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  • Giovedì 22 giugno 2023

Storia politica delle pentole

Il "cacerolazo", cioè sbattere padelle e attrezzi da cucina come pratica di protesta: risale al Medioevo, si usa molto tra i movimenti femministi e si è visto di recente anche in Francia

Cali, Colombia, 22 novembre 2019 (Vwpics/VW Pics via ZUMA Wire)
Cali, Colombia, 22 novembre 2019 (Vwpics/VW Pics via ZUMA Wire)

Nell’ultima fase delle recenti manifestazioni francesi contro la riforma delle pensioni del presidente Emmanuel Macron una delle pratiche di protesta più diffuse è stata quella di sbattere pentole, padelle e altri arnesi da cucina interrompendo decine di discorsi e visite di ministri a scuole e fabbriche. La pratica di usare le pentole come strumenti di giustizia sociale è chiamata casserolade in francese, dalla parola che significa “casseruola”, ma è più nota con il vocabolo spagnolo cacerolazo. E ha una storia che inizia nel Medioevo.

Alle casserolades francesi sono stati dedicati diversi articoli, anche sui giornali internazionali. C’è chi le ha paragonate ai gilet gialli, altro oggetto di uso comune e a disposizione di tutte e di tutti che ha caratterizzato le manifestazioni iniziate in Francia nel 2018 contro i rincari del prezzo del gasolio e della benzina. E c’è chi ne ha spiegato il significato attraverso le testimonianze delle persone che hanno scelto questa modalità di protesta. Una donna francese intervistata dal New York Times ha detto ad esempio che le pentole sono per lei il simbolo di una lotta sociale più ampia: per riuscire a mettere, a fine mese, del cibo in tavola.

La riforma delle pensioni è stata approvata tra scioperi e proteste e tramite un articolo costituzionale che ha evitato il voto del parlamento, contribuendo a creare in Francia una crisi sociale difficilmente superabile nel breve periodo e aprendo quella che alcuni commentatori e politici hanno definito una «crisi della democrazia». Christian Salmon, giornalista di Slate, ha dunque raccontato come la barriera del suono creata dal rumore delle pentole rappresenti perfettamente il rifiuto della trattativa e del dialogo. E come, non solo simbolicamente, ne registri il fallimento: «Il desiderio di assordare e rispondere con il rumore riflette una sorta di discredito del discorso politico. Quando non è più possibile dialogare con il governo, ne sono state coperte le voci».

Manifestazione contro Emmanuel Macron, Parigi, 17 aprile 2023 (AP Photo/Thibault Camus)

Le casserolades, prendendo il posto dell’incendio dei cassonetti per le strade francesi, hanno anche sottratto terreno alle critiche fatte, da chi è contrario ai contenuti della protesta, ai metodi di chi protesta. E, dice Salmon, hanno creato «un immaginario grottesco del potere». I prefetti hanno emanato dei decreti contro i «dispositivi di amplificazione del suono» e si sono viste decine di poliziotti in tenuta antisommossa requisire pentolini, mestoli o circondare e lanciare gas lacrimogeni su piccoli gruppi di persone con un cucchiaio di legno in mano.

Nonostante le confische, le proteste con le pentole sono proseguite: sono nate delle applicazioni per i telefoni come Cacerolazo e Cassolada 2.0 (che imitano i suoni delle padelle sbattute) e anche dei siti che hanno creato una classifica giocosa delle azioni rumorose con l’obiettivo di dare visibilità a quella stessa mobilitazione.

Macron ha commentato più volte la pratica della battitura delle padelle. Ha detto ad esempio che «non saranno le pentole a far andare avanti la Francia» e Cristel, un produttore francese di pentole, gli ha risposto su Twitter: «Monsieur le Président, a @cristelfrance produciamo pentole che portano avanti la Francia!!!». Dopodiché Macron ha dichiarato che «i manifestanti non cercano di parlare ma di fare rumore» o, ancora, in modo sprezzante, che «le uova e le padelle servono per cucinare a casa propria».

La storia del cacerolazo risale al Medioevo: al tempo l’usanza si chiamava charivari e aveva l’obiettivo di esprimere la rabbia o l’irrisione collettiva contro individui ritenuti responsabili di atti offensivi verso la morale comune (uomini rimasti vedovi che si risposavano con giovani donne, ad esempio). Consisteva in assembramenti di persone che utilizzavano vari utensili provocando chiasso fuori dalla casa della persona alla quale la protesta era indirizzata. A volte il rituale si concludeva con una riconciliazione. Ma il charivari poteva avere già nel Medioevo anche valenze politiche e esprimere un sentimento di insoddisfazione contro l’ordine costituito.

La svolta politica della pratica arrivò in Francia nel 1830 sotto re Luigi Filippo I, quando venne organizzata una campagna nazionale che durò diversi giorni e che consisteva nel battere pentole e tegami durante la notte sotto le finestre delle case dei politici per chiedere maggiori libertà e l’ampliamento del diritto di voto. Uno dei principali giornali dell’epoca a sostegno del regime, il Journal des Débats, definiva il charivari come il «suffragio universale messo in musica: sono l’incapacità e l’ignoranza che si erigono a diritto; sono la confusione e il disordine istituzionalizzati».

Caricatura del 1831 di Grandville, illustratore e caricaturista francese del XIX secolo

Quelle pentole, ha spiegato lo storico francese Emmanuel Fureix, erano oggetti quotidiani che diventavano «strumenti di giustizia popolare, un mezzo di espressione per le persone che non avevano voce in capitolo». Tramite quella pratica operavano un capovolgimento tra pubblico e privato: non solo utilizzavano un oggetto domestico nello spazio pubblico, ma violavano lo spazio privato di chi faceva politica poiché i “concerti” si svolgevano di notte sotto le loro finestre. I politici erano dunque umiliati nel loro spazio privato, mentre le persone formalmente escluse dallo spazio pubblico e politico lo occupavano.

Nella seconda metà dell’Ottocento le forme del charivari vennero sostituite dal cazerolazo, diventando cioè una pratica politica organizzata. In Cile i concerti di pentole furono usati dagli oppositori di Salvador Allende, presidente eletto democraticamente nel 1970 e destituito da un colpo di stato nel 1973 che portò al potere per diciassette anni la dittatura militare del generale Augusto Pinochet. La prima manifestazione fu organizzata il primo dicembre del 1971 a Santiago, la capitale, a quindici mesi dall’elezione di Allende e, soprattutto, durante la lunga visita ufficiale di Fidel Castro, primo ministro a Cuba.

Come racconta la storica Margaret Power nel suo libro del 2008 Right-Wing Women in Chile: Feminine Power and the Struggle against Allende, l’originalità di questo cacerolazo è che fu un’iniziativa di sole donne che appartenevano all’alta borghesia cilena e che vennero sostenute dai principali partiti e movimenti di destra del paese. In quel preciso contesto, la pentola vuota sbattuta per il timore che con Allende sarebbe finito il cibo non faceva che rimarcare il ruolo tradizionale della donna come angelo del focolare e della cucina, mentre gli uomini che le scortavano durante la manifestazione mantenevano il loro ruolo di protettori del “sesso debole”.

Al tempo, il gruppo cileno Quilapayún scrisse una canzone per deridere quella protesta. Nel testo si dice che «la destra ha due pentole»: una piccola, nuova e appena comprata per andare a manifestare e una grande che è invece rimasta a casa e che è piena di arrosto e patate.

In Cile, la protesta con le pentole fu poi rivolta contro Augusto Pinochet e durante le manifestazioni antigovernative del 2019 contro il presidente conservatore Sebastián Piñera (anche in quel caso venne fatta una canzone, “Cacerolazo”, di Ana Tijoux).

Venne usata in Argentina fin dagli anni Ottanta e poi contro il governo di Cristina Fernandez Kirchner negli anni Duemila, ma anche in Islanda nel 2009, in Québec durante le manifestazioni studentesche del 2012, in Turchia, in Myanmar, a Porto Rico, nei giorni del referendum per l’indipendenza della Catalogna del 2017, in Marocco, nelle Filippine, in Burkina Faso e in moltissimi altri paesi del mondo e per motivi sempre differenti.

Il cacerolazo ha assunto però un significato meno generico nelle proteste dei movimenti femministi, soprattutto nell’America del Sud e poi altrove. Un giornale femminista uruguayano fondato nei primi anni Ottanta si chiama proprio La Cacerola: il nome, si diceva nel primo numero, derivava da un esercizio di riappropriazione linguistica. La casseruola era il simbolo dell’educazione che ricevevano le donne e quello dello spazio domestico a cui, “secondo natura”, erano destinate.

I movimenti femministi avevano deciso di prendere quel simbolo e di decontestualizzarlo, rovesciandone il significato e facendo diventare la pentola uno strumento di protesta per le loro rivendicazioni. Con questo preciso obiettivo è oggi usato, insieme a molti altri attrezzi da cucina, nel cacerolazo feminista.