli Stati Uniti a Cuba dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001 per i presunti membri di organizzazioni terroristiche, tra cui principalmente al Qaida.

Il CICR può operare in questi contesti grazie soprattutto alla sua politica di neutralità, uno dei principi fondamentali dell’organizzazione e comune anche ad altre associazioni umanitarie. Il Comitato la applica in modo estremamente rigoroso e la associa a una particolare attenzione alla confidenzialità. «Il nostro compito è focalizzarci sulla dimensione umanitaria, non politica», dice Achille Després, portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa a Ginevra, che definisce la neutralità un «principio operativo». In ogni guerra in cui agisce il Comitato parla con tutte le parti coinvolte e lo fa in modo confidenziale, negoziando sia direttamente sia tramite intermediari, come degli stati terzi, dei gruppi armati alleati o le Croci Rosse nazionali, che conoscono meglio il contesto in cui operano.

Il Comitato investe molto tempo e risorse a convincere stati, gruppi armati e popolazioni civili della sua neutralità e dell’importanza di rispettare il diritto umanitario internazionale, e cerca di stabilire con loro un rapporto di fiducia. Il momento migliore per farlo è quello della pace, così da poter agire più facilmente in tempo di guerra. Nel caso di paesi molto instabili, quello che dà forza al Comitato è mantenere la stessa linea indipendentemente da chi si trova al potere. In Afghanistan per esempio, dove il CICR ha una presenza costante fin dall’invasione sovietica del 1979, l’organizzazione è riuscita a rimanere attiva anche dopo il ritorno dei talebani nel 2021 perché in passato si è sempre interfacciata con il gruppo e ha gestito i suoi rapporti con chi era al potere nello stesso modo.

Un magazzino di protesi del centro ortopedico del CICR a Kabul, in Afghanistan, nel 2012 (Daniel Berehulak/Getty Images)

Dopo ogni operazione il Comitato scrive dei rapporti in cui include le eventuali violazioni di diritti umani che riscontra, ma di solito non li condivide con il pubblico: piuttosto torna dalle parti coinvolte e continua a negoziare per cercare di migliorare le condizioni dei civili e dei prigionieri di guerra. Diffonde comunicati in cui condanna l’una o l’altra parte molto raramente, e solo quando la ritiene l’ultima opzione rimasta. «Se una delle parti del conflitto inizia a pensare che la nostra organizzazione lavora per l’altra parte può negarci l’accesso al territorio o alle persone che controlla, e questo ci allontana dal nostro obiettivo», spiega Després, secondo cui è comunque fondamentale che oltre al CICR esistano altre associazioni che prendano posizione e denuncino gli abusi.

Durante il genocidio in Ruanda, tener fede al principio di neutralità significò per il CICR continuare a dialogare con il governo e l’esercito ruandesi, diretti istigatori e perpetratori dei massacri, pur di poter mantenere attivi gli ospedali e continuare a distribuire beni di prima necessità alla popolazione civile, anche quando tutte le altre organizzazioni umanitarie avevano lasciato il paese perché la situazione era diventata troppo pericolosa. Per gli operatori in Siria ha voluto dire concentrarsi sulle prigioni a cui il governo aveva dato loro accesso, pur sapendo che le violazioni dei diritti umani più massicce avvenivano altrove: per esempio nella prigione di Sednaya, un simbolo della brutalità del regime di Assad in cui il CICR non era mai riuscito a entrare prima della sua caduta, a dicembre del 2024.

– Leggi anche: Dentro alla prigione di Sednaya

Alcune decisioni prese dal CICR sono state molto contestate. Per esempio, quando nel 2004 emersero delle immagini sul duro trattamento di alcuni prigionieri nel carcere iracheno di Abu Ghraib da parte dei soldati statunitensi, si scoprì che il CICR era a conoscenza degli abusi da tempo, ma che non li aveva denunciati pubblicamente, nonostante avesse diverse prove, per assicurarsi di poter continuare ad accedere alla prigione e controllare la situazione.

Un’operatrice del CICR e un combattente di Hamas firmano l’accordo di restituzione di quattro ostaggi morti a Khan Younis, nella Striscia di Gaza, il 20 febbraio 2025, in una cerimonia che è stata poi molto criticata (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

In altre circostanze anche solo il fatto di parlare con entrambe le parti ha causato critiche e pressioni. Per esempio, negli ultimi due anni il CICR è stato criticato dalle famiglie degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza per aver acconsentito a prendere parte alle cerimonie organizzate da Hamas per la liberazione degli ostaggi vivi e la consegna dei corpi di quelli morti, ritenute da molti governi e organizzazioni umanitarie umilianti e propagandistiche, e per non aver mai visitato gli ostaggi trattenuti nella Striscia. Il CICR ha più volte detto di aver cercato di ottenere un’autorizzazione a visitarli, senza successo, e che lo stesso ha fatto per le persone palestinesi detenute da Israele dopo l’inizio della guerra, in modo spesso arbitrario.

Després ha detto che le accuse di questo tipo sono aumentate negli ultimi dieci anni a causa dei social media e dell’aumento della polarizzazione su temi già molto divisivi e politicizzati. A questo si sono aggiunte le campagne di disinformazione: è successo per esempio con la guerra in Ucraina, all’inizio della quale l’organizzazione è stata accusata in modo infondato di prendere le parti della Russia. Il Comitato ha cercato di risolvere questi problemi continuando a dialogare con le comunità interessate, ma anche cambiando in parte il suo modo di comunicare con l’esterno: ha iniziato a fare più dichiarazioni pubbliche e ha realizzato dei video e delle pagine sul proprio sito in cui spiega i suoi principi fondamentali, le sue attività in specifici territori e perché ha preso in quei contesti determinate decisioni.