• Mondo
  • Lunedì 30 maggio 2022

La liberazione di Fusako Shigenobu

Aveva fondato l'Armata rossa giapponese, responsabile di molti attentati nel mondo tra gli anni Settanta e Ottanta, anche in Italia

Fusako Shigenobu (a sinistra) all'uscita dal carcere (Kyodo News via AP)
Fusako Shigenobu (a sinistra) all'uscita dal carcere (Kyodo News via AP)
Caricamento player

Dopo venti anni di carcere è stata liberata in Giappone Fusako Shigenobu, 76enne leader e fondatrice dell’Armata rossa giapponese, gruppo terroristico di estrema sinistra che negli anni Settanta causò molti morti, soprattutto fuori dal proprio paese. All’Armata rossa giapponese e a Shigenobu fu attribuita anche l’esplosione di un’autobomba in un circolo ricreativo frequentato dai marinai statunitensi di stanza a Napoli, nel 1988. Morirono quattro civili italiani e una militare portoricana, e ci furono 15 feriti.

Shigenobu nacque e crebbe a Tokyo, figlia di un ufficiale dell’esercito giapponese, e si formò politicamente nei movimenti studenteschi marxisti che animarono le proteste giovanili a Tokyo e in altre città universitarie alla fine degli anni Sessanta, contro il conservatorismo delle istituzioni scolastiche. Da oltre un decennio i movimenti di estrema sinistra avevano raccolto estese adesioni tra gli universitari giapponesi, anche grazie a un’iniziale tolleranza delle forze americane che avevano occupato il paese dopo la Seconda guerra mondiale.

Ma se l’obiettivo principale dei gruppi rivoluzionari giapponesi era rovesciare la monarchia per instaurare uno stato comunista attraverso la lotta armata, l’Armata rossa giapponese nacque con uno spirito anti imperialista e solidale con le lotte di liberazione internazionali, prima fra tutte quella palestinese. Shigenobu lo fondò all’inizio degli anni Settanta quando si trasferì in Medio Oriente, separandosi dal gruppo rivoluzionario di cui faceva parte per dissensi politici.

Uno degli attentati più noti dell’Armata rossa giapponese, in realtà compiuto dall’organizzazione che la precedette, fu il dirottamento di un volo della Japan Airlines, il 31 marzo 1970. I componenti del gruppo agirono senza armi da fuoco ma con katane, le spade giapponesi, in un’azione teatrale che valse loro il soprannome «samurai rossi». Il dirottamento si concluse senza vittime, e alla fine i terroristi riuscirono ad atterrare in Corea del Nord, dovendo rinunciare per motivi di carburante alla prima meta scelta, Cuba.

Il 30 maggio 1972 tre membri del gruppo, che aveva una forte alleanza con il Fronte popolare di liberazione della Palestina fondato da George Habash, spararono nell’aeroporto di Lod, a Tel Aviv, in Israele, uccidendo 26 persone e ferendone 80. Riuscirono a superare i controlli nonostante il Mossad, il servizio segreto israeliano, fosse a conoscenza di un possibile attacco, semplicemente perché nessuno si aspettava che a compierlo sarebbero stati dei giapponesi. Uno dei tre membri del gruppo, per non farsi catturare, si fece esplodere con una cintura esplosiva anticipando un modus operandi che sarebbe stato poi quello di molti terroristi jihadisti.

Il 31 gennaio 1974 l’Armata rossa giapponese fece irruzione in uno stabilimento della Shell a Singapore, sabotandolo. Il 13 settembre dello stesso anno fu assaltata l’ambasciata francese all’Aia, nei Paesi Bassi. Un ostaggio venne assassinato e, dopo cinque giorni di trattative, i terroristi ottennero la liberazione, in Giappone, di un militante del gruppo. Ebbero anche 600mila dollari in contanti e un aereo per fuggire dall’Europa e arrivare in Siria.

Tutte queste azioni erano coordinate da Fusako Shigenobu, che partecipò in prima persona all’assalto al grattacielo dell’Aia Group di Kuala Lumpur in Malesia, il 5 agosto 1975, dove i terroristi giapponesi presero numerosi ostaggi rilasciandoli poi in cambio di cinque loro compagni in Giappone. Il gruppo fuggì poi in Libia.

Nel 1976, l’11 agosto, un gruppo composto dall’Armata rossa giapponese e da militanti del Fronte popolare di liberazione della Palestina uccise quattro persone all’aeroporto Atatürk di Istanbul. Un anno dopo, il 28 settembre 1977, il gruppo terrorista dirottò un altro aereo della Japan Airlines: i dirottatori ottennero la liberazione di cinque loro commilitoni e la cifra, mai confermata, di sei milioni di dollari.

Il dirottamento di un altro aereo ancora, questa volta della Malaysia Airlines, fu tentato il 4 dicembre 1977. Per ragioni che non furono mai rivelate, l’aereo precipitò: morirono 100 persone tra passeggeri, terroristi e membri dell’equipaggio. Tra il 1986 e il 1988 l’Armata rossa giapponese compì una serie di attentati con razzi rudimentali contro varie ambasciate occidentali. A Roma, nel 1987, furono colpite l’ambasciata britannica e quella statunitense.

Il 12 aprile 1988 un membro dell’Armata rossa giapponese fu arrestato in New Jersey a bordo di un’auto piena di esplosivo. Avrebbe dovuto farla esplodere a Manhattan tre giorni dopo, nel secondo anniversario dell’operazione El Dorado Canyon, nome in codice del bombardamento effettuato dagli americani sulle città libiche di Tripoli e Bengasi. L’ultima sanguinosa azione del gruppo giapponese fu quella di Napoli nel 1988.

Da quel momento i membri del gruppo iniziarono a disperdersi, e molti furono arrestati. Yukido Ekida, una vice di Shigenobu, fuggì in Romania, paese dal quale venne estradata in Giappone nel 1995. Fu condannata a vent’anni di carcere. Moriaki Wakabayashi, altro leader del gruppo, vive probabilmente in Corea del Nord mentre Kozo Okamoto, sopravvissuto al massacro dell’aeroporto di Lod, vive in Libano dove gli è stato concesso asilo politico. Altri militanti sono stati avvistati nelle Filippine e in Perù. Junzo Okudaira, ritenuto responsabile dell’attacco alle ambasciate a Roma e di quello a Napoli, è da sempre latitante.

Fusako Shigenobu fu arrestata a Osaka nel 2000. Era rientrata in Giappone con un passaporto falso dopo aver vissuto probabilmente a lungo in Libia. Nel 2001 decretò lo scioglimento ufficiale dell’Armata rossa giapponese. Cinque anni dopo, nel 2006, fu condannata a vent’anni di carcere al termine di un processo tra i più lunghi della storia del Giappone. Avrebbe dovuto tornare libera nel 2026 ma la sua scarcerazione è stata anticipata. All’uscita dal carcere ha detto: «Mi scuso per i problemi che abbiamo causato a molta gente. È passato mezzo secolo, ma nella nostra battaglia abbiamo arrecato danni a persone innocenti, per esempio prendendole in ostaggio».