Come potrebbe essere la riforma del CSM
La ministra Cartabia proporrà un nuovo sistema di elezione dei componenti nel tentativo di togliere potere alle “correnti”
Venerdì la ministra della Giustizia Marta Cartabia porterà in Consiglio dei ministri la proposta di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di autogoverno della magistratura. La riforma del CSM è uno dei tre punti principali di una più ampia riforma della giustizia, che ha portato già a modifiche del processo penale e civile, e che l’Italia si è impegnata ad approvare per poter ottenere dall’Unione Europea i finanziamenti del Recovery Fund.
Alla base della riforma ci sono due temi fondamentali, la modifica del sistema elettorale con cui vengono scelti i componenti del CSM e la possibilità o meno per i magistrati che decidono di entrare in politica di riprendere le proprie funzioni una volta terminati i propri incarichi o nel caso in cui non vengano eletti. Il principale obiettivo della riforma è togliere peso alle “correnti” politiche all’interno del CSM, soprattutto a causa di alcuni grossi scandali che hanno coinvolto la magistratura italiana negli ultimi anni.
La proposta conterrà gli emendamenti apportati al testo presentato inizialmente lo scorso giugno ai capigruppo dei partiti alla Commissione Giustizia della Camera, e modificato in seguito alle richieste delle varie forze della maggioranza. Il testo che verrà approvato dal Consiglio dei ministri sarà poi esaminato di nuovo dalla Commissione Giustizia e a quel punto potrà iniziare la discussione in Parlamento per la sua approvazione. Il testo della riforma emendato sarebbe dovuto arrivare in Consiglio dei ministri già prima della fine del 2021, ma le discussioni interne alla maggioranza sull’elezione del nuovo presidente della Repubblica e sulle misure per contrastare l’aumento dei contagi da coronavirus avevano rallentato i lavori del governo.
Soprattutto per il primo tema, quello del sistema elettorale, i tempi sono particolarmente stretti, visto che a luglio ci dovranno essere le elezioni per i nuovi componenti del CSM. La riforma dovrebbe essere quindi approvata sia dalla Camera che dal Senato entro maggio, in modo che le elezioni possano essere indette con il nuovo sistema elettorale. In caso contrario si terranno con il vecchio sistema.
Il CSM è composto da 27 membri, di cui 3 che vi partecipano per diritto (il presidente della Repubblica, che lo presiede, e il primo presidente e il procuratore generale della della Corte di Cassazione). Degli altri 24 componenti, 16 sono eletti dai magistrati stessi che li scelgono tra tutti i magistrati italiani (sono i cosiddetti membri “togati”), e gli altri 8 sono eletti dal Parlamento in seduta comune, scelti tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati (i cosiddetti membri “laici”). L’elezione dei membri togati è da tempo fonte di discussioni e critiche perché avviene di fatto come un’elezione politica.
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La magistratura è infatti del tutto autonoma dagli altri poteri dello Stato ed è divisa in “correnti” che funzionano in modo non molto diverso dai partiti politici: alcune sono più centriste, altre più vicine alla sinistra oppure alla destra. Queste fazioni si contendono la guida del sindacato dei magistrati, l’ANM, e di conseguenza anche le cariche elettive all’interno del CSM, dove decidono procedimenti disciplinari e promozioni alleandosi e scontrandosi tra loro. Tra i compiti più importanti del CSM ci sono infatti le nomine e i trasferimenti: per esempio da mesi una delle questioni più importanti e discusse di cui si sta occupando l’organo sono le nomine alla procura di Milano, dopo il pensionamento di Francesco Greco.
Del peso delle “correnti” e degli stretti rapporti che queste hanno spesso con i partiti politici si sa da sempre, ma il problema era diventato particolarmente rilevante a partire da due anni fa per via dell’indagine su Luca Palamara, l’ex consigliere del CSM accusato di corruzione e poi fonte di una lunga serie di rivelazioni che avevano provocato vari scandali nel mondo della magistratura. Era stato proprio in quell’occasione che partiti e magistrati stessi avevano iniziato a chiedere che il sistema elettorale del CSM venisse modificato per attenuare il peso delle “correnti” al suo interno.
Attualmente il sistema elettorale del CSM prevede che i 16 membri togati siano candidati in 3 distinti collegi nazionali: uno per i magistrati di legittimità (cioè i giudici della Corte di Cassazione), uno per i pubblici ministeri e uno per i magistrati di merito (cioè i giudici di tribunali di primo grado e corti di appello). Il sistema elettorale è maggioritario puro con una lista unica nazionale per ciascuna delle tre categorie, quindi risultano eletti i magistrati che in ogni lista ottengono il maggior numero di voti.
Un difetto di questo sistema aveva fatto sì che in ogni collegio si candidassero pochissimi magistrati, ovvero quelli indicati dalle correnti e che avevano la certezza di essere eletti. Il sistema elettorale era stato accusato da molte parti di favorire clientelismi, lottizzazioni delle cariche, avanzamenti di carriera legati all’appartenenza politica, e in generale di compromettere la neutralità e l’efficienza del CSM, paragonato dai critici a un «mini parlamento, al cui interno albergano le divisioni per gruppi, le faziosità, le lotte fratricide, l’accaparramento di voti per interessi di parte, il mercato delle nomine e dei favori», come ha scritto Andrea Reale sul Riformista.
La proposta fatta dalla ministra Cartabia ai partiti non è ancora stata resa pubblica, ma nelle ultime settimane i giornali ne hanno pubblicato alcune anticipazioni: non essendoci ancora nulla di ufficiale queste informazioni vanno comunque prese con una certa prudenza, dato che potrebbero esserci delle modifiche nei prossimi giorni.
La riforma prevederebbe un sistema maggioritario binominale, con un numero maggiore di collegi più piccoli e con preferenza unica (ci sarebbero due eletti per ogni collegio), ma senza nessuna lista. I posti verrebbero aumentati da 16 a 20 (e da 8 a 10 per i “laici”), e i quattro in più verrebbero assegnati ai migliori terzi classificati dei vari collegi.
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Nella maggioranza di governo soprattutto il centrodestra aveva chiesto che venisse introdotto invece un sorteggio, che avrebbe dovuto eliminare ogni possibilità di politicizzazione delle elezioni. Questa possibilità era stata però da subito scartata dalla Commissione Giustizia della Camera che l’aveva giudicata contraria ai principi della Costituzione.
Per quanto riguarda invece il tema dei magistrati che scelgono di entrare in politica, non è ancora chiaro cosa prevederà la riforma Cartabia. In base alle anticipazioni dei giornali, dovrebbe mantenere l’impianto del disegno di legge dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, su cui a giugno si era basata la discussione in Commissione Giustizia alla Camera, ma con una modifica.
Il disegno di legge prevedeva che i magistrati candidati a un’elezione politica, che venissero eletti o meno, non potessero più tornare a svolgere alcun ruolo in magistratura. La riforma Cartabia dovrebbe invece permettere ai magistrati di rientrare a svolgere le proprie funzioni giuridiche solo dopo un determinato periodo di tempo (alcuni giornali scrivono cinque anni, ma non è certo), in cui potrebbero svolgere solo ruoli amministrativi, e non giudicanti. Sembra però che debba ancora essere risolta la questione di quali limitazioni applicare ai magistrati che non si candidano in politica, ma a cui vengono conferiti incarichi politici a chiamata diretta, “tecnici” che possono lavorare nei ministeri, negli enti locali o in altre istituzioni pubbliche.
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