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  • Mercoledì 24 maggio 2023

Che ne è stato del Qatargate

È scomparso da settimane dalle prime pagine dei giornali: secondo alcuni si è sgonfiato, secondo altri ha generato un dibattito ancora agli inizi

di Luca Misculin

Antonio Panzeri durante un dibattito al Parlamento Europeo nel 2018 (Fred MARVAUX/© European Union 2018)
Antonio Panzeri durante un dibattito al Parlamento Europeo nel 2018 (Fred MARVAUX/© European Union 2018)
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A metà dicembre diversi parlamentari europei e funzionari dell’Unione Europea furono coinvolti in uno scandalo di presunta corruzione da parte del Qatar e del Marocco. Ci furono arresti, perquisizioni, la notizia finì sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. A distanza di qualche mese, a detta di molte persone che lavorano dentro e fuori dalle istituzioni, il caso si è sgonfiato: o meglio, non si è allargato ad altre persone, come invece si era immaginato alla fine dello scorso anno.

I parlamentari coinvolti sono stati tutti scarcerati in attesa del processo, compresa la più alta in grado all’epoca, l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo, Eva Kaili. L’europarlamentare belga Marc Tarabella era stato arrestato a febbraio ed è stato rilasciato due mesi dopo: all’inizio di questa settimana è andato regolarmente nella sede del Parlamento Europeo di Bruxelles, in Belgio. Anche l’ex parlamentare europeo attorno a cui ruota buona parte della vicenda, Antonio Panzeri, è agli arresti domiciliari dopo avere accettato di collaborare con i magistrati belgi che seguono il caso.

Tutto questo però non significa che il caso non abbia avuto e non avrà importanti conseguenze all’interno delle istituzioni europee. La vicenda ha avviato un estesissimo dibattito interno sulla trasparenza delle istituzioni, che secondo alcuni è solo all’inizio, ed è plausibile che tornerà sui giornali non appena inizierà il processo per i parlamentari e i funzionari coinvolti, nei prossimi mesi.

Il processo si terrà a Bruxelles e a meno di sorprese coinciderà con la campagna elettorale per le elezioni per rinnovare il Parlamento Europeo, che si terranno in tutta l’Unione fra un anno, nel giugno del 2024. A temere novità e storie inedite potenzialmente imbarazzanti sono soprattutto i Socialisti e Democratici (S&D), il principale gruppo parlamentare di centrosinistra, di cui fa parte anche il Partito Democratico italiano: finora tutti i parlamentari coinvolti nel caso provengono dall’S&D.

«Se dovessero uscire dei nomi nuovi, magari a fine autunno, sarebbe un nuovo brutto colpo per l’S&D» e per i partiti che ne fanno parte, spiega una persona che lavora ad alti livelli all’interno di un gruppo parlamentare e preferisce rimanere anonima.

I partiti di centrosinistra sono in affanno in quasi tutti i principali paesi europei. Nuovi imbarazzanti dettagli su questa storia potrebbero ridurne i consensi e rendere ancora più agevole la strada a una vittoria dei partiti di centrodestra e destra alle elezioni del 2024 e quindi a una nuova, inedita maggioranza che gestirebbe i lavori del parlamento ed esprimerebbe la nuova Commissione Europea, di cui si parla da mesi: quella fra il Partito Popolare europeo, di centrodestra, i Conservatori e Riformisti, di destra radicale, e i centristi liberali. Sarebbe la prima volta nella storia di una maggioranza esclusivamente di centrodestra nel Parlamento Europeo.

La storia del Qatargate, dall’inizio
Tutto iniziò venerdì 10 dicembre, quando le autorità belghe arrestarono una delle vicepresidenti del Parlamento Europeo, la greca Eva Kaili, l’ex parlamentare europeo italiano poi diventato lobbista, Antonio Panzeri, il suo storico collaboratore Francesco Giorgi, e Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della ong No Peace Without Justice, legata ai Radicali. L’inchiesta della procura belga ruotava intorno a Panzeri, accusato di essere a capo di una rete di parlamentari europei, assistenti e funzionari che avrebbe lavorato per curare gli interessi di almeno due paesi esterni all’Unione, Qatar e Marocco, all’interno del Parlamento Europeo, in cambio di soldi. A varie persone coinvolte nell’inchiesta furono sequestrati circa 1,5 milioni di euro in contanti, spesso nascosti in sacche e valigie, le cui foto furono diffuse dalla polizia belga.

Nelle settimane successive vennero arrestati altri due parlamentari da sempre ritenuti molto vicini a Panzeri: il belga Marc Tarabella e l’italiano Andrea Cozzolino. Nel frattempo furono fatte varie perquisizioni, altri due parlamentari ritenuti molto vicini a Panzeri – la belga Maria Arena e l’italiano Pietro Bartolo – si dimisero dai loro incarichi al Parlamento, nonostante non fossero mai entrati nelle indagini. L’S&D avviò un’indagine interna e prese subito le distanze dai parlamentari coinvolti. La presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola promise 14 misure per migliorare da subito o quasi la trasparenza del lavoro dei parlamentari europei.

Dai documenti fatti trapelare dalla procura federale belga, che sta coordinando le indagini, e dalle prime inchieste dei giornali sembrava che l’interesse del Qatar fosse legato soprattutto a migliorare la propria immagine all’interno delle istituzioni europee, condizionata dalle numerose inchieste sulle violazioni dei diritti umani dei moltissimi lavoratori stranieri nel paese. Ancora oggi molti ritengono che il filone più significativo delle indagini sia quello relativo al Marocco, che ha interessi più concreti in Europa come alcuni fondi europei legati al controllo della migrazione e alla pesca.

Fra dicembre e gennaio nelle istituzioni europee in molti pensavano che il caso si sarebbe allargato. Se il Qatar e il Marocco avessero davvero voluto influenzare i lavori del Parlamento Europeo avrebbero dovuto condizionare moltissimi parlamentari, ritenevano alcuni. Altri ancora pensavano che le indagini della procura federale belga e dei giornali avrebbero individuato altri paesi esterni all’Unione Europea intenzionati a condizionare i lavori del Parlamento tramite finanziamenti illegali, anche per via delle norme interne piuttosto flessibili sulle influenze esterne come quelle dei cosiddetti lobbisti.

Non è accaduto nulla di tutto questo.

Nessun altro parlamentare o funzionario del Parlamento Europeo è stato coinvolto, né dalle carte dell’indagine della procura federale finite sui giornali né dalle inchieste dei giornalisti che se ne sono occupati. Tutte le persone di cui si è parlato sono in qualche modo legate a Panzeri. Non sono emersi sforzi simili da parte di nessun altro paese esterno all’Unione.

Lo scandalo inoltre è rimasto quasi del tutto circoscritto al Parlamento Europeo, senza colpire altre istituzioni dell’Unione.

Alla fine di febbraio Politico aveva scoperto che Henrik Hololei, capo del dipartimento della Commissione Europea che si occupa di trasporti, fra il 2015 e il 2021 aveva viaggiato nove volte gratis con Qatar Airways, la compagnia di bandiera del Qatar. Hololei si era sostanzialmente approvato i viaggi da solo, essendo il capo del suo dipartimento. Negli stessi anni Qatar Airways aveva avviato un lungo e complesso negoziato con l’Unione Europea per ottenere accesso illimitato agli scali aeroportuali all’interno dell’Unione: Hololei non aveva lavorato direttamente al negoziato, che si è poi interrotto subito dopo che la notizia dell’indagine su Panzeri era diventata pubblica.

Dopo la scoperta di Politico, Hololei ha comunque lasciato il suo incarico ed è stato trasferito in un altro ufficio della Commissione, meno influente. Stando alle informazioni disponibili oggi, nessun altro funzionario della Commissione è stato coinvolto nell’indagine o nelle inchieste relative dei giornali.

L’inchiesta della procura federale belga
Negli ultimi tempi le attenzioni dei giornali si sono invece spostate sul modo e i metodi con cui è stata condotta l’inchiesta da parte della procura federale belga, che hanno mostrato diversi limiti. Il magistrato a capo dell’inchiesta si chiama Michel Claise. «Chi lo conosce bene lo descrive come un giudice integerrimo, con grandi capacità di indagine e un’attenzione maniacale alla corruzione: ma anche propenso a usare la mano pesante», ha scritto qualche tempo fa sul Foglio David Carretta, esperto giornalista di affari europei e storico corrispondente dalle istituzioni di Radio Radicale.

Tutte le persone coinvolte in questa vicenda sono state arrestate e tenute in carcere per settimane o mesi, a volte in condizioni che i loro avvocati hanno descritto come degradanti. Il sospetto è che Claise e i suoi collaboratori abbiano usato la detenzione come un mezzo per fare pressione sulle persone incriminate, affinché fossero spinte dalle circostanze a parlare con gli investigatori: è una pratica molto controversa, che fra l’altro in alcuni casi spinge le persone coinvolte a confessare cose false pur di uscire dal carcere. In Italia per esempio è vietata piuttosto esplicitamente dalla legge 332 approvata nel 1995.

A Kaili, durante il primo mese di detenzione, fu negata la possibilità di vedere sua figlia di due anni. I suoi avvocati hanno fatto sapere che per ragioni non ancora chiarissime fra l’11 e il 13 gennaio Kaili fu tenuta in isolamento senza la possibilità di comunicare col mondo esterno, nemmeno con loro. In quei giorni Kaili aveva le mestruazioni, e sempre secondo i suoi avvocati le fu negato di farsi una doccia. Nella sua cella la luce era sempre accesa, cosa che le impediva di dormire, e quando chiese una seconda coperta per proteggersi dal freddo gli agenti della polizia penitenziaria non gliela diedero, sempre secondo la ricostruzione dei suoi avvocati.

Eva Kaili (European Parliament via AP)

Di recente è stato anche messo in discussione l’accordo che Claise ha stretto con Panzeri, garantendogli un forte sconto di pena in cambio della sua collaborazione (non sono stati diffusi i dettagli dell’accordo). In un recente editoriale non firmato la rivista European Views si è chiesta se trattare Panzeri alla stregua di un “pentito” di mafia sia stata la decisione più corretta: Panzeri potrebbe avere tutto l’interesse a ingigantire il caso e a fare nomi di altre persone in modo da ottenere uno sconto di pena più grandeIn tutto questo però potrebbero finire coinvolte, e condannate, persone che in realtà c’entrano assai poco.

«Come tutti i meccanismi potenti, sono tanto efficaci quanto sono brave e giuste le persone e le istituzioni che li utilizzano. L’inchiesta sulle presunte tangenti e il sistema corruttivo all’interno dell’Unione è necessario e importante, ma le autorità dovrebbero essere interessate a fare giustizia, e non a ottenere delle condanne», scrive European Views.

Non è chiaro su quali filoni dell’indagine si stiano concentrando gli investigatori in queste settimane e non è nemmeno chiaro quando inizierà il processo. Tutte le persone coinvolte sono state scarcerate, ma nessuna di loro ha parlato coi giornali e i magistrati della procura federale belga non fanno dichiarazioni al riguardo. L’impressione è che in un certo senso il caso si sia «sgonfiato».

«In una prima fase c’era una certa spinta alle riforme perché l’occhio del pubblico era molto attento: ora questa spinta si è persa», spiega Shari Hinds, esperta di integrità politica di Transparency International EU, un’organizzazione che si occupa di lobbismo e trasparenza.

A prescindere da come finirà il processo contro Panzeri e le altre persone coinvolte, chi si occupa di trasparenza e integrità del processo legislativo europeo ritiene che questa vicenda abbia reso evidenti le vulnerabilità delle istituzioni alle influenze esterne, che possono garantire ai parlamentari europei benefici extra rispetto a quelli previsti dal proprio mandato come soldi, favori, incarichi, viaggi e regali. I primi sono vietati, tutti gli altri sono limitati, ma il confine fra cosa è lecito e cosa no è da sempre molto sottile. O quando è esplicito, non ci sono organi interni a farlo rispettare.

«La natura dello scandalo è più ampia di quella che le istituzioni hanno voluto riconoscere», dice Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby.

– Leggi anche: Il Parlamento Europeo ha un problema con le lobby?

La questione della trasparenza
All’inizio di gennaio la presidente del Parlamento Europeo, la maltese Roberta Metsola, presentò un piano in 14 punti per rendere più trasparenti i rapporti fra parlamentari e funzionari e i lobbisti.

La proposta principale di Metsola riguarda l’estensione a tutti i parlamentari europei dell’obbligo di registrare i propri incontri con i lobbisti in un portale pubblico. Al momento, in teoria, tutti i parlamentari europei possono già farlo: ma l’uso del portale è obbligatorio solo per i parlamentari con incarichi rilevanti. Altri punti del piano prevedono l’obbligo per i lobbisti che rappresentano gli interessi di paesi extraeuropei di registrarsi nell’apposito Registro per la trasparenza, una banca dati dell’Unione Europea in cui sono presenti tutte le principali lobby (al momento chi rappresenta un paese terzo ha a disposizione diverse scappatoie che gli permettono di non registrarsi).

Il compito di concretizzare questo piano in una modifica delle norme interne del Parlamento Europeo è stato affidato a un gruppo di lavoro interno alla commissione per gli affari costituzionali (AFCO) del Parlamento Europeo. Hinds però spiega che i lavori del gruppo di lavoro non sono pubblici, quindi difficilissimi da monitorare per chi si occupa di questi temi. Dalle informazioni che ha raccolto Transparency International EU, quasi certamente le proposte del piano Metsola «verranno annacquate», dice Hinds, «perché sappiamo che al suo interno ci lavorano parlamentari che si oppongono al piano»: privatamente, perché in pubblico tutti o quasi si dicono d’accordo coi suoi contenuti. Il gruppo di lavoro dovrebbe produrre una bozza di riforma intorno a giugno, che dovrebbe essere poi discussa dopo la pausa estiva, quindi a settembre o ottobre.

Al momento l’ufficio di presidenza del Parlamento Europeo si è limitato a introdurre ad aprile un periodo di cosiddetto cooling off, “raffreddamento”, che impedirà agli ex parlamentari europei di fare i lobbisti nei primi 6 mesi dopo la conclusione del proprio mandato. Una misura insufficiente, giudica Hinds, perché nei primi sei mesi dopo le elezioni l’attività legislativa è assai limitata.

Anche la Commissione Europea sta lavorando ad alcune proposte sulla trasparenza: a giugno presenterà il cosiddetto Pacchetto Democrazia, in lavorazione già da anni, che secondo Alberto Alemanno (fondatore di The Good Lobby) prevederà che ciascun paese membro crei e gestisca un proprio registro pubblico sui tentativi di influenze straniere nei confronti del processo legislativo nazionale.

Da mesi inoltre la Commissione ha promesso che avanzerà una proposta per creare un comitato etico indipendente che monitori tutte le istituzioni europee sulle questioni di trasparenza: una decina di giorni fa però Politico ha scoperto che la bozza su cui sta lavorando l’ufficio di Věra Jourová, commissaria europea ai Valori e alla Trasparenza, non prevede che questo comitato abbia la facoltà di fare delle indagini e soprattutto di sanzionare persone e uffici. Cosa che lo renderebbe inutile o quasi.

La commissaria Věra Jourová (Emilie GOMEZ/ © European Union 2022)

Nessuno dei principali gruppi parlamentari al Parlamento Europeo sembra intenzionato a chiedere alla Commissione o al Parlamento stesso che vengano rispettate le promesse di intransigenza verso possibili influenze esterne: costruire rapporti al di fuori del Parlamento Europeo, oltre ad essere molto utile per la propria attività legislativa, permette di costruirsi una carriera una volta esaurito il proprio mandato parlamentare, che dura 5 anni.

I più contrari a inasprire le norme sono i gruppi di destra e centrodestra, che tradizionalmente sono quelli che utilizzano di meno il portale pubblico in cui vengono registrati gli incontri con i lobbisti. Anche nell’S&D, però, non sembra che ci sia una grande spinta per provare a cambiare le cose. L’indagine interna annunciata dopo l’arresto di Panzeri, Kaili, Giorgi e Figà-Talamanca si è risolta in un questionario anonimo fatto compilare online a tutte le persone che lavorano nel gruppo.

«Non vedo grandi cambiamenti nel modo di comportarsi» di parlamentari e funzionari socialisti, spiega una persona che lavora ad alti livelli all’interno di un gruppo parlamentare e preferisce rimanere anonima, la stessa citata prima.

Dentro all’S&D rimane comunque il timore che il processo a Panzeri e alle altre persone coinvolte possa sovrapporsi alla campagna elettorale per le elezioni europee, e che in sostanza possa generare altre storie potenzialmente imbarazzanti per il gruppo e i partiti politici che ne fanno parte. Qualche tempo fa un piccolo giornale di destra spagnolo, Es Diario, aveva scoperto per esempio che Laura Ballarin Cereza, capa di gabinetto della capogruppo dell’S&D Iratxe García Pérez, negli ultimi anni è stata più volte in vacanza con Kaili e il suo fidanzato Francesco Giorgi, di cui era molto amica: le possibilità che il suo nome si possa trovare nelle carte del processo, insomma, esiste.

Rivelazioni potenzialmente imbarazzanti potrebbero mettere in ulteriore difficoltà i partiti che fanno parte dell’S&D, in difficoltà un po’ ovunque in Europa. I tre partiti che in questo momento garantiscono più parlamentari alla delegazione sono il Partito Socialista spagnolo, con 21 parlamentari europei, il Partito Socialdemocratico tedesco, con 16, e il Partito Democratico italiano, con 15. Nessuno di loro al momento è il partito più popolare nel proprio paese, secondo i sondaggi.

Un’eventuale riduzione del consenso per i partiti socialisti – e dei Verdi, in difficoltà soprattutto in Germania – potrebbe agevolare la costruzione di una maggioranza fra la destra, il centrodestra e il centro. Sarebbe la prima volta nella storia del Parlamento Europeo, istituito nel 1979: cambierebbero moltissimi equilibri e priorità, oltre che i leader delle istituzioni.

L’attuale presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è ritenuta la candidata naturale per un secondo mandato alla guida dell’organo: ma se cambiasse la maggioranza che l’ha eletta la prima volta e a cui continua a fare riferimento, che comprende centrosinistra, centrodestra e liberali, anche la sua nomina sarebbe rimessa in discussione.

A prescindere dalle conseguenze politiche, alcuni come Alemanno temono che il presunto scandalo di corruzione intorno al Qatar e al Marocco produrrà effetti tangibili sull’affluenza alle elezioni europee, che nel 2019 era aumentata di vari punti rispetto al 2014 invertendo una tendenza iniziata dal 1984.

«Sospetto che questo scandalo avrà un effetto negativo dall’affluenza, e che
ci sarà una caduta abbastanza significativa che si consoliderà nei prossimi mesi, anche per incapacità del sistema politico nel dare una risposta a questo scandalo», sostiene Alemanno, che indica per esempio i dati dell’ultimo Eurobarometro, il rispettato sondaggio commissionato periodicamente dal Parlamento Europeo sulla percezione dell’Unione Europea.

Nell’ultima rilevazione, fatta fra gennaio e febbraio del 2023, il tasso di popolarità del Parlamento Europeo è sceso di tre punti rispetto all’estate del 2022, dal 52 al 49 per cento. In Belgio, il paese in cui si è più parlato del caso Panzeri, il tasso si è ridotto del 10 per cento. In Italia però il tasso è rimasto praticamente invariato, e anzi è aumentato di un punto.