L’atlantismo di Giorgia Meloni è un fatto piuttosto recente

Oggi la leader di Fratelli d'Italia lo esibisce con nonchalance, ma prima criticava la NATO e voleva togliere le sanzioni alla Russia

(Gabriele Moroni/LaPresse)
(Gabriele Moroni/LaPresse)

Nel dibattito fra i leader dei principali partiti italiani tenuto domenica a Cernobbio, in provincia di Como, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha ribadito la necessità che l’Italia continui ad appoggiare le sanzioni europee contro la Russia e che rimanga agganciata all’Unione Europea e all’Occidente, contro i governi «autocratici» della Russia di Vladimir Putin e della Cina di Xi Jinping.

È una posizione che Meloni e Fratelli d’Italia mantengono fin dall’inizio della guerra in Ucraina, ma che in realtà è piuttosto recente. Fino a pochi anni fa Meloni criticava spesso le decisioni di politica estera di Stati Uniti e Unione Europea, ed esprimeva grande fascinazione per Putin e la Russia. Per anni, per esempio, aveva chiesto di rimuovere le sanzioni europee decise contro la Russia dopo l’invasione e l’annessione della Crimea, non riconosciuta dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale. Come del resto faceva in quel periodo tutta l’estrema destra europea.

Alcuni commentatori ritengono che le nuove posizioni atlantiste – cioè diligentemente allineate all’Occidente e alla NATO – ed europeiste siano tenute da Fratelli d’Italia per ragioni di opportunità, cioè quella di mostrarsi moderati e istituzionali e garantirsi così un atteggiamento non ostile dei principali alleati internazionali dell’Italia, fra cui Unione Europea e Stati Uniti. È un dibattito che in questi mesi si è sviluppato soprattutto sui giornali stranieri: prima con un articolo di analisi pubblicato dall’edizione europea di Politico, poi con un articolo ospitato dal New York Times scritto dall’attivista e politologo David Broder.

Fra il 2012, anno della sua fondazione, e almeno fino al 2019, Meloni aveva impostato la linea politica di Fratelli d’Italia sul cosiddetto “sovranismo”: un nazionalismo radicale dal punto di vista dell’economia e della politica estera, scettico nei confronti delle grandi organizzazioni internazionali e delle tradizionali alleanze occidentali, insofferente e a tratti cospirazionista verso alcuni settori della società come la finanza e i media, affascinati da esperimenti autocratici e sprezzanti del diritto internazionale, fra cui soprattutto quello della Russia di Vladimir Putin.

Erano gli anni successivi alla crisi finanziaria ed economica cominciata nel 2008, a cui l’estrema destra europea proponeva di reagire, in estrema sintesi, con ricette estremamente conservatrici. Fratelli d’Italia proponeva di uscire dall’euro, definiva la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea «comitato d’affari e di usurai»,tifava apertamente per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Anche in quegli anni Meloni proponeva un blocco navale per fermare le navi di migranti che arrivavano in Italia, proposta che ha ripreso di recente ma in una forma più temperata.

Sui rapporti con la Russia la linea di Fratelli d’Italia era piuttosto chiara: contro le sanzioni europee «che massacrano il Made in Italy» e contro lo sviluppo di «un clima da guerra fredda», come scrisse per esempio nel 2016 quando la NATO decise di aumentare il proprio contingente militare in Lettonia, ai confini con la Russia.

Sono posizioni che ricordano da vicino quelle di Salvini, che ancora in questi giorni sta chiedendo di rimuovere le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia per via dell’invasione dell’Ucraina. Per molti anni insomma la linea di Fratelli d’Italia aveva poco a che fare con la tradizione tendenzialmente atlantista della destra liberale, ed era invece quasi indistinguibile da quella della Lega, che allora aveva una presenza assai più visibile su giornali, tv e social network.

Non è un caso che sia Meloni sia Salvini fra 2018 e 2019 furono avvicinati da Steve Bannon, ex stratega del presidente statunitense Donald Trump, nel suo maldestro tentativo di creare una coalizione europea di partiti di estrema destra. «Noi che apparteniamo al campo dei sovranisti e degli identitari è giusto che facciamo parte di questa rete», disse Meloni quando ospitò Bannon al raduno annuale di Fratelli d’Italia di Atreju, nel 2018.

(Vincenzo Livieri – LaPresse)

Col tempo Meloni ha poi preso le distanze da Bannon – che nel frattempo è stato anche incriminato per frode e oltraggio al Congresso – ma ha continuato ad approfondire i propri canali con la destra americana più istituzionale, che evidentemente ha ricambiato l’interesse per una leader in ascesa nel quadro politico italiano.

Meloni ha partecipato a tre edizioni del Conservative Political Action Conference, la principale conferenza annuale dell’ala destra dei Repubblicani, e anche alla più trasversale National Prayer Breakfast, nel 2020. I suoi rapporti con l’ambasciatore statunitense in Italia nominato da Trump erano noti. Il sito di news Formiche, molto addentro a quello che si muove nella destra italiana, ha notato che la fondazione di Fratelli d’Italia, FareFuturo, ha organizzato varie iniziative con l’International Republican Institute (Iri), il principale think tank legato ai Repubblicani statunitensi.

In un’intervista del 2021 con Formiche il suo responsabile per l’Europa, Thibault Muzergues, ha spiegato di stimare Meloni e di avere invece qualche perplessità sul partito europeo di cui fa parte la Lega, Identità e Democrazia (ID): «alcuni di loro hanno un po’ di allergia alle relazioni transatlantiche e alla democrazia», ha spiegato, riferendosi probabilmente ai legami espliciti che la Lega e il Rassemblement National, il partito francese di Marine Le Pen, hanno avuto con la Russia fino a qualche mese fa.

Dal 2021 Meloni è anche socia dell’Aspen Institute, un think tank considerato un prezioso strumento di soft power della classe dirigente statunitense. Parallelamente, le sue dichiarazioni sulla Russia e Putin si sono fatte più rare. «La parabola atlantista di FdI è ben presente a chi segue la politica italiana a Washington», sintetizza Formiche.

Nello stesso periodo Meloni ha rafforzato i legami a livello europeo con ambienti e mondi più tradizionalmente conservatori, provando ad allontanarsi dall’estrema destra. Nel 2020 è riuscita a farsi eleggere presidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR), che nel Parlamento Europeo raduna vari partiti nazionali di destra ed estrema destra ritenuti più moderati e meno filorussi della Lega e del Rassemblement National di Marine Le Pen.

Al momento la componente più rilevante all’interno di ECR è quella di Diritto e Giustizia, il partito di estrema destra che domina la politica polacca da diversi anni. Meloni ha anche stretto rapporti personali col controverso primo ministro ungherese Viktor Orbán. Polonia e Ungheria sono considerati paesi semiautoritari, ma i loro principali leader e partiti continuano comunque a godere di una certa considerazione, in ambito europeo, per via del loro storico posizionamento anticomunista un tempo e antirusso e anticinese oggi (la Polonia più dell’Ungheria).

Al contrario di ID, ECR viene ritenuto dagli altri partiti europei sufficientemente europeista per essere ammesso alla spartizione delle cariche istituzionali. A gennaio del 2022 ha eletto un vicepresidente del Parlamento Europeo, il lettone Roberts Zile, e garantito i propri voti per l’elezione della nuova presidente, la maltese Roberta Metsola, che Meloni ha incontrato personalmente e di cui parla spesso molto bene.

(ANSA/UFFICIO STAMPA FDI)

Il nuovo atlantismo di Fratelli d’Italia è culminato negli ultimi mesi col sostegno parlamentare delle iniziative del governo italiano in favore dell’Ucraina, comprese le forniture d’armi, senza esprimere scetticismo come hanno fatto invece Lega e M5S.

Alcuni commentatori ritengono che quello di Meloni sia stato per certi versi un processo di maturazione politica che l’ha portata ad accogliere idee più tradizionalmente moderate e istituzionali, riconoscibili come di destra ma senza sfumature antidemocratiche o antioccidentali.

Secondo altre interpretazioni, invece, quello di Meloni è stato un cinico riposizionamento per accreditare sé stessa e il suo partito come moderati pronti per governare, «potenziando le sue credenziali mainstream», ha scritto Broder sul New York Times. Meloni, che ambisce a diventare presidente del Consiglio o comunque leader del partito più forte della coalizione di governo, sa bene che se in Italia andassero al potere delle forze considerate più o meno a ragione vicine alla Russia potrebbero crearsi un bel po’ di problemi e imbarazzi internazionali con la NATO e l’Unione Europea. «È un’estremista che si traveste da moderata», ha detto a Politico Lia Quartapelle, deputata e responsabile del Partito Democratico per gli Affari esteri.