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  • Giovedì 10 febbraio 2022

Le prime Olimpiadi invernali, che non sapevano di esserlo

Furono organizzate nel 1924 a Chamonix, in Francia, nonostante le resistenze dei paesi scandinavi: furono un successo

di Gabriele Gargantini

Tre pattinatori di velocità inglesi durante un allenamento (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
Tre pattinatori di velocità inglesi durante un allenamento (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)

Le prime Olimpiadi invernali – organizzate a Chamonix, in Francia – si tennero a partire dal 25 gennaio del 1924, 28 anni dopo le prime Olimpiadi moderne di Atene. Arrivarono dopo anni di ferventi dibattiti e intense trattative e dopo che già erano state assegnate medaglie olimpiche per il pattinaggio di figura. Secondo diverse fonti, il barone Pierre de Coubertin, l’ideatore delle Olimpiadi moderne e il fondatore del Comitato Olimpico Internazionale, aveva parlato degli sport invernali come di un «gioco snob per i ricchi», e in quel periodo peraltro esisteva già una competizione multidisciplinare tra diversi paesi, organizzata ogni quattro anni e dedicata agli sport della neve e del ghiaccio.

Il primo sport invernale a diventare evento olimpico fu, nel 1908 alle Olimpiadi estive di Londra, il pattinaggio di figura: assegnò un totale di 12 medaglie, tre delle quali nel “pattinaggio figure speciali maschile”, in cui i partecipanti dovevano ricreare sul ghiaccio forme e figure di considerevole complessità. Le gare si svolsero a ottobre, al chiuso, nel Prince’s Skating Club, e piacquero parecchio: in particolare, si fece notare lo svedese Ulrich Salchow, inventore di un salto che ancora porta il suo nome.

Già nel 1911 ci fu chi, all’interno del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, propose di organizzare in parallelo con le Olimpiadi del 1912 una serie di gare di sport invernali. Uno dei più convinti proponenti era il conte italiano Eugenio Brunetta d’Usseaux, e la proposta si poggiava tra l’altro sul fatto che quelle Olimpiadi estive erano state assegnate a Stoccolma, una città che in quanto a sport invernali poteva ben dire la sua.

La proposta fu però avversata soprattutto dagli svedesi, i quali temevano che l’aggiunta degli sport invernali alle Olimpiadi del 1912 avrebbe tolto importanza e seguito ai Nordiska speleni Giochi nordici, che proprio loro avevano iniziato a organizzare nel 1901. Tra l’altro, a gestirne le prime edizioni era stato Viktor Balck, amico di de Coubertin e uno dei membri fondatori del CIO. Balck, considerato una sorta di “padre dello sport svedese”, vedeva nei Giochi nordici uno strumento per aumentare l’interesse verso lo sport e allo stesso tempo incentivare il sentimento nazionalista del paese.

Nei Giochi nordici, quasi tutti organizzati a Stoccolma, c’erano soprattutto attività legate alla neve e al ghiaccio (alcune delle quali parecchio scandinave, come lo skijöring, una sorta di sci nautico però sulla neve e con le renne come propulsori), ma anche eventi culturali e sport non invernali come il nuoto, la scherma, l’equitazione o la glíma (un tipo di lotta).

I rappresentanti degli Stati Uniti durante la cerimonia di apertura

I rappresentanti degli Stati Uniti durante la cerimonia di apertura (AP Photo, File)

Nonostante l’opposizione dei membri scandinavi e l’assenza di ogni sport invernale alle Olimpiadi svedesi del 1912, nel resto degli anni dieci del Novecento il CIO provò comunque a smuovere un po’ le cose. Per le Olimpiadi di Berlino del 1916 si decise infatti di organizzare dalle parti della Foresta Nera una serie di gare invernali: molte su ghiaccio (pattinaggio di velocità, pattinaggio di figura, hockey) e alcune legate allo sci nordico. Arrivò però la Prima guerra mondiale e quelle Olimpiadi non si fecero mai.

Alle successive Olimpiadi, organizzate nel 1920 ad Anversa, in Belgio, restarono solo il pattinaggio di figura, con molte medaglie vinte da atleti e atlete svedesi, e l’hockey su ghiaccio, il cui torneo finì già quella volta con una finale tra Canada e Stati Uniti.

Divenne tuttavia piuttosto evidente che risultava logisticamente e climaticamente complicato organizzare gare di sport invernali d’estate e in città spesso lontane da ogni forma non liquida di acqua. Già era un problema a Londra o Anversa, figurarsi nel caso in cui a ospitare le Olimpiadi fossero state città giusto un poco più tiepide. Se con gli sport su ghiaccio ci si poteva arrangiare, con gli altri la faccenda si faceva improponibile. Riprese quindi forza l’idea di un evento invernale separato ma collegato alle Olimpiadi estive, che qualcuno vedeva tra l’altro come un modo per rendere più diffusi e meno elitari sport invernali che – sebbene l’origine in molti casi popolare e per nulla sportiva – allora erano quasi solo prerogativa di chi aveva molti soldi.

Nonostante l’aneddoto secondo cui de Coubertin considerasse gli sporti invernali «gioco snob per i ricchi», a quanto pare anche lui cambiò idea, o quantomeno così dice il sito delle Olimpiadi, che da una parte accenna alle sue titubanze verso la questione e che da un’altra lo presenta come «forte sostenitore dell’integrazione di quanti più sport invernali possibili nel programma olimpico». È comunque certo che nel 1921, al settimo congresso del CIO, si decise di fare una versione invernale delle Olimpiadi, con una proposta supportata dai paesi dell’arco alpino e ancora osteggiata da quelli scandinavi.

Si optò per una sorta di compromesso, decidendo di organizzare, nell’inverno prima delle Olimpiadi estive del 1924, già assegnate a Parigi, una “Settimana internazionale degli sport invernali”. In altre parole, una serie di gare patrocinate dal CIO e associate alle vere Olimpiadi, che tuttavia non si sarebbero chiamate Olimpiadi. Nel 1922 si decise quali sport invernali includere nell’evento e nel 1923 fu stabilito che la sede delle gare invernali sarebbe stato il piccolo comune francese di Chamonix-Mont-Blanc, nel dipartimento dell’Alta Savoia, ai piedi del Monte Bianco, al confine con Svizzera e Italia.

Alcuni impianti già c’erano, altri furono allestiti nei pochi mesi a disposizione. Fu realizzata una pista di quasi un chilometro per le gare di bob, fu costruito un trampolino per il salto con gli sci lungo alcune decine di metri e fu preparata una superficie di oltre 25mila metri quadrati su cui svolgere le gare di pattinaggio e quelle di curling.

Prima dell’inizio della Settimana internazionale degli sport invernali di Chamonix piovve per molti giorni di fila, cosa che creò grande preoccupazione e non pochi problemi logistici: «c’erano stati momenti» ha scritto il sito delle Olimpiadi «in cui la pista da pattinaggio sembrava uno stagno». Ma il 25 gennaio 1924, giorno della cerimonia di apertura, c’era bel tempo e la temperatura era bassa quanto necessario. «Nonostante ogni tipo di avversità, siamo pronti» disse il conte Justinien Clary, presidente del comitato olimpico francese, che a proposito di atleti e atlete arrivati da 17 paesi parlò di «un risultato ben al di là di ogni più rosea aspettativa».

Lo stadio olimpico a Chamonix, nel 1924 (AP Photo)

Arnaldo Fraccaroli, inviato speciale del Corriere della Sera alla cerimonia di apertura, scrisse:

«Con un sole scandaloso, dinanzi alla candida maestà del Monte Bianco, si sono inaugurate oggi le gare mondiali di sports invernali della ottava riunione olimpica. Nell’anfiteatro di neve e ghiacci inscenato nella valle la cerimonia è riuscita oltremodo pittoresca. Nella cerchia della tavolozza candida sventagliavano su alti pennoni bandiere di tutto il mondo: intorno una folla caratteristica in costumi alpini di una fantasia sbalorditiva. Le signore, moltissime delle quali in calzoni corti, sfoggiavano una varietà di colori da fare concorrenza all’arcobaleno delle bandiere».

Secondo il regolamento in vigore allora, gli atleti dovevano peraltro presentarsi alla cerimonia di apertura con attrezzature e accessori del loro sport. Fraccaroli scrisse:

Ogni concorrente portava le armi e le insegne del proprio giuoco: i pattinatori con i pattini a tracolla; i giocatori di hockey con i pattini e le lunge aste di legno curvo; i giocatori di curling con le loro comiche scope portate a spalla come fucili; gli sciatori con gli sci ed i bastoni a spall’arm; le squadre di bobsleigh trainavano i bobs».

C’erano più di 250 atleti: quasi tutti maschi e solo 13 femmine, tutte pattinatrici di figura. Dei 17 paesi partecipanti, gli unici non europei erano Canada e Stati Uniti. La squadra italiana, scrisse ancora Fraccaroli, era «non molto numerosa, ma veramente bellissima nelle maglie azzurre con la croce sabauda sul petto, con otto magnifici soldatoni alpini carichi dei loro sci».

La prima medaglia di quell’evento la vinse lo statunitense Charles Jewtraw nel pattinaggio di velocità, che percorse in 44 secondi 500 metri, la distanza più breve; ma ci furono anche gare su altre distanze: la più lunga delle quali era sui 10 chilometri, che il finlandese Julius Skutnabb vinse con un tempo di poco superiore ai 18 minuti. Alle gare di pattinaggio di velocità partecipò anche il suo connazionale Clas Thunberg: l’atleta più medagliato di quelle Olimpiadi, con tre ori, un argento e un bronzo.

Charles Jewtraw a Chamonix (Hulton Archive/Getty Images)

La gara di bob a quattro, in cui qualche partecipante si fece anche piuttosto male, fu vinta dalla Svizzera, un paese che il bob praticamente lo aveva inventato, grazie a un equipaggio che si era formato un po’ per caso dopo che un paio di anni prima uno dei quattro aveva vinto un bob e si era messo a cercare altri con cui usarlo per i monti.

L’equipaggio britannico a Chamonix (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)

Per portare i bob all’inizio della pista costruita lungo l’Aiguille du Midi si usò una vecchia funivia. Per il resto, ci si arrangiò con i mezzi di trasporto a disposizione.

Gli atleti portati alla partenza della gara di bob di Chamonix (Topical Press/Hulton Archive/Getty Images)

Sebbene allora il curling fosse «uno sport completamente sconosciuto in Francia», il paese ospitante si arrabattò per mettere insieme una squadra, che arrivò a vincere il bronzo. In un torneo che, va detto, vide la partecipazione di tre sole rappresentative nazionali. L’argento andò alla Svezia e l’oro alla Gran Bretagna.

La squadra britannica di curling a Chamonix (Topical Press Agency/Getty Images)

Per decenni si considerò quella gara come dimostrativa e quindi non ufficiale, ma le cose cambiarono nel 2006, quando – dopo che alla questione si era appassionato il quotidiano scozzese The Herald – il CIO diede piena dignità olimpica a quell’evento. Oltre che per il numero di squadre partecipanti, l’ambiguità era dovuta al fatto che dopo il 1924 il curling era tornato a essere uno sport dimostrativo nel 1932, per poi essere incluso a pieno titolo nel calendario olimpico solo nel 1998.

Un evento che invece fu sport a Chamonix, poi sport dimostrativo nelle successive edizioni e poi non più sport, è la pattuglia militare, un antenato del biathlon, in cui si alternano sci di fondo e tiro a segno. La pattuglia militare prevedeva infatti sia fondo che tiro a segno, ma anche un’attività di simil-pattugliamento su sci, in uniforme militare e a squadre, lungo un percorso di 30 chilometri. La pattuglia italiana si ritirò dopo che che a uno degli alpini in gara si ruppe uno sci. La vittoria andò un po’ a sorpresa alla squadra svizzera, non proprio conosciuta per la sua tradizione militare.

Alla Settimana internazionale degli sport invernali riscosse un notevole successo la gara di salto con gli sci, in cui l’oro andò al norvegese Jacob Tullin Thams, ideatore di una particolare posizione nota come Kongsberger, che continuò a essere usata per tutta la prima metà del Novecento. Ci fu chi fece salti più lunghi dei suoi, ma Thams vinse perché oltre alla distanza contava lo stile, e il suo piacque di più. Qualche anno più tardi, alle Olimpiadi estive del 1936, Thams avrebbe ottenuto un argento nella vela.

Jacob Tullin Thams a Chamonix (Topical Press/Hulton Archive/Getty Images)

Le gare di fondo – sui 18 e sui 50 chilometri – le vinse il norvegese Thorleif Haug, che completò la più lunga tra le due gare in meno di quattro ore, in un giorno gelido e ventoso, arrivando due ore prima dell’ultimo. Vinse anche la combinata nordica.

Nel pattinaggio di figura, che dopo Londra e Anversa era infine diventato “invernale”, una medaglia andò alla Svezia e due andarono all’Austria: una delle quali alla ventiduenne Herma Szabo, da qualcuno criticata per la sua gonna “corta”.

Herma Szabo a Chamonix (Topical Press Agency/Getty Images)

Lo svedese Gillis Grafström fu il primo a vincere un oro sia alle Olimpiadi estive che al loro corrispettivo invernale e l’unico a vincerlo nella stessa disciplina, perché all’oro di Anversa fece seguire quello di Chamonix, in entrambi i casi nel pattinaggio di figura. Sempre nel pattinaggio di figura si fece notare la norvegese Sonja Henie, ultima classificata nella gara femminile, che aveva solo 11 anni e che durante la sua gara s’interruppe più volte per parlare con chi l’allenava, cosa che non piacque ai giudici.

Sonja Henie e Gillis Grafström a Chamonix (AP Photo)

Nell’hockey, che a differenza del curling vide la partecipazione di otto squadre, stravinse il Canada, che nelle sue prime tre partite segnò 85 gol senza subirne nemmeno uno, e che in finale vinse contro gli Stati Uniti, come già aveva fatto ad Anversa.

La squadra canadese di hockey su ghiaccio a Chamonix (Topical Press/Hulton Archive/Getty Images)

La Settimana internazionale degli sport invernali si concluse il 5 febbraio, a quasi due settimane dal giorno in cui era iniziata, assegnando un totale di 50 medaglie. I paesi con più ori, quattro a testa, furono Norvegia e Finlandia, che quel tipo di evento non lo avevano voluto e però poi ci parteciparono vincendo, tra loro due, più medaglie di tutti gli altri paesi messi insieme. In virtù del maggior numero di medaglie complessive (17 in tutto) al primo posto del medagliere arrivò la Norvegia. La Francia, paese ospitante, si fermò a tre bronzi. L’Italia non vinse nessuna medaglia. Durante la cerimonia di chiusura, un particolare premio per l’alpinismo fu assegnato, da de Coubertin in persona, a Charles Granville Bruce, che aveva guidato la spedizione britannica che nel 1922 aveva tentato l’ascesa all’Everest.

L’ultima medaglia della Settimana internazionale degli sport invernali fu però assegnata solo 50 anni dopo, quando – per correggere un errore che lo aveva riguardato – il bronzo per il salto con gli sci fu assegnato e consegnato all’83enne Anders Haugen.

Secondo il sito delle Olimpiadi, alla Settimana internazionale degli sport invernali assistettero poco più di diecimila spettatori paganti: fu un grande successo.

Pochi mesi più tardi, il 4 maggio 1924, iniziarono a Parigi le Olimpiadi estive. E nel 1926 il CIO decise che da lì in poi quella che era stata chiamata Settimana internazionale degli sport invernali fosse da considerarsi la prima edizione di sempre delle Olimpiadi invernali. Nel 1928, anno delle Olimpiadi estive di Amsterdam, ci furono le Olimpiadi invernali di St. Moritz, in cui tra l’altro Sonja Henie vinse il primo dei suoi tre ori olimpici: a 15 anni, un record di età che avrebbe resistito per diversi decenni.

Le Olimpiadi invernali proseguirono ogni quattro anni, negli stessi anni di quelle estive, con un po’ di strambi sport ora quasi del tutto dimenticati e, fino alle Olimpiadi di Garmisch del 1936, senza nessuna gara di sci alpino. Nel 1994, le Olimpiadi invernali di Lillehammer, in Norvegia, furono le prime a essere organizzate in un anno diverso da quello delle Olimpiadi estive. L’ultima edizione dei Giochi nordici si tenne invece nel 1926.

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