• Konrad
  • Martedì 27 dicembre 2022

Il coinvolgimento del Marocco nel caso di corruzione al Parlamento Europeo

Non si sa ancora molto al riguardo, ma le indagini della procura belga ipotizzano un impatto anche maggiore di quello del Qatar

L'ex parlamentare europeo Antonio Panzeri insieme a Abderrahim Atmoun, attuale ambasciatore del Marocco in Polonia (servizio stampa del Parlamento Europeo)
L'ex parlamentare europeo Antonio Panzeri insieme a Abderrahim Atmoun, attuale ambasciatore del Marocco in Polonia (servizio stampa del Parlamento Europeo)
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Fin da subito il presunto scandalo di corruzione all’interno del Parlamento Europeo è stato soprannominato dai giornali europei e italiani “Qatargate”, dal nome di uno dei due paesi coinvolti, il Qatar appunto. Lo scandalo è emerso a metà dicembre, proprio quando in Qatar erano in corso i Mondiali di calcio, i più controversi da molti anni a questa parte. Molti degli sviluppi più significativi di questa storia però sembrano riguardare l’altro paese coinvolto: il Marocco, a cui peraltro da anni è vicinissimo l’ex parlamentare europeo accusato di essere al centro di questa vicenda, Antonio Panzeri.

L’Unione Europea scambia con il Marocco beni e servizi per diversi miliardi di euro ogni anno, e condivide due frontiere di terra, quelle che delimitano le exclave spagnole di Ceuta e Melilla. È quindi piuttosto normale che il governo marocchino provi a condizionare il processo decisionale delle istituzioni europee per proteggere i propri interessi. Secondo la procura federale belga, che indaga sul caso, in alcuni casi questa legittima campagna di influenza si sarebbe però trasformata in un tentativo di corruzione: alcune persone che lavorano al Parlamento Europeo avrebbero ottenuto soldi e favori in cambio di decisioni favorevoli al governo marocchino.

Qualche giorno fa Repubblica ha pubblicato un elenco di accuse contro il Marocco contenute in alcune carte della procura federale belga. Sono più varie ed eterogenee rispetto a quelle che riguardano il Qatar – che dalle informazioni uscite finora sembrava interessato soprattutto a migliorare la propria immagine all’interno delle istituzioni europee – e se confermate indicherebbero che l’operazione va avanti ormai da molti anni e in ambiti anche molto diversi.

Secondo la procura federale belga, il Marocco fra le altre cose avrebbe cercato di influenzare i lavori della delegazione DMAG, cioè la delegazione del Parlamento Europeo per i rapporti coi paesi del Maghreb, e di condizionare la lista dei candidati per il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, assegnato ogni anno dal Parlamento Europeo. Sempre secondo la procura, il Marocco avrebbe indirizzato la nomina di alcuni parlamentari europei in alcune commissioni parlamentari.

La DMAG è stata guidata dal 2009 al 2017 da Panzeri, che in più occasioni pubblicamente e privatamente ha manifestato la sua vicinanza al Marocco.

In una comunicazione fra diplomatici marocchini del 2013, la missione del Marocco all’Unione Europea definiva Panzeri «uno stretto amico del Marocco». Dal 2019 fino a pochi giorni fa la delegazione DMAG era guidata da Andrea Cozzolino, un parlamentare europeo del PD molto legato personalmente e professionalmente a Panzeri ma che a quanto si sa al momento non risulta indagato. Le delegazioni non si occupano di legislazioni ma curano i rapporti fra il Parlamento Europeo, e per estensione l’Unione Europea, e alcuni paesi esterni all’Unione: quando Panzeri era presidente della DMAG i rapporti della commissione con le autorità marocchine furono molto stretti, e i viaggi di Panzeri in Marocco assai frequenti.

Il premio Sakharov viene assegnato ogni anno dal Parlamento Europeo e ha un notevole significato simbolico e politico: quest’anno è stato assegnato alla popolazione ucraina, mentre nel 2018 fra i finalisti ci fu Nasser Zefzafi, un noto dissidente politico marocchino attualmente in carcere per la sua opposizione alla monarchia (Zefzafi non vinse il premio finale).

La nomina di alcuni parlamentari europei in certe commissioni potrebbe riferirsi a quella di Cozzolino nella commissione speciale PEGA, che dall’aprile del 2022 indaga sull’uso all’interno dell’Unione Europea di Pegasus, un software dell’azienda israeliana NSO Group che permette di raccogliere email, elenchi di contatti, registrazioni audio e molto altro sul computer di una persona che si vuole spiare. Della commissione fa parte come membro sostituto (che partecipa ai lavori solo in alcune occasioni) anche un’altra parlamentare europea considerata vicina a Panzeri e Cozzolino, la belga Maria Arena. Ne faceva parte anche la greca Eva Kaili, ora sospesa o rimossa dalla maggior parte delle cariche che aveva al Parlamento Europeo fra cui quella di vicepresidente: Kaili era anche la capogruppo del suo gruppo parlamentare, l’S&D, in commissione.

La parlamentare europea Eva Kaili (servizio stampa del Parlamento Europeo)

Il Marocco è coinvolto pesantemente nella vicenda nata intorno a Pegasus: è accusato di avere usato il software per spiare il presidente francese Emmanuel Macron e diversi altri ministri della sua amministrazione, oltre ad alcuni giornalisti francesi. Finora il governo marocchino ha respinto tutte le accuse. Secondo la procura federale belga però voleva piazzare nella commissione PEGA del Parlamento Europeo alcune persone che controllava, di fatto, per influenzarne i lavori.

Secondo Repubblica la procura federale belga sospetta addirittura che i parlamentari membri della commissione PEGA «lavorino al servizio del DGED», cioè l’agenzia di intelligence esterna del Marocco. Non è l’unica volta che membri dell’intelligence marocchina compaiono nelle carte della procura, secondo i giornali che le hanno ottenute.

A metà dicembre il quotidiano belga Le Soir aveva scritto che secondo una ricostruzione di Francesco Giorgi, assistente storico di Panzeri, la rete di corruzione all’interno del Parlamento Europeo per favorire gli interessi del Marocco sarebbe stata messa in piedi dal diplomatico marocchino Abderrahim Atmoun, attuale ambasciatore del paese in Polonia. A sua volta Atmoun avrebbe preso gli ordini da un certo Mohamed B. «Un tipo pericoloso», secondo una fonte anonima di Le Soir vicina all’inchiesta.

Nei giorni successivi diversi giornali europei, fra cui Libération e Politico, avevano pubblicato qualche informazione in più su Mohamed B. Il suo vero nome è Mohamed Belahrech, il suo nome in codice invece è M118, e le agenzie di intelligence europea lo conoscono da anni. Nel 2015 fu accusato dalle autorità spagnole di avere messo in piedi con sua moglie una finta agenzia di viaggi per riciclare denaro, probabilmente per conto dello stato marocchino. Qualche anno dopo riuscì invece a ottenere informazioni sensibili su alcune persone passate per l’aeroporto di Orly, a Parigi, dopo avere corrotto un agente di sicurezza francese. Ai tempi, secondo un funzionario francese sentito da Politico, le autorità francesi decisero di non incriminarlo perché Belahrech stava collaborando con l’intelligence francese su alcune vicende di terrorismo.

Al momento però non è chiaro il ruolo di Belahrech in questa vicenda: non è chiaro per esempio se abbia incontrato di persona Panzeri o altri parlamentari coinvolti, o interagito con loro in un altro modo.

Gli interessi del Marocco con l’Unione Europea toccano comunque diversi punti. Uno dei più delicati riguarda i Sahrawi, l’insieme dei gruppi tribali che reclamano l’indipendenza del Sahara Occidentale, il più grande territorio non autonomo del mondo non riconosciuto dall’ONU e in gran parte occupato militarmente dal Marocco.

In passato l’Unione Europea e in particolare il Parlamento Europeo hanno sostenuto spesso la causa dei Sahrawi, per promuovere la protezione dei diritti umani prevista dai trattati europei anche nei paesi vicini. Nei suoi anni da parlamentare invece Panzeri ha cercato di promuovere una linea più vicina alla monarchia del Marocco, ostile al riconoscimento dell’identità e indipendenza dei Sahrawi.

«Ricordo bene che nelle posizioni del gruppo S&D i Sahrawi non si potevano citare, altrimenti arrivavano subito i filo-marocchini», cioè i parlamentari vicini a Panzeri, ha detto al Post un ex assistente parlamentare del gruppo S&D che ha preferito rimanere anonimo. Di recente una persona che lavora alla Western Sahara Resource Watch, una ong che promuove i diritti dei Sahrawi, ha raccontato a Politico di avere incontrato più volte Panzeri per discutere del Sahara Occidentale: «era come sbattere contro un muro: era molto chiaro che non si sarebbe occupato della questione».

L’8 febbraio 2018 la delegazione parlamentare DMAG si incontrò a Strasburgo, in Francia, per discutere di come aumentare la cooperazione bilaterale fra il Parlamento Europeo e quello marocchino. Uno dei temi della collaborazione riguardava i diritti umani: ma non quelli dei Sahrawi, cioè il principale aspetto legato ai diritti umani che il Marocco è accusato di violare da parte della comunità internazionale. Nel rapporto di sintesi di quella riunione si legge che sui diritti umani «l’accento è stato messo sull’emancipazione dei giovani e delle donne». Alla riunione erano presenti Panzeri, Arena, e Kaili. La delegazione marocchina era guidata da Abderrahim Atmoun, il diplomatico marocchino che secondo la ricostruzione di Giorgi riportata da Le Soir avrebbe messo in piedi la rete di corruzione al Parlamento Europeo.

Pochi mesi dopo Panzeri ospitò nella sottocommissione del Parlamento europeo per i diritti dell’uomo, che in quel momento presiedeva, una presentazione di Driss El Yazami, funzionario del governo marocchino che si occupa di diritti umani, che parlò degli sforzi del Marocco nel migliorare la propria legislazione su questo tema. Panzeri ne diede conto anche sul proprio profilo Twitter.

Non sappiamo ancora, invece, se il Marocco abbia sfruttato questi legami per influenzare anche decisioni molto concrete prese dall’Unione Europea e che toccano i suoi interessi.

A ottobre l’ong Statewatch ha calcolato che dal 2019 a oggi il Marocco ha ricevuto 346 milioni di euro dall’Unione Europea per il controllo delle proprie frontiere esterne, da cui ogni anno passano decine di migliaia di migranti che provano ad entrare nel territorio dell’Unione, soprattutto in Spagna. Sempre secondo Statewatch entro il 2027 dovrebbe ricevere dall’Unione Europea altri 500 milioni di fondi per il controllo delle frontiere.

Ogni anno inoltre l’Unione Europea paga al Marocco decine di milioni di euro perché garantisca l’accesso di alcuni pescatori europei in acque marocchine, molto ricche di pesci. Questa vicenda fra l’altro si intreccia in maniera significativa col riconoscimento dei diritti dei Sahrawi: il Marocco pretende che qualsiasi accordo commerciale comprenda anche il territorio e le acque del Sahara Occidentale. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto più volte l’accordo sulla pesca attualmente in vigore fra Unione Europea e Marocco, perché in sostanza è stato preso senza consultare i rappresentanti dei Sahrawi. L’Unione Europea per ora continua a difendere l’accordo, e i suoi tribunali non hanno ancora emesso una sentenza definitiva al riguardo.