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  • Domenica 7 luglio 2024

Le Olimpiadi di Parigi ’24, però del Novecento

Furono le ultime da presidente del comitato olimpico di Pierre de Coubertin, e per molti versi già parecchio moderne: i finlandesi sbancarono le gare di corsa, “Tarzan” vinse nel nuoto e il rugby a 15 finì con una rissa

di Gabriele Gargantini

La cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi del 1924
La cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi del 1924 (Photo by WWP/Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
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Un secolo fa, il 5 luglio del 1924, iniziarono a Parigi le ottave Olimpiadi dell’età moderna, 24 anni dopo che la capitale francese ne aveva ospitato la seconda edizione: un’edizione parecchio sottotono, una sorta di evento collaterale dell’Esposizione universale di quell’anno. Nel 1916 le Olimpiadi non si erano svolte a causa della Prima guerra mondiale e mentre quelle del 1920, ospitate da Anversa, erano state un tentativo di rilanciare lo spirito olimpico reinventato dal barone francese Pierre de Coubertin.

Le Olimpiadi di Parigi – che fu la prima città ad ospitarne due edizioni e che sta per diventare la seconda ad ospitarne tre, dopo Londra – si distinsero per una serie di novità organizzative, tecnologiche e logistiche, oltre che per l’affermarsi di alcuni grandi nomi dello sport e lo scompiglio di alcuni loro eventi. Furono innovazioni o invenzioni di cui ancora c’è traccia, e che in certi casi ancora oggi sono parte della prassi, della tradizione e della ritualità olimpica. Gli sportivi che si affermarono in quell’edizione sono tuttora considerati tra i migliori di sempre, così come il caos ebbe conseguenze che si vedono ancora oggi.

A Parigi 1924 si usò per la prima volta il cronometro elettrico, si ufficializzò la distanza della maratona, fu allestito il primo villaggio olimpico e la cerimonia di chiusura finì come da allora è sempre finita. In quelle Olimpiadi il taciturno finlandese Paavo Nurmi vinse cinque medaglie d’oro nel mezzofondo, lo statunitense Johnny Weissmuller – che in seguito avrebbe interpretato Tarzan in una serie di film di grande successo – ne vinse tre d’oro nel nuoto e una di bronzo nella pallanuoto, e i britannici Eric Liddell e Harold Abrahams furono protagonisti della vicenda alla base del film Momenti di gloria. Molta meno gloria ci fu invece nei momenti finali del torneo di rugby, in quella che ancora oggi resta l’ultima partita olimpica di rugby a 15.

Nel 1900 le Olimpiadi di Parigi erano state talmente anonime e accessorie che molti atleti che avevano partecipato alle gare, organizzate nell’arco di cinque mesi, nemmeno sapevano che quelle erano Olimpiadi. Nonostante il pessimo precedente, la Francia aveva però dalla sua la recente esperienza organizzativa dei Giochi interalleati, nel 1919, e il fatto che De Coubertin – fondatore e promotore delle Olimpiadi moderne – fosse francese e che avesse parlato di quelle Olimpiadi parigine come di un “ultimo desiderio” prima del suo ritiro da presidente del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale. Parigi ebbe così la meglio sulle altre città candidate, compresa Roma, che già a inizio secolo aveva dovuto rinunciare alle Olimpiadi per via dell’eruzione del Vesuvio. Nel pacchetto fu inserita anche l’organizzazione ad inizio 1924 a Chamonix, quindi sempre in Francia, di una Settimana internazionale degli sport invernali, di fatto le prime Olimpiadi invernali.

Alle Olimpiadi di Parigi 1924 parteciparono atleti e atlete in rappresentanza di 44 comitati nazionali, 15 in più rispetto a quelle di Anversa 1920 e di Parigi 1900. Fu un netto passo verso un’effettiva internazionalizzazione dell’evento, ma c’erano comunque assenze rilevanti. Mancava la Germania, che fino a pochi anni prima era stata in guerra contro la Francia e gli Alleati, ma c’erano comunque Austria e Ungheria e c’era anche la Turchia, diventata repubblica pochi mesi prima dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano. Per via di problemi politici interni la Cina, presente alla cerimonia di apertura, ritirò i suoi atleti, quattro tennisti, prima che potessero partecipare alle gare. Tra i paesi alla prima partecipazione c’erano Irlanda, Ecuador, Filippine e Lituania. Gli atleti erano più di 3.000 e gli italiani 135.

Gli atleti più benestanti poterono permettersi di meglio, molti dovettero invece soggiornare nel primo villaggio olimpico della storia, allestito nella periferia di Parigi, a Colombes, a pochi passi dallo stadio olimpico. Gli alloggi non erano altro che baracche di legno con dormitori collettivi, bagni in comune e alcuni servizi accessori come un cambio valute, un parrucchiere e un ufficio postale. C’era però l’acqua corrente, allora non granché diffusa in abitazioni di quel tipo. La diaria era di 30 franchi e agli ospiti venivano serviti tre pasti al giorno in genere uguali per tutti, tranne che per i britannici che si erano portati i loro cuochi.

Il villaggio olimpico (Topical Press/Hulton Archive/Getty Images)

Per seguire l’evento – che assegnò medaglie in 17 sport, divisi per 23 discipline, per un totale di 126 eventi – arrivarono a Parigi oltre mille giornalisti, alcuni dei quali tedeschi, e oltre 625mila spettatori, compreso almeno un migliaio di turisti statunitensi arrivati via nave.

Già prima della cerimonia di apertura del 5 luglio erano però iniziati, e persino finiti, i tornei olimpici di alcuni sport di squadra, come il calcio e il rugby. Quello di calcio, con 22 squadre iscritte, fu dominato dall’Uruguay, una delle squadre sportive più forti di sempre. Era alla sua prima partecipazione olimpica e vinse il torneo nonostante il fatto che in quella trasferta europea mancassero i giocatori del Peñarol, la squadra che aveva vinto il campionato uruguaiano. L’Uruguay avrebbe poi vinto il torneo olimpico del 1928 e la prima Coppa del Mondo, giocata in casa nel 1930.

Molto più prosaico fu il torneo olimpico di rugby, che fu giocato nella sua versione a 15 giocatori e al quale si iscrissero sole tre squadre, per tre partite in tutto. Francia e Stati Uniti ebbero gioco facile nelle rispettive partite contro la terza squadra, la Romania, e arrivarono a contendersi l’oro in una partita giocata davanti ad alcune decine di migliaia di spettatori allo Stade de Colombes, che diverse settimane più tardi avrebbe ospitato la cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Francia-Stati Uniti era peraltro una rivincita della finale olimpica di rugby di quattro anni prima, vinta dagli Stati Uniti, della cui squadra facevano parte tra gli altri un centometrista, un atleta di salto in lungo e, più in generale, molti atleti abituati al football americano molto più che al rugby. Vinsero di nuovo gli Stati Uniti: 17 a 3, tra fischi e lanci di oggetti, con una rissa finale e con successiva invasione da parte del pubblico di casa, in una partita raccontata e ricordata in Francia come la «Corrida di Colombes», riassunta dalla frase – la cui attribuzione è dibattuta – «fu il massimo che si potesse fare senza coltelli o revolver». Da allora il rugby a 15 non è mai tornato alle Olimpiadi.

Se Parigi 1924 non fu di grande aiuto per la promozione del rugby, molto di più fece per altri sport, tanto che c’è chi ne parla come delle Olimpiadi in cui furono inventati i campioni.

Emersero in effetti le prestazioni e le storie di atleti particolarmente vincenti che, anche grazie a una copertura mediatica senza precedenti, ebbero un grande impatto sul pubblico. Oltre a ricevere grande copertura sui giornali internazionali, le Olimpiadi di un secolo fa furono le prime a essere raccontate dal vivo via radio, tanto che ci fu chi temeva che quel racconto avrebbe dissuaso le persone dall’andare fisicamente a vedere le gare. Si racconta anche che Edmond Dehorter, lo speaker di molte gare di quelle Olimpiadi, noto come “l’oratore sconosciuto”, salì su una mongolfiera per vedere e raccontare dall’alto quel che accadeva in giro per la città.

Nell’atletica le gare di velocità furono dominate da britannici e statunitensi, con lo scozzese Eric Liddell che vinse nei 400 metri e l’inglese Harold Abrahams che arrivò primo nei 100 metri, corsi in 10,6 secondi. Liddell avrebbe senz’altro potuto dire la sua anche nei 100 ma per motivi religiosi scelse di non partecipare a quell’evento, perché avrebbe dovuto correre di domenica. È la storia raccontata – in versione romanzata, perché in realtà si seppe con largo anticipo che certe gare sarebbero state di domenica – in Momenti di gloria, premiato nel 1982 con l’Oscar al miglior film.

Eric Liddell vince una gara a Stamford Bridge, Londra, nel 1924, prima delle Olimpiadi (Hulton Archive/Getty Images)

Tra chi si fece più notare ci furono lo statunitense Harold Osborn, vincitore anche nella gara individuale di salto in alto: vinse saltando – con la tecnica che si usava allora – 1 metro e 98 centimetri. Nel tennis, in quella che per decenni sarebbe stata l’ultima apparizione olimpica di questo sport, dominarono gli statunitensi, nonostante una fortissima squadra francese. Nella scherma vinse cinque medaglie, di cui tre d’oro, il francese Roger Ducret; un altro incontro schermistico di quelle Olimpiadi degenerò invece nell’organizzazione di un vero duello extra sportivo che si riprometteva di essere “all’ultimo sangue” ma che invece terminò con qualche graffio.

Nel nuoto, le cui gare si svolsero per la prima volta in una piscina lunga 50 metri e con dei galleggianti di sughero a delimitare le corsie, lo statunitense Johnny Weissmuller vinse tre ori e un bronzo nella pallanuoto. Vinse da statunitense, sebbene anni dopo si scoprì che lo era diventato grazie a qualche bugia detta dal padre al suo arrivo negli Stati Uniti. Ancor più che per le sue medaglie olimpiche, negli anni Trenta Weissmuller si fece conoscere come l’interprete di Tarzan in una serie di film di grande successo. Non aveva una gran voce o particolari capacità interpretative, ma comunque doveva parlare poco e lui disse: «Il pubblico perdona il mio modo di recitare perché sa che sono stato un atleta. Sanno che non sono un impostore». Pare però che fu lui a improvvisare fuori copione la frase, di certo non granché articolata ma ben adatta al suo personaggio, “Io Tarzan, tu Jane”.

Johnny Weissmuller (Getty Images)

Il paese che più si fece notare fu però la Finlandia, seconda nel medagliere finale dietro agli Stati Uniti e protagonista in quasi tutte le gare di fondo e mezzofondo, con atleti ricordati ancora oggi come i “Flying Finns”, i finlandesi volanti. Con l’unica eccezione dell’italiano Ugo Frigerio, primo nella 10 chilometri di marcia, i finlandesi vinsero tutte le gare dai 1.500 metri fino alla maratona, la cui distanza fu ufficialmente fissata a 42 chilometri e 195 metri.

In particolare si fece notare il finlandese Paavo Nurmi, vincitore di cinque medaglie d’oro, una delle quali nella corsa campestre a squadre. Nurmi diede il meglio di sé il 10 luglio, quando vinse i 1.500 metri e dopo meno di un’ora si ripresentò in pista (una pista che al tempo era lunga 500 metri anziché 400) e vinse anche i 5.000 metri. Nurmi è ancora oggi considerato uno dei più grandi atleti di sempre, e Runner’s World ha scritto di lui: «Nessuno si è mai impegnato e dedicato alla corsa più di lui, sembrava quasi che corresse senza passione o piacere. Gli piaceva vincere ma non sorrideva mai. Studiò la scienza della corsa ma non condivise mai le sue competenze. Non aveva una disciplina prediletta, eccelleva in tutto, dagli 800 metri ai 20 chilometri, e nessuno riuscì mai a batterlo nella corsa campestre».

Il francese Joseph Guillemot (a sinistra) e Paavo Nurmi (a destra) nel 1923 (Topical Press Agency/Getty Images)

Nurmi era noto anche perché quando correva, più che degli avversari, si curava del cronometro che teneva in mano anche in gara, in un periodo in cui ancora era inconsueto controllare i “tempi al giro”. Pochi giorni prima delle Olimpiadi del 1932, alle quali puntava a vincere la maratona, a quanto pare dopo essersi reso conto che anche su quella distanza faceva tempi fuori dal comune, fu squalificato perché ritenuto professionista: cosa allora proibita, almeno in teoria.

Nurmi fu poi ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 e imprenditore di successo, cosa di cui si dice andasse ben più fiero rispetto ai suoi risultati sportivi. «Vive al di fuori degli ambienti olimpici, e quando vi ritorna è proprio perché non può rifiutarsi di commemorare se stesso», scrisse di lui Italo Calvino, inviato a quelle Olimpiadi.

Nurmi è ancora oggi un eroe sportivo per la Finlandia, sebbene a chi gli aveva chiesto cosa significasse per lui rappresentare il suo paese, che solo nel 1918 aveva ottenuto l’indipendenza dall’Impero russo, rispose: «Corro per me, non per la Finlandia». A proposito di interviste, il giornalista Gianni Brera riuscì ad averci a che fare, con l’intercessione di un banchiere suo amico, parlando in latino. Nurmi morì nel 1973 e nessuno riuscì mai davvero a spiegare cosa avessero di speciale in quegli anni, nella corsa, i finlandesi in generale e lui in particolare.

Oltre al rugby, dopo quelle Olimpiadi smisero di essere olimpiche la corsa campestre e il tennis, troppo palesemente pieno di professionisti. Tra gli sport che erano presenti allora e oggi non più ci sono invece il polo, il ciclismo tandem e, tra gli eventi di ginnastica, la salita alla fune. Ci furono anche, come era in uso allora, e come era nella volontà di De Coubertin, competizioni artistiche. Andò piuttosto male la gara di musica, dove la giuria, composta tra gli altri da Maurice Ravel e Igor Stravinsky, scelse di non premiare nessuno.

Dopo che nel 1922 l’atleta Alice Milliat aveva organizzato, sempre a Parigi, le prime Olimpiadi femminili in protesta contro il CIO e contro l’avversione di De Coubertin alla partecipazione femminile, alle Olimpiadi del 1924 le donne trovarono più spazio rispetto al passato, ma pur sempre pochissimo in termini assoluti. Su tremila atleti, solo 135 erano donne, tre delle quali italiane, tutte e tre tenniste. Le donne parteciparono a tuffi, scherma, nuoto, tennis e vela.

Le Olimpiadi del 1924 finirono il 27 luglio, un secolo esatto prima che a Parigi 2024 inizino la maggior parte delle competizioni. Quelle Olimpiadi, che per la prima volta usarono ufficialmente il motto «Citius, altius, fortius» (“Più veloce, più in alto, più forte”), terminarono con una cerimonia di chiusura che mostrava tre bandiere: quella olimpica con i cinque cerchi, quella del paese che le ha ospitate e quella del paese che le ospiterà. Si fa ancora così.