Cinquant’anni fa finiva la guerra in Vietnam
Fu uno dei conflitti più sanguinosi e discussi del Novecento, che diede origine a un enorme movimento pacifista

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Il 30 aprile del 1975, esattamente cinquant’anni fa, con la caduta di Saigon si concluse la guerra in Vietnam, uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi del Novecento, che diede origine a estese manifestazioni pacifiche di protesta e diventò il simbolo dell’imperialismo americano e di una guerra ingiusta e brutale.
Nel corso di 20 anni di conflitto, tra il 1955 e il 1975, vennero uccisi circa 2 milioni di civili nord e sudvietnamiti, oltre a centinaia di migliaia di civili in Laos e Cambogia, dove gli Stati Uniti condussero estesi bombardamenti. Vennero uccisi inoltre più di 58mila soldati statunitensi e un numero stimato tra i 200 e i 250mila soldati sudvietnamiti. Quella guerra è ricordata tra le altre cose anche per l’uso di armi chimiche che ebbero effetti devastanti sulla popolazione, e per essere stata la prima e più cocente sconfitta degli Stati Uniti contro il blocco comunista nel corso della Guerra fredda.
La guerra vide contrapporsi l’esercito del Vietnam del Nord, governato dal dittatore comunista Ho Chi Minh, e quello del Vietnam del Sud, il regime anticomunista e cattolico di Ngo Dinh Diem. Le due fazioni erano sostenute rispettivamente da Cina e Unione Sovietica da un lato, e dagli Stati Uniti dall’altro. Proprio gli Stati Uniti intervennero direttamente nel conflitto a partire dal 1962, prima durante la presidenza di John Fitzgerald Kennedy e poi con le amministrazioni dei successori Lyndon Johnson e Richard Nixon. Quella in Vietnam è stata per molti anni la guerra più lunga condotta nella storia degli Stati Uniti, sorpassata in tempi più recenti da quella in Afghanistan (2001-2021).
Il conflitto però ha origini più antiche, che hanno a che fare con la storia coloniale di questi territori. Sin dall’Ottocento l’attuale Vietnam era infatti parte dell’Indocina, una colonia francese. Nel corso del Novecento in risposta alla colonizzazione nacquero in Indocina diversi movimenti indipendentisti: tra questi spiccò in Vietnam il Viet Minh, l’organizzazione fondata proprio dal leader comunista Ho Chi Minh. Tra il 1945 e il 1954 il Viet Minh condusse contro l’esercito francese una guerra per l’indipendenza del Vietnam (che divenne nota come prima guerra di Indocina), che si concluse con gli accordi di Ginevra del 1954: da quel momento nacquero gli attuali stati indipendenti di Laos e Cambogia, oltre ai due stati separati di Vietnam del Nord e Vietnam del Sud.
Nel primo si costituì una repubblica popolare guidata da Ho Chi Minh e sostenuta dalle potenze comuniste dell’epoca, con capitale Hanoi; nel secondo si insediò l’imperatore vietnamita Bao Dai, sostenuto invece dai francesi, con capitale Saigon. Secondo gli accordi, il Vietnam avrebbe dovuto riunificarsi nel 1956, ma nel 1955 Ngo Dinh Diem – con l’appoggio degli Stati Uniti, che volevano limitare l’espansione comunista nella regione – depose l’imperatore Bao Dai e instaurò un governo estremista cattolico.
In pochi anni Diem sostituì la classe dirigente del paese con persone a lui fedeli e cattoliche, ridistribuì le terre, ordinò segretamente di saccheggiare i monasteri buddisti e vietò di esporre pubblicamente la bandiera buddista. Uno dei più famosi atti di protesta contro il regime fu il suicidio del monaco buddista Thich Quang Duc, che si diede fuoco in una piazza di Saigon per attirare l’attenzione sui crimini compiuti da Diem. La foto circolò in tutto il mondo e divenne in breve tempo il simbolo della protesta contro il regime. Nel 1963 venne deposto e sostituito da un altro regime filostatunitense, guidato dal generale Duaong Van Minh (altrettanto repressivo).

Il monaco buddhista Quang Duc si dà fuoco in pubblico in una piazza a Saigon, l’11 giugno del 1963, per protestare contro il regime cattolico estremista di Ngô Đình Diệm (AP Photo/Malcolm Browne)
Nel frattempo nel 1960 venne fondato il Fronte di liberazione nazionale – i cui combattenti diventarono i famosi Vietcong: era un movimento di resistenza che puntava a liberare il Sud e a riunificare il paese sotto il governo comunista di Ho Chi Minh. Gli Stati Uniti cercarono di sostenere il regime filo-occidentale: nel 1962 Kennedy inviò le prime truppe americane a sostegno dell’esercito del Vietnam del Sud e contro il movimento guerrigliero dei Vietcong, ma il paese era ormai governato dal caos e dalla guerriglia.
Non era facile per gli Stati Uniti scegliere una linea d’azione in questa situazione: da un lato sembrava necessario intervenire in modo più diretto e concreto a sostegno del Vietnam del Sud, dall’altro era difficile giustificare l’intervento americano in uno stato così lontano. Trovarono l’escamotage in quello che divenne poi noto come l’incidente di Tonchino: nel 1964 la marina americana accusò i nordvietnamiti di aver attaccato un proprio cacciatorpediniere (anche se tecnicamente erano stati loro ad attaccare per primi), e Johnson ordinò in risposta una rappresaglia aerea e i primi bombardamenti su basi navali e depositi di armi nordvietnamite. Da quel momento aumentò notevolemente l’impegno statunitense nel conflitto.
In quel periodo gli Stati Uniti impiegarono armi chimiche come il napalm e l’Agent Orange, un erbicida che avrebbe dovuto distruggere i raccolti e indebolire i guerriglieri Vietcong e i soldati del nord, ma che conteneva anche sostanze altamente tossiche che provocano cancro, aborti e altri gravi problemi di salute. Un’altra famosissima foto della guerra fu scattata nel 1972 proprio in seguito a un bombardamento al napalm su Trang Bang, un paese vicino al confine con la Cambogia. Nella foto si vede una bambina di nove anni correre nuda su una strada dopo che il suo vestito era stato bruciato in pochi secondi dal napalm.

Kim Phuc, una bambina di nove anni, corre sulla strada in lacrime dopo un attacco al napalm vicino a Trang Bang, 8 giugno 1972. Recentemente è nato un caso attorno a questa foto perché un nuovo documentario sostiene che non sia stata scattata da Nick Ut dell’agenzia Associated Press, cui è sempre stata attribuita, ma da un’altra persona. (AP Photo/Nick Ut)
A partire dal 1968, con la diffusione dei movimenti di rivolta studentesca e di quelli pacifisti, si diffuse negli Stati Uniti un generale e convinto malcontento rispetto al coinvolgimento americano in Vietnam. Già da alcuni anni la diffusione della musica rock era andata di pari passo con un crescente movimento pacifista, e diversi artisti e band si schierarono pubblicamente contro la guerra. Nel 1969 fu scritta e pubblicata forse la canzone più famosa legata al movimento pacifista: “Give Peace a Chance” (“date una possibilità alla pace”), scritta dall’allora membro dei Beatles John Lennon. Già nel novembre dello stesso anno fu cantata da migliaia di persone che parteciparono a una grossa manifestazione di protesta contro la guerra del Vietnam a Washington.
Nel 1969 la presidenza passò al Repubblicano Nixon, che mise in atto la cosiddetta “dottrina Nixon”: prevedeva di proseguire la guerra in modo differente, senza darne notizia all’opinione pubblica e facendo ricorso a trattative, atti di terrorismo e guerriglia e azioni sostanzialmente segrete; e di estendere il conflitto anche in Laos e Cambogia per indebolire il Vietnam del Nord.
La “dottrina Nixon” venne messa in atto gradualmente a partire dal gennaio 1969, ma una serie di eventi portò a un nuovo rovesciamento della situazione. Le proteste contro la guerra continuarono ad aumentare e i risultati sul campo non furono quelli sperati. Dopo continue rispettive incursioni e complicate trattative, gli accordi di pace di Parigi vennero infine firmati il 17 gennaio 1973. In seguito alle dimissioni di Nixon a causa dello scandalo del Watergate, il Vietnam del Nord ruppe gli accordi, intensificò gli attacchi e lanciò un’ultima massiccia offensiva nell’aprile del 1975. Il 30 aprile del 1975 i nordvietnamiti conquistarono la capitale Saigon, portando alla fine della guerra e alla riunificazione del paese.