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  • Lunedì 12 ottobre 2020

La tregua nel Nagorno-Karabakh è durata poco

Sabato Armenia e Azerbaijan si erano accordati, con la mediazione della Russia, per un cessate il fuoco che consentisse lo scambio di prigionieri e di feriti, ma gli scontri sono ripresi quasi subito

Soccorritori al lavoro fra le macerie di una casa bombardata dall'artiglieria armena, durante i combattimenti per la regione separatista del Nagorno-Karabakh, a Ganja, in Azerbaijan, domenica 11 ottobre 2020 (AP Photo / Aziz Karimov)
Soccorritori al lavoro fra le macerie di una casa bombardata dall'artiglieria armena, durante i combattimenti per la regione separatista del Nagorno-Karabakh, a Ganja, in Azerbaijan, domenica 11 ottobre 2020 (AP Photo / Aziz Karimov)

La tregua concordata sabato fra Armenia e Azerbaijan negli scontri per il Nagorno-Karabakh, un territorio separatista collocato in Azerbaijan, ma controllato dall’Armenia, non è durata. La tregua era stata annunciata dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov dopo 10 ore di trattative e aveva lo scopo di fermare i combattimenti, che vanno avanti da fine settembre, per permettere ai due paesi in conflitto di scambiarsi prigionieri e feriti, con la mediazione della Croce Rossa. Ma già nelle ore successive alla firma dell’accordo, Armenia e Azerbaijan si erano accusati reciprocamente di aver commesso crimini contro i civili e domenica l’Azerbaijan, a sole ventiquattro dall’inizio del cessate il fuoco, ha ammesso di aver effettuato degli attacchi aerei.

L’Azerbaijan ha detto di aver bombardato un reggimento armeno e di aver causato pesanti perdite, anche se le agenzie di stampa internazionali non sono riuscite a confermare l’informazione. Un portavoce del governo separatista del Nagorno-Karabakh ha detto a Reuters di non avere notizie dell’attacco. Domenica l’Azerbaijan aveva accusato l’Armenia di aver bombardato una zona residenziale di Ganja, la seconda città più grande del paese, colpendo un condominio. Nell’attacco sarebbero morte nove persone e 34 sarebbero state ferite. Anche in questo caso, per quanto riguarda il numero delle vittime, si tratta di informazioni che arrivano da fonti governative, difficili da verificare per la stampa internazionale. Lo scorso 4 ottobre le forze separatiste del Nagorno-Karabakh avevano detto di aver colpito l’aeroporto militare di Ganja dopo che le forze azere avevano bombardato la capitale della regione, Stepanakert.

Al Jazeera scrive che secondo il governo dell’Azerbaijan dall’inizio degli scontri sarebbero morti più di 40 civili e 200 sarebbero stati feriti. L’Azerbaijan ha inoltre accusato l’Armenia di aver tentato di colpire, senza successo, una centrale idroelettrica azera a Mingachevir. L’Armenia ha però negato di aver effettuato l’attacco. Arayik Harutyunyan, il presidente dall’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh, ha accusato a sua volta l’Azerbaijan di aver tentato senza successo di prendere il controllo, durante la tregua, della città di Hadrut, nel sud del Nagorno-Karabakh e di non aver avviato, come da accordi, lo scambio dei prigionieri che avrebbe dovuto cominciare domenica.

– Leggi anche: Il problema del Nagorno-Karabakh

I timori della comunità internazionale sul conflitto del Nagorno-Karabakh è che si possa allargare ai due storici alleati dei paesi in conflitto: la Turchia, alleata dell’Azerbaijan, e la Russia, alleata dell’Armenia. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva chiesto domenica in una telefonata al suo omologo russo, Sergey Lavrov, di fare pressioni sull’Armenia affinché la tregua fosse rispettata, evidentemente senza successo. Da quando è ripreso il conflitto, il 27 settembre, i morti di entrambi gli schieramenti sarebbero più di 300.

Il Nagorno-Karabakh è un territorio di circa 11 mila chilometri quadrati che si trova all’interno dell’Azerbaijan ma la cui popolazione è a maggioranza armena e cristiana (la religione più comune in Azerbaijan è l’islam sciita). Nel 1988 dichiarò la sua indipendenza, sostenuto dall’Armenia: seguirono anni di scontri etnici molto violenti, fino alla guerra tra Armenia e Azerbaijan, che cominciò nel 1992, finì nel 1994 e provocò almeno 30 mila morti. Decine di migliaia di persone, inoltre, furono cacciate dalle loro case o costrette a emigrare. Oggi il Nagorno-Karabakh si dichiara stato indipendente ma non è riconosciuto da nessun paese al mondo, nemmeno dall’Armenia. Nella pratica, la regione è controllata dall’Armenia, anche se per la comunità internazionale farebbe ancora parte dell’Azerbaijan.

Il ruolo più importante nella pacificazione è toccato fin qui alla Russia. Armenia e Azerbaijan sono entrambi paesi ex sovietici, e la Russia è uno dei principali partner commerciali di entrambi e vende loro armi. È anche la forza principale dentro al Gruppo di Minsk, cioè quel gruppo di tre paesi (oltre alla Russia anche Stati Uniti e Francia) che nel 1994 negoziò il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaijan e che da allora cerca, faticosamente e senza successo, di arrivare a un accordo di pace. Negli ultimi due decenni, è sempre stata la Russia a convincere i due paesi a un cessate il fuoco quando riprendevano gli scontri.