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  • Lunedì 5 settembre 2022

La strage alle Olimpiadi di Monaco del 1972

50 anni fa l'organizzazione terroristica Settembre Nero uccise 11 atleti israeliani in un attentato seguito in diretta da tutto il mondo

di Stefano Nazzi

Poliziotti tedeschi, vestiti come atleti, si avvicinano alla palazzina della nazionale israeliana, il 5 settembre 1972 a Monaco (AP Photo/File)
Poliziotti tedeschi, vestiti come atleti, si avvicinano alla palazzina della nazionale israeliana, il 5 settembre 1972 a Monaco (AP Photo/File)

Il 5 settembre 1972 a Monaco di Baviera, dove da dieci giorni si stavano svolgendo le ventesime Olimpiadi estive dell’era moderna, otto guerriglieri palestinesi appartenenti all’organizzazione Settembre Nero entrarono nella palazzina del villaggio olimpico che ospitava gli atleti israeliani, in Connollystrasse 31. Erano circa le 4:30 del mattino. I terroristi uccisero subito due israeliani e ne presero in ostaggio nove. Meno di 24 ore dopo, il sequestro si sarebbe concluso con la morte di tutti gli atleti e di un poliziotto tedesco. Morirono anche cinque terroristi palestinesi.

La gestione della vicenda da parte della polizia fu disastrosa. Soltanto pochi giorni fa il governo tedesco ha annunciato di aver raggiunto, dopo lunghe discussioni e polemiche, un accordo per il risarcimento alle famiglie degli undici israeliani che furono uccisi. L’agenzia di stampa tedesca DPA ha scritto che la cifra ammonterebbe complessivamente a 28 milioni di euro (22,5 milioni sarebbero a carico del governo federale, 5 milioni a carico della Baviera e 500mila euro della città di Monaco). L’accordo prevede anche l’istituzione di una commissione di storici tedeschi e israeliani che riesamini i fatti del 1972, e l’ammissione delle responsabilità tedesche nella morte degli 11 atleti.

L’organizzazione armata palestinese Settembre Nero era nata alla fine del 1970 dopo ciò che era accaduto nel settembre di quell’anno in Giordania, quando re Hussein ordinò un’offensiva militare per reprimere varie organizzazioni palestinesi che avevano base e agivano nel paese (a quegli avvenimenti il gruppo italiano degli Area dedicò un suo celebre pezzo). Dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, che Israele aveva vinto contro Egitto, Siria e Giordania occupando la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e la Penisola del Sinai, molti gruppi combattenti palestinesi avevano creato in Giordania, dove si erano rifugiati, una sorta di stato nello stato, obbedendo sempre meno all’autorità. In quel periodo lo stesso Yasser Arafat, all’epoca presidente del gruppo Fatah e in seguito dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, risiedeva prevalentemente a Karameh, villaggio giordano, e da lì guidava la guerriglia contro Israele dei fedayn, i guerriglieri palestinesi. 

Il 21 marzo 1968 Tsahal, il nome con cui viene chiamato l’esercito israeliano, era entrato in territorio giordano attaccando Karameh e catturando 300 membri dell’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina contraria allo stato di Israele. Arafat riuscì a fuggire, e l’intervento dell’esercito giordano provocò la ritirata degli israeliani (ne vennero uccisi 28). L’OLP, che raduna ancora oggi gran parte delle organizzazioni palestinesi, celebrò quella giornata come una grande vittoria e questo contribuì ad aumentare la popolarità e l’influenza dei gruppi palestinesi in Giordania.

All’inizio del settembre del 1970 un altro gruppo palestinese, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di orientamento marxista, dirottò quattro aerei facendoli atterrare a Dawson’s Field, un vecchio campo d’aviazione inglese della Royal Air Force nel deserto della Giordania settentrionale. Gli aerei, dopo la liberazione degli ostaggi, vennero fatti esplodere. Negli stessi giorni, l’FPLP dichiarò Irbid, città della Giordania, “regione liberata” e sotto il controllo dei ribelli palestinesi. Re Hussein reagì dichiarando la legge marziale e ordinò di attaccare i campi dove vivevano i palestinesi. Morirono 5 mila persone. A ottobre di quell’anno Arafat firmò un accordo che restituiva la piena sovranità a re Hussein e che prevedeva inoltre lo smantellamento di tutte le basi militari palestinesi in Giordania. Decine di migliaia di palestinesi dovettero lasciare il paese. Ci furono molte violazioni a quell’accordo e solo nel luglio del 1971 re Hussein dichiarò il “totale ripristino della sovranità”.

L’organizzazione che prese il nome dagli eventi di quel settembre nacque in un primo momento come cellula di Fatah, a cui si unirono poi militanti di altri gruppi. Non è mai stato chiarito del tutto quali furono in seguito i rapporti tra Settembre Nero e Fatah né se Arafat fosse a conoscenza dell’intenzione di Settembre Nero di attaccare la delegazione israeliana alle Olimpiadi. Molte testimonianze propendono però per questa ipotesi. 

Un membro di Settembre Nero al balcone della palazzina dove vennero sequestrati gli atleti israeliani (AP Photo/Kurt Strumpf, File)

In un suo libro Salah Khalaf, ex capo della sicurezza di Arafat, disse che Settembre Nero era di fatto un’unità ausiliaria di Fatah, ma autonoma. E Mohammed Daoud Oudeh, conosciuto come Abu Dawud, ex membro dell’OLP e uno dei leader di Settembre Nero, sostenne in un’intervista: «Non esiste una organizzazione Settembre Nero. Fatah annuncia le sue operazioni con questo nome così che non appaia come esecutore diretto dell’operazione».

L’attacco alle Olimpiadi di Monaco fu pianificato per mesi. Secondo alcune ricostruzioni l’autorizzazione definitiva venne data dopo una riunione che si tenne in piazza della Rotonda a Roma il 15 luglio 1972, a cui partecipò anche lo stesso Abu Dawud. Il pretesto dell’operazione terroristica fu dato dal rifiuto del Cio, Comitato olimpico internazionale, di ammettere alle Olimpiadi la partecipazione della Federazione giovanile sportiva palestinese. Alcune cronache raccontano che Abu Mohammed, uno dei leader di Settembre Nero, disse: «Bene, allora parteciperemo a modo nostro».

In quegli anni il conflitto tra Israele e Palestina coinvolgeva tutto il mondo. Tra il 1968 e il 1972 ci furono, da parte di terroristi palestinesi, numerosi dirottamenti aerei, sia di voli appartenenti alla compagnia israeliana El Al sia di altre compagnie. La serie di dirottamenti iniziò il 23 luglio 1968 quando un Boeing 707, l’El Al 426 in volo da Roma a Tel Aviv, venne dirottato ad Algeri da membri dell’FPLP. Tutti i passeggeri furono rilasciati in cambio della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Le trattative durarono 40 giorni: è stato il dirottamento più lungo nella storia.

Ai dirottamenti e alle azioni dei palestinesi l’esercito israeliano rispondeva con incursioni nei territori in cui era ancora forte la presenza dell’OLP e con azioni dei servizi segreti condotte in tutto il mondo. Poche settimane prima dell’attacco alle Olimpiadi, a Beirut venne ucciso, in un attentato in cui morì anche la nipote sedicenne, Ghassan Kanafani, scrittore palestinese membro dell’FPLP. L’azione del Mossad, il servizio segreto israeliano, fu una ritorsione all’attacco organizzato all’aeroporto di Tel Aviv il 30 maggio di quell’anno, da parte di tre terroristi dell’Armata Rossa Giapponese, alleata dell’FPLP. In quell’occasione furono uccisi 26 passeggeri di varie nazionalità.

In questa situazione di guerra permanente Settembre Nero, che un mese prima dell’attacco a Monaco aveva compiuto un attentato anche in Italia, all’oleodotto di Trieste, decise di agire alle Olimpiadi di Monaco. L’occasione era propizia: l’evento era seguito da milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, le autorità tedesche avevano optato per una sorveglianza discreta, che si dimostrò però del tutto insufficiente.

A garantire la sicurezza erano poliziotti volontari, chiamati Oly, con divise bianche e azzurre e dotati solo di sfollagente. L’ordine era quello di non mostrare armi. La Seconda guerra mondiale era terminata da 26 anni: le Olimpiadi tornavano in Germania dopo quelle organizzate a Berlino, nel 1936, dalla propaganda nazista. Quelle di Monaco avrebbe dovuto essere le Olimpiadi di un paese in pace e in armonia con tutto il mondo.

L’operazione fu denominata da Settembre Nero “Biram e Ikrit”, dal nome di due villaggi palestinesi da cui gli israeliani avevano cacciato gli abitanti nel 1948, anno della nascita dello stato di Israele. 

Il capo dei sequestratori, Issa (Luttif Afif), parla con i mediatori tedeschi (EPA/DPA)

A capo dell’operazione fu posto Luttif Afif, nome di battaglia Issa, nato a Nazareth da madre ebrea e padre cristiano. Issa era laureato in ingegneria a Berlino e aveva lavorato alla progettazione e costruzione del villaggio olimpico. Con lui c’erano Yusuf Nazzal, detto Tony, ex cuoco nel villaggio olimpico, Afif Ahmed Hamid, alias Paolo, Khalid Jawad, nome di battaglia Salah, Ahmad Shiq Taha, alias Abu Halla, Mohammed Safady, alias Badran, Jamal al-Gashey, conosciuto come Denawi, e Adnan al-Gashey, nome di battaglia Samir. Il gruppo era stato addestrato in Siria. Nessuno di loro, a parte Issa, conosceva lo scopo della missione. Si ritrovarono in Germania dopo aver viaggiato a coppie partendo da località diverse.

Poco prima delle 4 di mattina del 5 settembre il gruppo si ritrovò alla stazione centrale di Monaco, quindi entrò nel villaggio olimpico scavalcando la recinzione. I palestinesi incontrarono un gruppo di atleti americani che però non fece caso a loro. Nei giorni precedenti erano stati fatti numerosi sopralluoghi nel villaggio senza che ci fosse alcun controllo. 

Alle 4:30 i palestinesi entrarono nella prima palazzina che ospitava gli atleti israeliani. Un arbitro di lotta greco romana, Yossef Gutfreund, sentì rumore nel corridoio e si lanciò contro la porta bloccandola con il suo peso, ma non resistette a lungo. I terroristi entrarono e presero in ostaggio lui e altri due atleti. 

In una stanza vicina Moshe Weinberg, allenatore di lotta greco romana, prese un coltello da cucina e attaccò Luttif Afif: un altro membro di Settembre Nero sparò un colpo di pistola che ferì una guancia dell’israeliano. Tutti coloro che erano presenti in quell’ala della palazzina furono catturati. Quattro palestinesi costrinsero quindi Weinberg, anche se ferito gravemente, a guidarli nella zona dove si trovavano gli altri atleti.

Vennero tutti catturati ma mentre il gruppo dei nuovi ostaggi veniva condotto dove erano gli altri, uno degli atleti disse: «Non abbiamo nulla da perdere…», e si lanciò contro un terrorista. Nella confusione uno degli israeliani, Gad Tsobari, riuscì a scappare. Weinberg, anche se ferito, colpì con un pugno violentissimo un palestinese e gli prese il fucile ma fu poi colpito e ucciso da un proiettile al petto. Un altro israeliano, Yossef Romano, che camminava con le stampelle per essersi rotto un legamento del ginocchio, cercò di togliere il fucile a un terrorista ma fu ucciso da una raffica di mitra. 

Yossef Romano (Photo by Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Secondo rivelazioni che vennero fatte vent’anni dopo la strage, Romano non morì subito ma venne torturato ed evirato e morì in seguito. Il fatto venne reso noto nel 1992 quando le vedove di due degli atleti uccisi dissero di aver visto documenti e fotografie riservate su ciò che accadde quel giorno, mostrate loro da un funzionario tedesco.

Tsobari, l’atleta fuggito, diede l’allarme. Quasi contemporaneamente un Oly vide sul balcone della palazzina un uomo con il volto coperto e armato di mitra, gli chiese cosa stesse succedendo ma l’uomo non rispose. Poco dopo il corpo di Weinberg fu gettato dal balcone. Alle 5:08 i terroristi lanciarono due fogli di carta dal balcone, raccolti da un poliziotto tedesco. Contenevano le richieste di Settembre Nero: la liberazione di 234 prigionieri detenuti nelle carceri israeliane e quella di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, due leader della Rote Armee Fraktion (RAF), gruppo terrorista tedesco di ispirazione comunista. I terroristi diedero anche un ultimatum: le nove del mattino.

Iniziarono le trattative. Il governo tedesco, guidato dal socialdemocratico Willy Brandt, si dimostrò intenzionato ad aprire un dialogo con i terroristi mentre il governo israeliano, con il premier Golda Meir, si disse inflessibile e si offrì di inviare in Germania un reparto antiterrorismo. I tedeschi rifiutarono.

La bara di David Berger viene caricata su un aereo militare americano per essere trasportata a Cleveland, dove l’atleta israeliano viveva (AP)

Le trattative avvenivano in maniera abbastanza surreale davanti ai fotografi e ai giornalisti che si erano radunati fuori dalle palazzine del villaggio olimpico. La polizia tedesca non fece sgomberare la zona, con la conseguenza che attraverso le immagini trasmesse in diretta dalle televisioni il gruppo armato all’interno sapeva esattamente cosa stava succedendo fuori. Quella mattina le gare olimpiche iniziarono e furono interrotte solo dopo che molte nazioni, tra cui Israele, protestarono. 

La stanza dove venne ucciso uno degli atleti israeliani (AP Photo/str)

A condurre le trattative fu il capo del gruppo, Issa: nelle immagini di quel giorno è riconoscibile perché indossava una giacca chiara, un cappello bianco e aveva il volto cosparso di lucido da scarpe. L’ultimatum venne spostato varie volte mentre le trattative proseguivano. La polizia tedesca pensò di far entrare un commando attraverso i condotti di ventilazione ma le immagini dei poliziotti, vestiti come atleti, furono trasmesse in diretta televisiva: i sequestratori minacciarono di uccidere gli ostaggi e l’operazione venne annullata. Alle 17 Issa fece una nuova richiesta. Chiese di avere un bus per raggiungere due elicotteri con cui arrivare all’aeroporto per poi partire in aereo verso il Cairo. Da lì sarebbero proseguite le trattative.

Brandt contattò il governo egiziano che rifiutò di far atterrare l’aereo sul suo territorio. Ai terroristi palestinesi questo però non fu detto. I negoziatori finsero di accettare la richiesta mentre veniva studiato un piano per intervenire all’aeroporto. 

Alle 22:10 terroristi e ostaggi lasciarono quindi l’edificio del villaggio olimpico e salirono su un minibus che li portò a due elicotteri, che decollarono verso l’aeroporto di Fürstenfeldbruck. Solo in quel momento la polizia tedesca si rese conto che i palestinesi erano otto e non cinque come si pensava fino a quel momento. Questo è il dialogo, registrato, che avvenne tra il capo della polizia di Monaco, Manfred Schreiber, e il suo vice, Georg Wolf, a cui erano affidate le operazioni sul campo:

Schreiber: Che disgrazia che questa cosa si sia saputa solo all’ultimo momento.

Wolf: A cosa ti riferisci?

Schreiber: Al fatto che siano in otto.

Wolf: Cosa? Vuoi dire che ci sono otto arabi?

Schreiber: Cosa? Vuoi dire che lo stai scoprendo solo ora?

Contemporaneamente alcuni poliziotti vennero fatti vestire con divise da piloti della Lufthansa e fatti salire a bordo dell’aereo. Il piano prevedeva che nell’aereo fossero nascoste delle armi con le quali i poliziotti avrebbero ucciso i terroristi liberando gli ostaggi. Una volta a bordo i poliziotti si resero conto che un conflitto a fuoco sull’aereo, già rifornito di benzina per non insospettire i sequestratori, avrebbe comportato il rischio di un’esplosione. Inoltre il loro travestimento era imperfetto, e i terroristi avrebbero potuto smascherarli. Gli agenti a bordo si parlarono e misero ai voti la questione: decisero di scendere dall’aereo e annullare la missione.

Le speranze di successo dell’operazione erano riposte nei cecchini appostati nei pressi della pista. Erano però cinque, dato che i vertici della polizia avevano sottostimato il numero di terroristi. Inoltre non erano dotati di visore a raggi infrarossi, ma avevano normali fucili Heckler & Koch G3. Ci si accorse tardi che un poliziotto si era piazzato sulla linea di tiro degli altri. 

Il volo degli elicotteri durò una ventina di minuti, e atterrarono alle 22:35 all’aeroporto. Gli ostaggi erano legati tra loro con delle corde. I piloti si allontanarono subito, e Issa e Tony (Yusuf Nazzal) andarono a ispezionare l’aereo per poi tornare di corsa agli elicotteri. A quel punto i poliziotti tedeschi aprirono il fuoco: morirono subito due palestinesi, Paolo (Ahmad Hamid) e Abu Halla (Ahmad Shiq Taha). La sparatoria durò circa un’ora: fu colpito un poliziotto, Anton Fliegerbauer, che morì.

Un elicottero che trasportava rinforzi atterrò per errore sull’altro lato dell’aeroporto, a più di un chilometro dalla pista dove era in corso la sparatoria. Una colonna di mezzi corazzati fu rallentata dal traffico, che non era stato bloccato, e addirittura alcuni mezzi sbagliarono e si diressero verso un altro aeroporto. Quando a mezzanotte i mezzi corazzati arrivarono furono subito visti dai terroristi che capirono di non avere vie d’uscita. Issa sparò all’interno di uno degli elicotteri e poi gettò dentro una bomba a mano. Quindi si mise a correre, sparando, assieme a Salah. I due vennero uccisi. 

Gli elicotteri che trasportarono sequestratori e ostaggi all’aeroporto (AP Photo)

Denawi (Jamal al-Gashey) sparò all’interno dell’altro elicottero uccidendo tutti quelli che erano a bordo. Samir (Adnan al-Gashey) e Badran (Mohammed Safady) si finsero morti e vennero catturati. Denawi fu arrestato poco dopo. Tony fu localizzato dai cani poliziotto vicino a un vagone ferroviario e morì dopo un conflitto a fuoco. Quando ancora lo scontro all’aeroporto era in corso venne data la notizia che gli ostaggi erano stati liberati. Fu ripresa da televisioni e giornali in tutto il mondo, che dovettero smentirla poco dopo.

La disastrosa operazione della polizia di Monaco di Baviera si concluse all’1:30 del 6 settembre. Furono uccisi, oltre ai due ostaggi assassinati in precedenza: David Mark Berger, 28 anni, pesista; Ze’ev Friedman, 28 anni, pesista; Yossef Gutfreund, 40 anni, arbitro di lotta greco-romana; Eliezer Halfin, 24 anni, lottatore; Amitzur Shapira, 40 anni, allenatore di atletica leggera; Kehat Shorr, 53 anni, allenatore di tiro a segno; Mark Slavin, 18 anni, lottatore; Andre Spitzer, 27 anni, allenatore di scherma; Yakov Springer, 51 anni, giudice olimpico.

Le Olimpiadi ripresero dopo essere state fermate per un solo giorno. Una cerimonia di commemorazione si svolse allo stadio di Monaco. Parteciparono 80mila persone e tutti gli atleti ancora presenti ai giochi.

Gli atleti israeliani superstiti lasciano Monaco, il 7 settembre (AP)

L’autopsia rivelò che tutti gli ostaggi erano stati colpiti da almeno quattro pallottole. Non venne mai confermata l’indiscrezione secondo cui alcuni proiettili appartenevano ad armi in dotazione alla polizia tedesca.

Settembre Nero venne sciolto dall’OLP nel 1973. Dopo la strage di Monaco Abu Dawud, considerato uno dei mandanti dell’attacco, fu mandato in esilio per pesanti dissidi con Arafat. Nel 1981 sopravvisse a sei colpi di pistola che gli sparò un agente israeliano: è morto a Damasco, in Siria, nel 2010.

Dopo la strage di Monaco Israele organizzò l’operazione denominata Mivtza Za’am Ha’el (Ira di Dio), per colpire tutti coloro che avevano avuto un ruolo decisionale nella strage delle Olimpiadi. La storia è raccontata anche nel film Munich, di Steven Spielberg, tratto dal libro Vendetta di George Jonas. L’operazione fu affidata a un’unità del Mossad chiamata Kidon (baionetta) guidata da Mike Harari. Kidon era composta da tre squadre di dodici elementi ciascuna. Il Mossad diede a Harari una lista di 35 nomi. 

Il 16 ottobre 1972 venne ucciso a Roma Wael Zwaiter, cugino di Arafat e rappresentante dell’OLP in Italia. A Parigi fu ucciso l’8 dicembre Mahmoud Hamshari, rappresentante dell’OLP in Francia e, secondo il Mossad, coinvolto nell’ideazione dell’attacco di Monaco. 

Nei mesi successivi furono uccisi Basil al Kubaisi, responsabile logistico dell’FPLP, Husein Abad al Chik, esponente di Settembre Nero, Zaid Muchassi, capo di Settembre Nero in Grecia, Mohamed Boudia, leader di Settembre Nero in Francia. Durante l’assassinio di Muchassi venne ucciso anche un agente del servizio segreto sovietico KGB che era in quel momento a colloquio con lui. 

Il 10 aprile 1973 l’operazione denominata Spring of Youth venne portata a termine a Beirut. Una squadra di Kidon sbarcò nella capitale libanese di notte, quindi raggiunse il quartiere musulmano. Gli agenti israeliani erano vestiti da turisti occidentali, alcuni anche da donna. Furono uccisi Abu Youssef, terzo comandante in ordine gerarchico di Fatah, Kamal Adwan, responsabile per Fatah delle azioni di sabotaggio nei territori occupati e considerato responsabile di diversi attacchi contro israeliani nel mondo, e Kamal Nasser, portavoce ufficiale dell’OLP. Nel settembre del 1973 fu ucciso a Parigi Mohamed Boudia, algerino, direttore delle operazioni di Settembre Nero in Europa. 

L’operazione Ira di Dio durò fino al 1979, quando furono uccisi Abdel Hamid Shibi e Abdel Hadi Naka, entrambi membri di Settembre Nero. 

I tre militanti di Settembre Nero sopravvissuti e arrestati dalla polizia tedesca furono liberati alcune settimane dopo, quando il loro rilascio fu chiesto da un gruppo di dirottatori di un aereo della Lufthansa. Si pensa che due di loro, Adnan al-Gashey e Mohammed Safady, siano stati uccisi durante l’operazione Ira di Dio. Jamal al-Gashey si rifugiò in Nord Africa e potrebbe essere ancora vivo.

L’obiettivo forse più importante dell’operazione Ira di Dio era Ali Hassan Salameh, soprannominato Principe rosso, comandante di Forza 17, la guardia personale di Arafat e considerato vero ispiratore dell’attentato di Monaco. Un gruppo del Kidon credette di averlo individuato nell’estate del 1973 a Lillehammer, in Norvegia. Fu però un clamoroso errore di persona. Gli agenti israeliani uccisero un cameriere marocchino, del tutto estraneo al terrorismo palestinese: Ahmed Bouchiki. I sei membri del gruppo israeliano vennero arrestati, processati in Norvegia e condannati a cinque anni di carcere. Furono però tutti rilasciati subito dopo la condanna. Salameh fu ucciso da un’autobomba a Beirut il 22 gennaio 1979.

L’auto di Salameh dopo l’attentato in cui rimase ucciso, a Beirut (AP-PHOTO/As Safir)