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  • Giovedì 21 settembre 2023

È la fine del Nagorno Karabakh?

Le truppe azere sono vicine alla capitale Stepanakert e sono in corso trattative per la gestione dei civili armeni: molti temono una catastrofe umanitaria

(AP Photo/Siranush Sargsyan)
(AP Photo/Siranush Sargsyan)
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Giovedì le autorità dell’Azerbaijan e quelle del Nagorno Karabakh, stato separatista che si trova in territorio azero ma che è abitato principalmente da persone di etnia armena, si sono incontrate per decidere quella che di fatto sarà la completa reintegrazione del Nagorno Karabakh all’interno dell’Azerbaijan. Il Nagorno Karabakh, che dal 1993 è un piccolo stato di fatto indipendente abitato da circa 120 mila persone, si dissolverà all’interno dell’Azerbaijan, un grande paese a maggioranza musulmana e di etnia turca.

La decisione è stata presa dopo che, questa settimana, l’Azerbaijan aveva attaccato militarmente il Nagorno Karabakh, e costretto in appena due giorni le autorità locali alla resa. Il presidente azero Ilham Aliyev, in un discorso alla nazione pronunciato nella notte di mercoledì, ha detto: «Il Karabakh è Azerbaijan».

Giovedì le truppe dell’esercito azero sono arrivate alla periferia di Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, e ci sono testimonianze dei residenti locali che dicono di aver sentito spari, anche se al momento non se ne conosce l’origine. L’occupazione di tutto il Nagorno Karabakh da parte delle truppe dell’Azerbaijan è ormai molto vicina e potrebbe avere conseguenze enormi per la popolazione locale e per tutta la regione: è probabile per esempio che decine di migliaia di armeni abbandoneranno le loro case e fuggiranno in Armenia. Alcuni in Armenia temono anche che gli azeri metteranno in atto arresti di massa o addirittura massacri di civili. Al momento però non ci sono indicazioni che questo potrebbe succedere.

Agli occhi della comunità internazionale il Nagorno Karabakh è parte del territorio azero, ma da circa 30 anni (dalla prima guerra tra Armenia e Azerbaijan, vinta dall’Armenia) è governato in maniera indipendente, con un proprio esecutivo e proprie istituzioni, e con il sostegno molto forte della vicina Armenia (che di fatto ha un controllo stretto su tutto quello che succede in Karabakh, o meglio: l’ha avuto fino a ora).

Per decenni l’Azerbaijan aveva cercato di riprendersi il Karabakh e nel 2020 aveva iniziato una nuova guerra contro l’Armenia, che era riuscito a vincere, riconquistando buona parte del territorio della regione. Agli armeni era rimasta una piccola porzione di territorio che ancora governavano indipendentemente, e che era collegata all’Armenia da una sola strada, il “corridoio di Lachin”. Negli ultimi nove mesi l’Azerbaijan aveva bloccato quasi interamente questo corridoio, da cui il Nagorno Karabakh riceveva il 90 per cento dei generi di prima necessità, provocando grosse sofferenze alla popolazione locale.

Gli alimentari vuoti a Stepanakert a gennaio del 2023 (Edgar Harutyunyan/PAN Photo via AP)

Poi, martedì, l’Azerbaijan ha attaccato anche questi ultimi territori rimasti, che comprendono la capitale Stepanakert, con la scusa di compiere una “operazione antiterrorismo”. Il Nagorno Karabakh dispone di un piccolo esercito locale di autodifesa, che però è male armato, poco addestrato e indebolito da nove mesi di blocco dei rifornimenti alimentari. Nel giro di 24 ore le autorità del Nagorno Karabakh sono state costrette ad arrendersi, e ad accettare un cessate il fuoco che di fatto è una resa.

Sul terreno erano presenti anche centinaia di soldati russi, che si trovano in Karabakh dal 2020 in quella che ufficialmente sarebbe un’operazione di peacekeeping. I russi però non hanno reagito durante l’attacco azero, e sono rimasti nelle loro basi. Secondo le autorità del Karabakh nell’attacco azero di questa settimana sono morte almeno 200 persone, di cui 10 civili.

Dopo la resa di mercoledì, nella città di Yevlakh, in Azerbaijan, si sono tenuti giovedì i negoziati tra le autorità del Nagorno Karabakh e quelle azere. I negoziati non hanno tanto il compito di decidere i termini della completa integrazione del Karabakh nell’Azerbaijan: il Karabakh è già stato quasi tutto occupato militarmente dall’Azerbaijan, e l’esercito locale non ha nessuna possibilità di opporsi, anche se non è da escludere che ci saranno alcuni tentativi di ribellione.

I rappresentanti del governo locale del Karabakh, dunque, hanno più che altro il compito di cercare di ottenere alcune garanzie per la popolazione armena locale, che teme di subire discriminazioni e violenze ora che sarà dominata dall’Azerbaijan. I negoziati di giovedì si sono comunque conclusi senza un accordo, e ci saranno nuovi incontri nei prossimi giorni.

Secondo molti esperti il ritorno del dominio azero sul Nagorno Karabakh potrebbe trasformarsi in un disastro umanitario. È probabile che decine di migliaia di persone armene decideranno di lasciare le proprie case per rifugiarsi in Armenia, un paese che è già poverissimo e che non ha i mezzi per accogliere grandi quantità di profughi.

Civili in un rifugio a Stepanakert durante i bombardamenti azeri del 20 settembre (AP Photo/Siranush Sargsyan)

Nel suo discorso di mercoledì notte il presidente azero ha detto che tutti i diritti degli armeni del Karabakh «saranno garantiti: diritti all’istruzione, diritti culturali, diritti religiosi e diritto a elezioni comunali, perché l’Azerbaijan è una società libera». In realtà l’Azerbaijan è un regime dittatoriale dove le libertà politiche e civili sono sistematicamente represse. Ilham Aliyev è al potere dal 2003 e in precedenza il paese era stato governato per vent’anni da suo padre, Heydar Aliyev.

Soprattutto, per decenni Aliyev ha usato una retorica estremamente violenta nei confronti del Nagorno Karabakh: il governo indipendente locale era definito una «giunta» e i suoi membri «terroristi». Bloccando il corridoio di Lachin per nove mesi e impedendo a cibo e viveri di raggiungere la regione, l’Azerbaijan ha inoltre dimostrato di avere poco riguardo per le condizioni della popolazione armena locale.

In Armenia molte persone temono inoltre che dopo aver completato la conquista del Nagorno Karabakh l’Azerbaijan non voglia fermarsi. La ragione principale è che il territorio azero è diviso in due e comprende un’exclave, cioè una parte di territorio separata geograficamente dal resto del paese. Questa exclave si chiama Nakhichevan ed è separata dal resto dell’Azerbaijan proprio dall’Armenia. Da tempo il progetto esplicito di Aliyev è di ricollegare i due territori del suo paese a danno dell’Armenia, e anche per questo il presidente azero ha sempre usato una retorica estremamente bellicosa e minacciosa non soltanto contro il Nagorno Karabakh, ma proprio contro l’Armenia. Da tempo Aliyev sostiene pubblicamente che l’Armenia non sarebbe altro che «Azerbaijan occidentale» e che Yerevan, la capitale armena, sarebbe «storicamente» una città azera.

La reintegrazione del Nagorno Karabakh nell’Azerbaijan potrebbe anche cambiare molte cose nella regione del Caucaso meridionale. Sia l’Armenia sia l’Azerbaijan sono due ex repubbliche sovietiche che hanno fatto parte dell’URSS fino alla sua dissoluzione, e in entrambi i paesi l’influenza della Russia è sempre stata molto forte. L’Armenia ha perfino un trattato di difesa militare con la Russia, che impone che in caso di attacco a un paese l’altro venga in sua difesa.

Ma negli ultimi anni l’Azerbaijan si è arricchito grazie alle esportazioni di gas e si è molto avvicinato alla Turchia, con la quale ha maggiori affinità religiose ed etniche. È grazie al sostegno turco che l’esercito dell’Azerbaijan è diventato uno dei più efficienti della regione, anche se il paese ha comprato armi anche da Israele e dall’Occidente.

L’Armenia, invece, da qualche anno sta cercando di ridurre la sua dipendenza economica e politica con la Russia, e di avvicinarsi all’Occidente. Di recente il primo ministro Nikol Pashinyan ha cercato di stabilire relazioni più solide soprattutto con l’Europa, ha invitato soldati statunitensi a tenere esercitazioni militari nel suo paese e ha detto che l’Armenia non può affidarsi soltanto alla Russia per la sua difesa. Ha pure annunciato l’invio di aiuti umanitari (ma non di armi) all’Ucraina.

Questo ha provocato reazioni piuttosto negative in Russia. Il presidente russo Vladimir Putin non ha commentato la situazione del Nagorno Karabakh negli ultimi giorni, ma le tv della propaganda russa stanno diffondendo il messaggio che se l’Armenia ha perso il Nagorno Karabakh la colpa è soprattutto del governo e dei suoi nuovi partner occidentali.