Facebook potrebbe bloccare la condivisione di notizie in Australia

Lo ha minacciato come risposta al disegno di legge che prevede che le piattaforme tecnologiche paghino gli editori per i loro contenuti

(AP /Richard Drew, File)
(AP /Richard Drew, File)

Facebook ha annunciato che potrebbe bloccare la condivisione di notizie locali e internazionali in Australia, se verrà approvato il disegno di legge che prevede che le piattaforme tecnologiche paghino gli editori per i loro contenuti. Lunedì 31 agosto, in un post sul sito dell’azienda, Will Easton, amministratore delegato di Facebook per l’Australia e la Nuova Zelanda, ha scritto che «l’Australia sta elaborando un nuovo regolamento che distorce le dinamiche di Internet e danneggerà proprio gli editori che il governo sta cercando di proteggere».

Lo scorso aprile il ministro del Tesoro australiano Josh Frydenberg aveva annunciato che il governo aveva ordinato all’ente che si occupa della vigilanza sulla concorrenza del paese – l’ACCC, Australian Competition & Consumer Commission– di produrre entro luglio un codice di condotta che obbligasse le piattaforme come Google e Facebook a pagare gli editori per i contenuti che prendono dai siti di notizie. «È semplicemente una cosa giusta che chi genera contenuti venga pagato», aveva detto Frydenberg.

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L’ACCC aveva previsto che i negoziati con Facebook, Google e gli editori continuassero fino a novembre, ma la crisi generata dalla pandemia da coronavirus aveva convinto il governo a chiedere all’ente di preparare un nuovo codice, con misure obbligatorie. Il 31 luglio era stata pubblicata una prima bozza del codice che prevedeva, come sintetizzato da Politico, «che gli editori e le piattaforme digitali partecipino in modo individuale o collettivo a una negoziazione di tre mesi, in cui cercare di accordarsi su adeguati pagamenti», e che qualora non venisse trovato un accordo soddisfacente per tutte le parti in causa subentri «un arbitro imparziale che scelga, entro 45 giorni, quale delle due parti ha fatto l’offerta più ragionevole». Il codice riguardava solo Google e Facebook, ma è possibile che altre piattaforme verranno aggiunte in seguito.

Lo scorso 20 agosto era stato Google a reagire in modo più duro con una lettera aperta con cui cercava di portare dalla sua parte i cittadini australiani. In risposta l’ACCC aveva pubblicato a sua volta una dura lettera di replica. Contro Google si era schierato anche l’Australia Institute’s Centre for Responsible Technology, un centro di ricerche indipendente, che aveva accusato l’azienda di aver «distrutto un modello di business che ha supportato il giornalismo indipendente per più di 150 anni».

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Dopo aver tenuto in questi mesi una posizione più conciliante, ora Facebook si allinea alla posizione intransigente di Google. Easton ha scritto nel blog aziendale che la commissione che ha preparato la bozza di legge «ha ignorato fatti importanti», inclusa la relazione tra social media e mezzi di informazione. Quindi se la bozza diventerà legge, scrive Easton, Facebook e Instagram non permetteranno più agli editori e ai cittadini australiani di condividere notizie sui social. «Questa non è la nostra prima decisione, è l’ultima – ha spiegato Easton – Ma è l’unico modo per proteggerci da un provvedimento che sfida la logica e danneggerà, non aiuterà, a lungo termine la vitalità del settore delle notizie e dei media australiani».

Il piano elaborato dall’ACCC, il codice che ne è derivato e quindi il disegno di legge, sono frutto di un’inchiesta del 2019 della stessa ACCC sul ruolo svolto da piattaforme e social network in Australia, che aveva rilevato come Google e Facebook ottenessero la maggior parte dei profitti dalla pubblicità online, nonostante molti dei contenuti che pubblicavano provenissero da siti di notizie.

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È un tema su cui si discute da molti anni, in tutto il mondo. Google, Facebook e altre grandi piattaforme (come Twitter) guadagnano tra le altre cose con la pubblicità che viene mostrata sulle loro pagine, anche quando le pagine includono contenuti prodotti dai siti di news. Secondo molti editori, però, i giornali che producono le notizie dovrebbero ottenere parte dei ricavi che quelle notizie generano per Google e Facebook. A inizio aprile, per esempio, l’Antitrust francese aveva ordinato a Google di pagare gli editori per le anteprime delle notizie pubblicate sulle sue pagine.