Non ci sono più i bei trailer di una volta

Sono generalmente meno intriganti e originali che in passato, e sempre più prolissi, banali e stereotipati

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Il film più recente del regista statunitense M. Night Shyamalan, Trap, uscito ad agosto, era stato anticipato da un trailer che mostra un colpo di scena: del tipo, per capirci, che ha reso famoso Shyamalan. Anche se rivela una parte della storia raccontata nella prima parte del film, il trailer è stato criticato per la pigrizia con cui rinuncia del tutto al tentativo di mantenere un po’ di ambiguità su quella premessa. Anziché soffermarsi solo sulla sensazione di minaccia incombente nell’ambiente in cui si svolge la storia, per esempio, o sul ruolo sospetto del personaggio principale, mostra esplicitamente le sue malefatte.

Rivelare troppo della trama di un film è uno dei più ovvi e citati difetti possibili dei trailer, ma negli ultimi anni se ne sono aggiunti altri che hanno reso più comune vederne di banali, sciatti, ingannevoli o ripetitivi, secondo una cospicua parte sia del pubblico che della critica. Una delle opinioni più condivise è che, indipendentemente da quanta parte della storia rivelino, i trailer abbiano perso in generale la capacità di promuovere i film mantenendo un certo grado di autonomia narrativa rispetto ai film stessi.

In un articolo sul New York Times, per avere un metro di paragone, la giornalista statunitense Esther Zuckerman ha citato come modello di trailer invece efficace e ben fatto, benché non molto recente, quello del film del 2010 The Social Network, diretto da David Fincher e sceneggiato da Aaron Sorkin. L’inizio del trailer, che includeva un’apprezzata cover corale di Creep dei Radiohead, mostrava un lungo montaggio di interazioni generiche su Facebook, non presenti nel film ma utilizzate come strumento per attirare l’attenzione del pubblico.

Nella versione italiana del trailer passano circa 30 secondi prima di vedere scene effettivamente contenute nel film, e nella versione circolata negli Stati Uniti l’introduzione durava oltre un minuto. Come ha scritto Zuckerman, «anche il trailer di The Social Network è un film fantastico»: una specie di film a parte di due minuti e mezzo, a cui secondo lei va peraltro riconosciuto il merito di incuriosire il pubblico e di rendere interessante un thriller sull’invenzione di Facebook, che di per sé potrebbe anche essere un argomento respingente per molti.

Per lungo tempo i trailer hanno incluso una voce fuori campo, come del resto succede ancora oggi per la promozione dei film in programma in televisione. Nel caso di Quarto potere, uno dei più famosi film della storia del cinema, scritto, diretto e interpretato da Orson Welles, la voce fuori campo nel trailer era quella dello stesso Welles, che prendeva la parola per presentare il film, la sua trama e i suoi protagonisti.

Con il passare del tempo è aumentata a Hollywood l’inclinazione a rendere sia i film che i trailer più sperimentali. Di alcuni celebri film di Stanley Kubrick degli anni Sessanta e Settanta, tra cui Il dottor Stranamore e Arancia meccanica, furono apprezzati anche i trailer: per la loro capacità di mettere insieme molte scene del film senza la necessità di raccontarlo, ma solo con l’ambizione di descrivere le sensazioni suscitate dalla visione delle immagini.

– Leggi anche: L’ultimo film di Stanley Kubrick

Un altro esempio molto citato di film di successo preceduto da un trailer suggestivo ed efficace, apprezzatissimo per la qualità del montaggio, è Alien, uscito nel 1979 e diretto da Ridley Scott. Anche in questo caso nel trailer emergeva l’intenzione di non svelare la trama, provando lo stesso a mostrare la sensazione angosciante di un pericolo sempre più vicino, in uno spazio buio e privo di vie di uscita.

Il critico inglese Ben Child, in un articolo sul Guardian, ha messo a confronto proprio quel trailer del 1979 con quello del più recente film della saga, Alien: Romulus, uscito ad agosto e diretto dall’uruguaiano Fede Álvarez. Il trailer del primo, per esempio, mostra fugacemente il vice-capitano Kane riverso sul tavolo della sala pranzo della navicella spaziale: si capisce che sta per succedergli qualcosa di tremendo, ma non cosa, perché il montaggio si ferma pochi istanti prima.

Il trailer di Alien: Romulus, al contrario, mostra a un certo punto la scena in cui uno dei personaggi a bordo punta una torcia verso il proprio torace, mostrando chiaramente qualcosa di luminoso che si agita nella gabbia toracica. «Se non vediamo effettivamente il momento sanguinoso in sé, non ci sono dubbi su cosa accadrà dopo», ha scritto Child.

Molti problemi dei trailer recenti sembrano derivare da una difficoltà degli studi cinematografici a scegliere a quale pubblico rivolgersi nel valutare dove porre il confine tra detto e non detto. Child ha citato come altro esempio di trailer che dice troppo quello del film del 2002 Il signore degli anelli – Le due torri, secondo film della trilogia di Peter Jackson, che mostrava il momento in cui riappare Gandalf, teoricamente morto nel primo film. È possibile però che quella scelta rispondesse all’esigenza di rassicurare il pubblico sulla presenza di uno dei personaggi più apprezzati del primo film (senza contare che quella scena, per chiunque avesse letto i libri da cui il film è tratto, usciti da mezzo secolo, non era di certo uno spoiler).

La tendenza dei trailer a mostrare troppe parti dei film, secondo Zuckerman, è in parte correlata storicamente alla progressiva perdita di popolarità della voce fuori campo. Questa evoluzione dei trailer ha aumentato indirettamente il carico di informazioni da poter comunicare per altre vie, rendendo più complicato trovare il punto di equilibrio tra quelle da dare e quelle da non dare. Diversi esempi recenti mostrano come i trailer possano essere in alcuni casi talmente didascalici e prolissi da rovinare l’esperienza della visione dei film, anziché invitare il pubblico a vederli.

Il trailer del film di prossima uscita Speak No Evil, diretto dal regista inglese James Watkins e remake di un omonimo film danese del 2022, dura quasi tre minuti. Ha ricevuto molte critiche sui social per la sua sostanziale piattezza, e per come sembra rispondere al bisogno di sintetizzare tutto il film, incluse molte evoluzioni altrimenti imprevedibili della storia.

Qualcosa di simile era successo alcuni mesi prima per la promozione del film The Fall Guy, diretto da David Leitch e interpretato da Ryan Gosling ed Emily Blunt. Il trailer dura oltre tre minuti: sembra un riassunto completo del film, che non trascura praticamente nessuna scena. Film che peraltro racconta la storia di uno stuntman ed è quindi fatto essenzialmente di scene spettacolari, in gran parte già mostrate nel trailer.

Nel 2023 la giornalista Rebecca Shaw aveva scritto sul Guardian di aver smesso del tutto di vedere i trailer, preferendo chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie prima delle proiezioni al cinema. «Personalmente non ho bisogno di vedere il film intero per decidere se voglio vederlo», aveva scritto, lamentandosi di una diffusa incapacità di concentrare nei trailer il «succo» dei film, e sostenendo di preferire proprio per questo motivo i teaser (versioni ridotte e abbozzate dei trailer).

Nel suo articolo sul New York Times Zuckerman ha suggerito altre categorie di difetti tipici dei trailer degli ultimi anni. Ci sono anche quelli che non dicono abbastanza, per esempio, come secondo lei è il caso del trailer del recente thriller A Quiet Place: Giorno 1, terzo film della serie A Quiet Place. È un trailer abbastanza generico, con molti «BRAAAM!» e pochissime informazioni sui personaggi o sulla storia, che invece è più interessante di quanto sembri solo dal trailer.

Ci sono anche casi in cui i trailer sono brutti perché, tra le altre cose, non hanno una musica di sottofondo adatta. In quello del film Il gladiatore II, per esempio, durante alcune scene di combattimenti nel Colosseo si sente la canzone No Church in the Wild di Kanye West e Jay-Z, presumibilmente scelta per la parte del testo che fa «blood stains the Colosseum doors» (“il sangue macchia le porte del Colosseo”). Che però è un riferimento che il pubblico non anglosassone potrebbe non cogliere, e che in ogni caso può suonare a molti banale e ripetitivo, dato che la canzone era già stata utilizzata con questa stessa funzione anacronistica nel trailer del film Il grande Gatsby, del 2013.

Di recente è poi emersa un’altra tendenza hollywoodiana, in questo caso nella promozione dei musical, a non rendere troppo chiaro nei trailer il genere dei film. Wicked, interpretato dalle cantanti e attrici Ariana Grande e Cynthia Erivo, è un musical in uscita a novembre: eppure non sembra un musical, a giudicare dal trailer. Secondo Zuckerman l’attenzione a non chiarirlo è probabilmente basata sulla convinzione che il pubblico non gradisca questo genere: convinzione però contraddetta dai risultati piuttosto positivi che i musical ottengono da qualche tempo al botteghino.

– Leggi anche: Perché nei trailer dei musical non canta nessuno?

Una caratteristica abbastanza ricorrente di molti trailer recenti, probabilmente emersa dopo il successo del trailer di The Social Network, è infine l’utilizzo di cover lente di canzoni molto popolari come trucchetto per destare l’attenzione del pubblico. Nel 2021, parlando con la rivista Variety il presidente e responsabile del marketing di Sony Music Publishing, Brian Monaco, aveva definito questa pratica «trailerizzazione delle canzoni». Consiste nel cambiare ogni aspetto della canzone fuorché il testo, in modo da catturare l’attenzione delle persone disattente e invogliarle a guardare il trailer attraverso la cover.

Per esempio il trailer del film Beetlejuice Beetlejuice, diretto da Tim Burton e sequel di un suo film del 1988, comincia con una cover molto lenta e cupa di Day-O (The Banana Boat Song) di Harry Belafonte, sottofondo di una scena memorabile del film del 1988. Ricorrere a questo utilizzo pigro e convenzionale della cover, secondo Zuckerman, rischia però di suggerire che Beetlejuice Beetlejuice «sarà solo un rimaneggiamento meno divertente» del primo film.