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  • Mercoledì 6 aprile 2022

Tutti gli enti locali sciolti per mafia

Tra il 1991 e il 2021 sono stati 276, in buona parte amministrazioni comunali: la regione con più provvedimenti è la Calabria

(LaPresse/Marco Cantile)
(LaPresse/Marco Cantile)

In 30 anni, dal 1991, quando entrò in vigore il decreto-legge 164 “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”, fino al 2021, in Italia sono stati emessi 365 decreti di scioglimento, in pratica uno al mese. Nel complesso le amministrazioni locali sciolte per infiltrazioni della criminalità organizzata almeno una volta in 30 anni sono state 276, perché 71 enti locali sono stati colpiti da più di un decreto di scioglimento. Si parla prevalentemente di amministrazioni comunali ma ci sono anche sei aziende ospedaliere. I dati sono stati pubblicati dall’associazione Avviso Pubblico nel dossier Le mani sulle città.

Tra i comuni sciolti in questi anni ci sono anche due capoluoghi di provincia, Reggio Calabria, sciolto nel 2012, e Foggia, nel 2021. L’anno scorso gli scioglimenti erano stati 14: quattro in Calabria (Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Crichi e Rosarno), quattro in Puglia (Foggia, Squinzano, Carovigno e Ostuni), quattro in Sicilia (Barrafranca, San Giuseppe Jato, Bolognetta e Calatabiano) e due in Campania (Marano di Napoli e Villaricca). Nel 2022 sono stati finora decisi due scioglimenti: Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, e Trinitapoli, in provincia di Barletta-Andria-Trani.

Lo scioglimento di un consiglio comunale comporta la cessazione di tutte le cariche elettive: sindaco e consiglieri comunali, sia di maggioranza sia di minoranza. Inoltre prevede la risoluzione di tutti gli incarichi assegnati a consulenti e a dirigenti. Contro il decreto di scioglimento si può presentare ricorso, prima al Tar poi al Consiglio di Stato: i giudici amministrativi analizzano il ricorso e decidono quindi della legittimità del decreto di scioglimento.

Il decreto-legge 164 del 1991 ha subìto alcune modifiche in fase di conversione in legge, ed è poi stato abrogato nel 2000 in quanto incluso nel TUEL, Testo Unico degli Enti Locali. Perché un ente locale venga sciolto devono esserci «elementi concreti univoci e rilevanti sui collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali» oppure «forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali». Perché si arrivi allo scioglimento è sufficiente che emerga un possibile legame, e quindi una soggezione, degli amministratori locali con la criminalità organizzata. In pratica, non è necessario che siano stati commessi reati penalmente perseguibili.

Quando c’è il sospetto di infiltrazione dittico mafioso le indagini sono affidate a una commissione nominata dal prefetto competente per territorio. Quindi il dossier viene inviato al ministro dell’Interno, che propone lo scioglimento al presidente della Repubblica che ne decide l’attuazione con un decreto. Il prefetto nomina poi una commissione straordinaria composta da tre persone: due solitamente vengono dalla carriera interna alle prefetture e uno è un dirigente amministrativo. La commissione può gestire il comune per un periodo iniziale di 12 o 18 mesi, prorogabile fino a 24.

Un esempio concreto delle motivazioni che portano a uno scioglimento viene dalle vicende che hanno coinvolto il comune di Marano, in provincia di Napoli, sciolto, unico in Italia, per quattro volte, nel 1991, nel 2004 (provvedimento poi annullato), nel 2016 e nel 2021. Ci sono stati 52 comuni sciolti due volte e 18 sciolti tre volte.

Marano è un comune di quasi 58mila abitanti della città metropolitana di Napoli. Un tempo dominato a livello criminale dal potente clan dei Nuvoletta, oggi è territorio di un altro clan molto forte, i Polverino, attivo anche in Spagna, a Barcellona, Malaga e Alicante. Nella relazione del prefetto di Napoli, Marco Valentini, che ha portato allo scioglimento del 2021, è scritto che «il mancato potere di indirizzo e di controllo da parte degli amministratori locali ha lasciato aperte le possibilità ai sodalizi mafiosi locali di operare e trarre profitto». La commissione istituita dal prefetto ha scoperto che ben 12 consiglieri comunali, di cui cinque della maggioranza che governa il comune, hanno rapporti di parentela o di frequentazione con appartenenti a clan criminali.

Il prefetto ha adottato a Marano ben 32 interdittive antimafia, cioè provvedimenti amministrativi che bloccano i rapporti di determinate società con la pubblica amministrazione. Undici permessi di costruire, rilasciati dal comune, sono «gravati da profili di illegittimità, a favore di soggetti collegati, direttamente o indirettamente, alla criminalità organizzata». La relazione della commissione ha messo in evidenza casi specifici di abusi edilizi e costruzioni abusive in aree comunali avvenuti da parte di esponenti dei clan locali senza che l’amministrazione locale li impedisse o contrastasse.

L’elenco continua: otto appalti pubblici sono stati affidati a società di proprietà di imprenditori collusi con la criminalità. In particolare, si parla di appalti correlati all’urbanistica, al servizio idrico, all’igiene urbana. Così si concludeva la relazione della commissione voluta dal prefetto:

«L’amministrazione, a far data dal novembre 2018, si è caratterizzata, così come la precedente amministrazione destinataria dello scioglimento, non solo per non aver posto argini ai tentativi di infiltrazione criminale, ma per aver tenuto un modus operandi, costante nel tempo e ad ampio raggio d’azione, improntato a condotte dilatorie che sono apparse tali da determinare le condizioni per avvantaggiare soggetti notoriamente legati con i clan».

Se Marano ha il record come numero di scioglimenti, la regione che ormai da 15 anni ha il primato è la Calabria. In totale in Calabria gli scioglimenti sono stati 127, in Campania 113, in Sicilia 89 e in Puglia 23. Tredici gli scioglimenti nelle altre regioni. Le regioni mai coinvolte da scioglimenti di enti locali sono Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria e Veneto.

Enzo Ciconte, tra i massimi esperti in Italia di associazioni mafiose e docente di Storia della criminalità organizzata, dice che il primato della Calabria nel numero di comuni sciolti per mafia negli ultimi 30 anni è dovuto principalmente al fatto che, dai primi anni Novanta, lo stato ha condotto una lotta costante e potente contro la mafia siciliana sottovalutando allo stesso tempo quella che era la criminalità emergente, e cioè la ‘ndrangheta calabrese, che ha avuto modo di infiltrarsi in molte amministrazioni locali. «Inoltre», dice Ciconte, «è la stessa struttura della ‘ndrangheta, basata su clan familiari, a favorire l’infiltrazione. È molto facile, in tanti comuni calabresi, trovare nelle amministrazioni parenti di persone che appartengono a gruppi criminali».

Per quanto riguarda le maggioranze politiche, il 57,1 per cento dei comuni sciolti per mafia era governato da giunte espressione di liste civiche, il 28,6 per cento di centrosinistra e il 14,3 per cento di centrodestra. I settori nei quali è stata rivelata una maggiore ingerenza mafiosa sono quello dell’edilizia e dell’urbanistica, dei tributi locali e dell’abusivismo edilizio.

Il fenomeno dell’infiltrazione delle organizzazioni criminali da parte della criminalità organizzata non ha mai subìto un rallentamento significativo negli ultimi 30 anni.

Secondo l’associazione Avviso Pubblico, che ha realizzato il dossier, le criticità della legge attuale sono numerose. Innanzitutto, ha spiegato Vittorio Mete, docente di Sociologia all’università di Torino, la legge «ha una natura preventiva molto bassa, perché alla lunga gli scioglimenti godono di un deficit di popolarità e di consenso».

Il basso livello di consenso che si registra attorno allo scioglimento dei comuni, dice al Post Enzo Ciconte, «è anche dovuto al fatto che i commissari straordinari che vengono inviati a gestire il comune colpito da scioglimento spesso sono inadeguati. Si fermano 18 o 24 mesi, per operare una sorta di risanamento tagliano tutto il tagliabile, indiscriminatamente, e poi se ne vanno senza che il problema all’origine dell’infiltrazione mafiosa sia stato risolto». Secondo Ciconte ci sono poi troppi scioglimenti arbitrari legati spesso al momento politico.

Una delle proposte di Avviso Pubblico è di rendere più trasparente l’iter che porta al decreto di scioglimento con la pubblicazione integrale dei documenti che hanno portato alla decisione. Bisognerebbe poi, sempre secondo i relatori del dossier, che venga dato risalto alle misure di risanamento adottate dalla commissione straordinaria in modo «da chiarire ai cittadini le tappe del processo di ripristino della legalità». E poi costituire un apposito nucleo di funzionari con specifiche competenze e qualifiche professionali tra cui scegliere i commissari prefettizi.

«C’è poi un altro punto importante», dice Ciconte. «Con lo scioglimento la responsabilità giudiziaria e politica cade su tutti gli amministratori in carica, a prescindere dal ruolo che hanno avuto nelle cause che hanno portato alla misura. In pratica, se è una giunta ad avere connivenze con la criminalità organizzata a farne le spese sono anche i consiglieri di opposizione che magari non c’entrano nulla. Lo stigma dello scioglimento per mafia pesa anche sui consiglieri di minoranza e addirittura in opposizione al sindaco responsabile. E questo mi sembra sbagliato».