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  • Martedì 29 aprile 2025

Le aziende cinesi che stanno provando a vendere agli americani direttamente su TikTok

Moltissimi video stanno promuovendo canali diretti prima che i dazi decisi da Trump colpiscano tutti i prodotti

(Collage di alcuni video tratti da TikTok)
(Collage di alcuni video tratti da TikTok)
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Nelle ultime settimane TikTok e Instagram si sono riempiti di video di influencer o lavoratori cinesi che si rivolgono agli utenti statunitensi cercando di convincerli a comprare direttamente dalle fabbriche in Cina, promettendo notevoli risparmi in attesa che entrino in vigore anche sulle merci di minor valore i dazi esorbitanti imposti dall’amministrazione di Donald Trump sulle merci cinesi. Come ha raccontato il New York Times, questi contenuti stanno avendo un successo abbastanza inedito.

Le persone nei video parlano in inglese e hanno un fare piuttosto convincente. Dicono di lavorare nelle stesse fabbriche dove si producono per l’equivalente di pochi dollari scarpe, borse o abiti come quelli che nei mercati occidentali vengono rivenduti a prezzi molto più alti. A volte sostengono che siano proprio gli stessi stabilimenti in cui viene prodotta la merce di marchi famosi, che poi sempre a loro dire finisce per costare molto di più solo perché viene rifinita e confezionata in Europa.

Uno dei video più popolari è quello che parla dei pantaloni femminili da yoga dell’azienda di abbigliamento sportivo canadese Lululemon. Alcuni modelli costano anche più di 100 dollari (hanno prezzi simili anche in euro), ma secondo uno di questi video nelle due fabbriche cinesi che li producono li si può comprare per cinque o sei. Un altro riguarda invece la celebre borsa Birkin di Hermès, tra le più famose ed esclusive al mondo. Nel video si dice che se sul mercato statunitense si trova per circa 38mila dollari (33.500 euro), per farne una con la stessa pelle, gli stessi materiali e gli stessi accessori in Cina ne servono meno di 1.400. «Perché non ci contattate e comprate direttamente da noi?», si domanda quindi in un altro video.

Nel giro di circa due settimane video come questi hanno ottenuto milioni di visualizzazioni e migliaia di like. Alcuni produttori cinesi sentiti dal New York Times hanno detto di aver cominciato a condividerli dopo il primo annuncio dei dazi da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e altri in seguito a una serie di ordini cancellati per i timori legati ai loro effetti.

I post contrassegnati con hashtag come #ChinaFactory, #ChineseFactory e #ChinaManufactory sono più di 200mila, e gli utenti dei social negli Stati Uniti hanno cominciato a promuoverli a loro volta, per esempio condividendo elenchi di aziende cinesi da cui comprare merce, presumibilmente con risparmi notevoli. I video invitano a comprare le merci anche su alcune app di shopping cinesi come Taobao e DHgate, i cui download sono effettivamente aumentati: la seconda in particolare è stata tra le dieci app più scaricate negli Stati Uniti sia sull’app store di Apple che su quello di Google, nella settimana di Pasqua.

Per Matt Pearl, esperto di tecnologia del Center for Strategic and International Studies, un think tank con sede a Washington, questi video stanno suscitando una certa empatia nei confronti delle aziende cinesi, in maniera simile a quanto accadde con il cosiddetto “TikTok ban”: la legge degli Stati Uniti che voleva obbligare l’azienda cinese ByteDance, che la controlla, a vendere la piattaforma a un acquirente non legato al governo cinese. La differenza questa volta a detta di Pearl è che i video riescono nell’intento di far capire quanto gli Stati Uniti siano dipendenti dai beni prodotti in Cina, e quanto estese sarebbero le conseguenze dell’applicazione di dazi molto alti.

– Ascolta anche: Globo. Stati Uniti e Cina «fino alla fine», con Alicia García Herrero

La Cina è il paese più colpito dai dazi statunitensi, che per le merci cinesi arrivano al 145 per cento, superando per alcune categorie anche il 200. In risposta la Cina ha imposto a sua volta dazi del 125 per cento sulle merci statunitensi. Anche se non c’è la certezza, per Pearl è plausibile ipotizzare che il governo della Cina stia facilitando la diffusione di questi video su TikTok, che è un social cinese.

Come ha notato Sucharita Kodali, esperta di vendita al dettaglio della società di consulenza Forrester, per alcune aziende cinesi questi video sarebbero infatti utili per aumentare le vendite prima del 2 maggio: il giorno in cui, salvo ripensamenti di Trump, negli Stati Uniti verrà revocata la possibilità di ricevere merce dal valore inferiore agli 800 dollari proveniente dalla Cina senza dazi o particolari ispezioni. È un provvedimento che farebbe aumentare anche il costo delle transazioni su siti popolarissimi come Shein e Temu.

Nel frattempo TikTok ha rimosso alcuni di questi video per via della sua policy che proibisce la promozione di merci contraffatte, anche se diverse versioni ritoccate continuano a circolare. In ogni caso gli esperti dubitano che chi sostiene di produrre merci autentiche di marchi famosi lo faccia davvero: Kodali ricorda che spesso le aziende a cui vengono appaltate certe fasi delle lavorazioni firmano accordi di riservatezza molto vincolanti con i grandi marchi, e pertanto per loro violarli sarebbe un grande rischio.

Intanto in un comunicato inviato al New York Times Lululemon ha negato di collaborare con l’azienda citata nel video di TikTok, mentre un portavoce di Hermès ha detto che le borse dell’azienda sono «fatte al 100 per cento in Francia».