Come verrebbe accolta Meloni in Europa?

Sicuramente meglio di Matteo Salvini, grazie a un lavoro preparatorio che va avanti da qualche anno

di Luca Misculin

(DAINA LE LARDIC/Parlamento Europeo)
(DAINA LE LARDIC/Parlamento Europeo)
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Negli ambienti delle istituzioni europee si sta facendo strada la convinzione che il prossimo governo italiano sarà guidato da una figura molto diversa dal presidente del Consiglio uscente Mario Draghi. Se la coalizione di destra vincerà le elezioni, come sembra quasi certo dai sondaggi, la nuova presidente del Consiglio sarà verosimilmente Giorgia Meloni.

Meloni è una figura molto meno nota e rispettata in Europa rispetto a Draghi, che è stato un veneratissimo presidente della Banca Centrale Europea. Ma da tempo, insieme al suo partito Fratelli d’Italia, sta portando avanti un lavoro preparatorio per essere accolta dagli ambienti europei quantomeno senza una aperta ostilità.

«Meloni ha capito che non può comportarsi come Matteo Salvini o Marine Le Pen», spiega una fonte vicina ai vertici del Partito Popolare Europeo, il principale partito europeo di centrodestra, sottolineando il «percorso» politico di progressiva moderazione compiuto da Meloni negli ultimi due anni, anche in ambito europeo.

Il primo elemento che negli ambienti europei sottolineano in molti, parlando di Meloni, è proprio la distanza che ha preso la sua traiettoria politica da quella di Salvini. Nel suo anno e mezzo da vicepresidente del Consiglio il segretario della Lega non fece nulla per contare di più a livello europeo, conducendo una campagna elettorale esplicitamente euroscettica per le elezioni europee del 2019 e disertando quasi sempre le riunioni dei ministri dell’Interno che si tenevano a Bruxelles.

Dopo le elezioni europee la Lega – il singolo partito con più europarlamentari in questa legislatura – scelse di relegarsi all’irrilevanza formando un gruppo estremamente euroscettico coi francesi del Rassemblement National di Marine Le Pen, giudicato troppo radicale e antieuropeo da tutti gli altri gruppi politici anche solo per poter partecipare alla distribuzione delle cariche istituzionali del Parlamento. Già in quel periodo Meloni fece una scelta molto diversa, nonostante arrivasse da anni di esibito euroscetticismo e posizioni filorusse.

Nel novembre del 2018 Fratelli d’Italia chiese di aderire a ECR, il gruppo parlamentare legato ad ACRE, un partito europeo nato nel 2009 quando i Conservatori britannici si spostarono su posizioni più euroscettiche e decisero di lasciare il Partito Popolare Europeo (PPE). In vista dell’uscita dal Regno Unito dall’Unione Europea, e quindi anche dei parlamentari britannici dal Parlamento Europeo, dentro ACRE erano rimasti soltanto partiti politici dell’Est Europa, fra cui soprattutto il partito di estrema destra polacco Diritto e Giustizia. Per cercare di bilanciare la perdita dei Conservatori britannici ACRE si era quindi messo alla ricerca di nuovi alleati, e aveva avviato i contatti con Fratelli d’Italia.

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La prospettiva di entrare in un nuovo gruppo e di poterne scalare le gerarchie attrasse verso Fratelli d’Italia quattro europarlamentari di Forza Italia delusi dal partito: Raffaele Fitto, Stefano Maullu, Remo Sernagiotto e Innocenzo Leontini. Furono loro i primi quattro esponenti della delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo, nata nel dicembre 2018: alle precedenti elezioni europee del 2014, infatti, il partito non era riuscito a eleggere nessun rappresentante.

Alle elezioni del 2019 invece Fratelli d’Italia riuscì a eleggere cinque europarlamentari iniziando una rapida scalata dentro ACRE, che nel frattempo aveva adottato lo stesso nome del gruppo parlamentare, ECR. Raffaele Fitto divenne co-presidente e capogruppo parlamentare di ECR, e nel 2020 Giorgia Meloni riuscì a farsi eleggere presidente del partito, carica che mantiene tuttora.

Durante la gestione di Fitto e Meloni ECR ha da subito cercato di avvicinarsi al PPE, che attualmente è la forza politica più influente e corposa dentro al Parlamento Europeo; nonché il partito da cui proveniva Fitto, che prima di entrare in Fratelli d’Italia aveva passato una vita dentro Forza Italia, il principale partito italiano che aderisce al PPE. Una parte di ECR votò a favore della nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea e a quella, due anni dopo, di Roberta Metsola a presidente del Parlamento Europeo. Sia Metsola sia Von der Leyen appartengono al PPE. ECR si è inoltre molto avvicinato al PPE su vari temi politici, dall’economia passando per la gestione della pandemia; in cambio il PPE ha difeso e legittimato ECR come un partito affidabile, nonostante su molte posizioni il gruppo continuasse e continui tuttora ad avere posizioni tendenzialmente euroscettiche.

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Il punto di collegamento fra ECR e PPE è Raffaele Fitto, che a sua volta è vicinissimo a Meloni. «Con ECR parliamo attraverso di lui», spiega la fonte del PPE: «coi polacchi non abbiamo molti rapporti». Fitto si è speso molto, nel gennaio del 2022, per fare eleggere un vicepresidente del Parlamento Europeo che appartenesse a ECR, nella redistribuzione di cariche di metà legislatura. Fu grazie alla sua mediazione che ECR trovò un candidato sufficientemente moderato da trovare sostegno nel PPE, il lettone Roberts Zīle, eletto il 18 gennaio del 2022.

«Il dialogo col PPE è importante e abbiamo lavorato per ricostruirlo iniziando un rapporto di collaborazione su molti dossier, come per esempio il Fit for 55: oggi stiamo lavorando con loro perché si possa trovare sempre maggiore sintonia», spiega Fitto: «L’obiettivo è quello di avere una coalizione di centrodestra italiana che abbia coerentemente le sue interlocuzioni a livello europeo».

Raffaele Fitto durante un recente dibattito al Parlamento Europeo (ufficio stampa del Parlamento Europeo)

Le «interlocuzioni» sono state cercate anche sul piano internazionale. In un’intervista del 2021 per il sito di news Formiche il responsabile europeo del principale think tank legato ai Repubblicani statunitensi, Thibault Muzergues, ha detto che il suo istituto «lavora da tempo e bene sia con ECR che col PPE», mentre «con i sovranisti di ID [cioè il gruppo della Lega] c’è un problema sostanziale: alcuni di loro hanno un po’ di allergia alle relazioni transatlantiche e alla democrazia. Così è difficile avere un dialogo».

Anche grazie al lavoro di Fitto, e per via del suo incarico da presidente di ECR, negli ultimi due anni Meloni è riuscita a ottenere incontri con alcuni vertici dell’Unione Europea: da Metsola al primo ministro ceco Petr Fiala, che in questi mesi detiene la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, passando per il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni. Nella sua lunga carriera da europarlamentare, in carica dal 2004 al 2018 con una breve interruzione, Salvini non ha mai partecipato a incontri di questo livello.

Se al Parlamento Europeo e fra partiti europei il dialogo è piuttosto avviato, Meloni troverà più difficoltà al Consiglio Europeo, l’organo che riunisce i capi di stato e di governo dei 27 paesi dell’Unione.

Al momento tutti i leader più influenti all’interno del Consiglio sono avversari politici di Meloni e di ECR: il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez sono socialdemocratici, il presidente francese Emmanuel Macron appartiene alla famiglia dei liberali, e Meloni lo attacca da anni personalmente in comizi e interviste. Appartengono a ECR soltanto Fiala e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki: alleati tutto sommato di poco peso.

Secondo una fonte diplomatica della Stampa, ci si aspetta che Meloni lavori soprattutto per costruire una relazione con Macron. «L’Italia e la Francia hanno grandi convergenze d’interesse, specialmente per quanto riguarda i dossier economici. Per superare le resistenze di Germania e Paesi Bassi, il sostegno di Emmanuel Macron è fondamentale. Davvero Meloni pensa di poter vincere questa partita giocando da sola?».

«Meloni dovrà fare delle scelte», spiega una fonte vicina ai vertici del PPE: «ma non siamo preoccupati: di fronte alla grave situazione che si troverà di fronte saprà moderarsi».

Non tutti la pensano così: secondo Repubblica alcune espressioni usate in questa campagna elettorale – come l’annuncio che per le istituzioni europee «la pacchia è finita», in caso di vittoria della destra in Italia – hanno fatto preoccupare diplomatici nazionali e delle istituzioni europee. La linea ufficiale, per ora, è di prudenza. «Ci aspettiamo una cooperazione attiva e costruttiva», ha detto il commissario europeo al Bilancio Johannes Hahn rispondendo a una domanda sul nuovo governo italiano.