La storia del Watergate inizia con dello scotch, di notte. La scena è il massiccio complesso del Watergate, cinque grandi costruzioni di lussuosi appartamenti e uffici completati nel 1971 sulle rive del Potomac, a Washington. Poco dopo l’una di notte del 17 giugno 1972, una guardia giurata di 24 anni, Frank Wills, nota che in diverse porte di una parte dell’Hotel Watergate occupata da uffici c’è del nastro adesivo sulle serrature, che impedisce alle porte di chiudersi.
Wills si limitò a togliere il nastro adesivo, ma un’ora più tardi notò che il nastro adesivo alle porte era stato rimesso. Decise allora di chiamare la polizia. E al sesto piano dell’edificio, interamente occupato dalla sede del comitato elettorale del partito Democratico, la polizia trovò e arrestò cinque uomini: Virgilio González, Bernard Barker, James W. McCord jr., Eugenio Martínez e Frank Sturgis. Da qui in poi uscì dalla storia la guardia giurata Frank Wills, anche se un racconto potrebbe essere dedicato solo a lui, che da quella storica scoperta non ottenne niente: lasciò il lavoro perché non gli aumentarono lo stipendio malgrado il suo ruolo quella notte, ebbe una piccola parte come se stesso nel film Tutti gli uomini del presidente dedicato allo scandalo, e morì poverissimo nel 2000, in un ospedale della Georgia.
I cinque uomini arrestati ebbero una fama più duratura: tra di loro c’erano un ex partecipante al fallito attacco a Cuba del 1961 organizzato dalla CIA, la cosiddetta “invasione della Baia dei Porci” – il 55enne Bernard Barker -, due esuli cubani anticastristi e con contatti con i servizi segreti americani, González e Martínez, e un ex collaboratore della CIA e dell’FBI esperto di elettronica, James McCord. Fu chiaro da subito che si trattava di molto di più di un semplice furto con scasso. I cinque vennero trovati in possesso di materiale elettronico per intercettazioni telefoniche.
Poche ore dopo l’arresto, gli agenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) scoprirono il nome di E. Howard Hunt nelle agende di Martínez e Barker: Hunt, 53 anni, era un personaggio particolare, ex agente della CIA, veterano della Seconda guerra mondiale, subito dopo la guerra autore di diversi romanzi di spionaggio e di azione. Ma al di là delle connessioni con i servizi segreti, già evidenti dai nomi stessi degli arrestati, emersero anche palesi collegamenti con il partito Repubblicano dell’allora presidente Richard Nixon, che quell’anno era candidato per la rielezione: dopo pochi giorni risultò che uno degli arrestati aveva un incarico nella sicurezza del partito Repubblicano.
Il giorno stesso in cui questa notizia venne pubblicata dal Washington Post (il 19 giugno) l’ex ministro della Giustizia John Mitchell, a capo della campagna per la rielezione di Nixon, dichiarò che la campagna elettorale repubblicana non c’entrava nulla con l’episodio del Watergate. Ma poco più di un mese dopo, il primo agosto 1972, ancora il Washington Post rivelò che un assegno da 25.000 dollari diretto alla campagna di Nixon era stato invece liquidato nel conto di uno degli arrestati al Watergate.
Due mesi dopo un altro articolo del Washington Post rivelò però che già durante il suo incarico come ministro Mitchell controllava un fondo segreto collegato al partito repubblicano, che serviva a operazioni di controllo e di spionaggio contro i Democratici. Mitchell era stato ministro tra il 1969 e il 1972, durante la presidenza Nixon, ed era famoso per il suo atteggiamento intransigente e duro, in particolare nei confronti del movimento pacifista. Gli sviluppi dell’inchiesta venivano seguiti con molta attenzione dai mezzi di comunicazione e in particolare dal Washington Post, dove il reporter Bob Woodward si avvaleva di una fonte particolarmente vicina all’amministrazione, soprannominata “Gola profonda“. La sua identità venne svelata solo nel 2005.
Le conclusioni dell’indagine dell’FBI arrivarono ai primi di ottobre, seguendo molti altri movimenti di denaro collegati ai cinque del Watergate e investigando sui loro collegamenti politici: l’intrusione nella sede del comitato elettorale Democratico fu dichiarata parte di un’ampia operazione di spionaggio e sabotaggio per danneggiare i Democratici e facilitare la rielezione di Nixon. Nessun collegamento con il presidente, però, era dimostrato.
L’11 novembre 1972 il 59enne Richard Nixon fu rieletto presidente degli Stati Uniti con oltre il 60 per cento dei voti. L’economia andava bene, il presidente aveva portato avanti un graduale disimpegno dall’impopolarissima guerra nel Vietnam e aveva ottenuto un altro importante successo in politica estera con i primi riavvicinamenti alla Cina comunista: la sua rielezione fu una vittoria trionfale, con il rivale democratico, George McGovern, superato di circa 18 milioni di voti. McGovern vinse solamente in Massachusetts e nel District of Columbia, il distretto federale dove si trova Washington.