Trump il grande pacificatore?
Il presidente statunitense dice di aver risolto già sei o sette guerre: controlliamo

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha perso il conto delle guerre che sostiene di aver risolto. Nella notte di Ferragosto, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, in un’intervista alla televisione di destra Fox News ha detto: «Ho negoziato la fine di cinque guerre». L’intervistatore Sean Hannity, uno dei suoi più sperticati sostenitori in TV, ha ribattuto: «Io ne ho contate sette!».
Successivamente, parlando con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca, Trump ha detto: «Ho chiuso sei guerre, ho fatto finire sei guerre». Ma poi martedì, di nuovo a Fox News, è tornato a dire «abbiamo posto fine a sette guerre». Indipendentemente da quanti siano, Trump sostiene di aver realizzato abbastanza accordi di pace da meritarsi il premio Nobel per la Pace. Ha detto anche che sta lavorando così intensamente per la pace perché spera di andare «in paradiso, se possibile». Non si è capito se scherzava, ma la sua portavoce ha detto che era serio.
Trump ha sempre usato il termine inglese war, guerra, e non conflict, che è un po’ più sfumato perché si può riferire a conflitti di vario tipo: guerre su larga scala, scaramucce al confine, scontri violenti prolungati, ma anche conflitti economici o politici in cui non è impiegata la forza. Nell’elencare queste sei o sette «guerre», come dice lui, ha di fatto messo nello stesso calderone situazioni non paragonabili, e conflitti – appunto – diversi per tipo e intensità. È una retorica che gli fa gioco nel tentativo di presentarsi come grande pacificatore, ma che è poco aderente alla realtà e racconta in maniera approssimativa guerre e conflitti.
In qualcuno di questi accordi Trump ha effettivamente avuto un ruolo, anche determinante. In altri il suo apporto è stato secondario. E appunto, alcuni degli accordi di pace di cui parla non sono nemmeno accordi di pace. Guardiamoli meglio.
Israele e Iran
Quella che Trump stesso ha definito (con un nome che poi è rimasto) la Guerra dei 12 giorni tra Israele e Iran è davvero stata terminata da Trump. Dopo che il 13 giugno Israele aveva cominciato a bombardare l’Iran, il 23 giugno Trump ha scritto sul suo social media Truth che i due paesi avrebbero «iniziato un CESSATE IL FUOCO» il giorno successivo, e la cosa effettivamente è avvenuta. Il cessate il fuoco è iniziato però soltanto dopo che anche gli Stati Uniti avevano bombardato l’Iran, nel tentativo di distruggere i siti nucleari del paese.
Trump inoltre non ha davvero trovato un accordo di pace, ma solo una cessazione delle ostilità, che probabilmente è temporanea: la differenza è rilevante, perché la cessazione delle ostilità ha l’obiettivo solo di fermare i combattimenti, mentre l’accordo di pace di concludere la guerra e definire le relazioni future tra le parti. Nel caso di Israele e Iran non c’è una pace permanente e non è stato trovato nemmeno un accordo per monitorare lo stato del programma nucleare iraniano. Questo è un tema ricorrente anche degli altri accordi fatti dal presidente.

Un cartellone in Israele ringrazia Donald Trump per aver attaccato l’Iran, 22 giugno 2025 (AP Photo/Bernat Armangue)
India e Pakistan
Trump ha sostenuto di essere stato l’artefice della fine degli scontri di frontiera tra Pakistan e India, avvenuti a maggio nella regione contesa del Kashmir. Anche in questo caso Trump aveva scritto su Truth che i due paesi, grazie a lui, avevano concordato un «COMPLETO E IMMEDIATO CESSATE IL FUOCO». Pakistan e India hanno due versioni diverse.
Il primo ha deciso di ingraziarsi Trump, ha riconosciuto i suoi grandi meriti e l’ha pure candidato per il Nobel per la Pace. Non è un caso che negli ultimi mesi il Pakistan sia nelle buone grazie del presidente americano. L’India, invece, ha detto che Trump non ha fatto molto, e che il cessate il fuoco è stato concordato direttamente con il Pakistan tramite canali di comunicazione militare preesistenti. Non è un caso, probabilmente, che negli ultimi mesi i rapporti tra India e Stati Uniti siano peggiorati, e che Trump abbia imposto dazi del 25 per cento contro buona parte delle merci esportate dal paese, che diventeranno del 50 per cento a fine agosto.
Ruanda e Repubblica Democratica del Congo
A giugno l’amministrazione Trump ha ospitato a Washington il ministro degli Esteri del Ruanda e quella della Repubblica Democratica del Congo per firmare un accordo che avrebbe dovuto terminare le ostilità lungo il confine est del Congo, uno dei conflitti più lunghi e complicati del mondo. Trump lo considera uno dei suoi maggiori successi, e lo cita spesso parlando della pace «in Africa». Ma ci sono alcuni problemi.
Primo: il conflitto non è tra Congo e Ruanda, ma tra Congo e una serie di gruppi di miliziani e ribelli, il più famoso dei quali è l’M23, che ha rapporti molto stretti con il Ruanda ma non è direttamente sotto il suo controllo. L’M23 non ha partecipato ai negoziati. Secondo: le violenze non si sono mai davvero fermate, e le parti si sono già accusate più volte in questi mesi di aver violato il cessate il fuoco. L’accordo di giugno avrebbe dovuto essere solo il primo passo di una serie di incontri e negoziati successivi, che però ancora non sono avvenuti, e non è chiaro se avverranno.

Trump nello Studio Ovale con i ministri degli Esteri di Repubblica Democratica del Congo e Ruanda e, dietro, il vicepresidente J.D. Vance e il segretario di Stato Marco Rubio, 27 giugno 2025 (AP Photo/Manuel Balce Ceneta)
Armenia e Azerbaijan
All’inizio di agosto il presidente dell’Azerbaijan e il primo ministro dell’Armenia si sono stretti la mano davanti a Trump, alla Casa Bianca. È stato un momento a suo modo storico, perché i due paesi sono in guerra da quasi quarant’anni, e da ultimo si erano scontrati violentemente nel 2023, quando l’Azerbaijan aveva conquistato la regione del Nagorno Karabakh, che formalmente è azera ma era controllata e abitata da armeni.
I colloqui di pace tra due paesi vanno avanti da anni, ma le pressioni di Trump, e la prospettiva di una prestigiosa visita alla Casa Bianca, hanno con ogni probabilità favorito e facilitato la firma dell’accordo. Al tempo stesso quello firmato alla Casa Bianca non è un trattato di pace, ma una dichiarazione di intenti per portare avanti nuovi negoziati. Armenia e Azerbaijan non hanno ristabilito le rispettive relazioni diplomatiche e i confini tra i due paesi sono ancora chiusi.

Trump alla Casa Bianca con il presidente dell’Azerbaijan e il primo ministro dell’Armenia, 8 agosto 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein)
Cambogia e Thailandia
A fine luglio ci sono stati gravi scontri di frontiera tra Cambogia e Thailandia, in cui sono state uccise 42 persone e almeno 300 mila sono state costrette a lasciare temporaneamente le proprie case. I negoziati per un cessate il fuoco si sono svolti in Malaysia e sono stati diretti dal governo malaysiano, ma Trump è intervenuto sostenendo che, se i due paesi non avessero fatto la pace, avrebbe interrotto i negoziati commerciali al tempo in corso con entrambi e avrebbe imposto loro pesanti dazi.
Cambogia e Thailandia sono entrambi paesi dipendenti dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, ed è probabile che la minaccia di Trump abbia contribuito alla firma di un cessate il fuoco. Anche in questo caso però è più una cessazione delle ostilità che un accordo di pace completo, che risolva le ragioni profonde delle ostilità.
Egitto ed Etiopia
Non è affatto chiaro perché Trump si intesti di aver favorito la pace tra Egitto ed Etiopia. Anzitutto perché i due paesi non sono davvero in guerra: sono da anni coinvolti in un conflitto diplomatico a causa di una grande diga che l’Etiopia ha costruito sul fiume Nilo e che minaccia l’approvvigionamento idrico dell’Egitto. L’amministrazione Trump sostiene che anche se non c’è una guerra ce ne sarebbe stata una se il presidente non fosse intervenuto, ma non si capisce nemmeno che tipo di intervento sia stato fatto.
Trump tentò di organizzare negoziati durante il suo primo mandato, ma senza successo. A fine luglio di quest’anno, il ministro degli Esteri dell’Egitto ha dichiarato che i negoziati con l’Etiopia sono completamente bloccati.
Serbia e Kosovo
L’ultimo presunto accordo di pace che Trump si intesta (questo è il settimo, a volte viene citato e altre no) riguarda Serbia e Kosovo, due paesi che hanno rapporti complicati e ostili da quando nel 2008 il Kosovo si separò dalla Serbia (nel 2023 e nel 2024 la situazione si è aggravata). Non sono però in guerra diretta. A fine giugno Trump ha scritto su Truth: «Serbia e Kosovo stavano per farsi una grande guerra. Io ho detto, se ci provate non ci sarà commercio con gli Stati Uniti. E loro hanno detto, beh, allora non la faremo».
Non è davvero chiaro a che grande guerra e a che negoziati Trump si stesse riferendo. Nel 2020, durante il suo primo mandato, Trump favorì un accordo per normalizzare le relazioni economiche tra i due paesi, che però negli anni successivi è stato in gran parte disatteso. Non si sa se ci siano stati tentativi più recenti.



