Siamo in un “momento hamiltoniano”?

E soprattutto, cosa vuol dire? È un'espressione che arriva dalla storia statunitense e molti sostengono che oggi valga per l'Unione Europea

(Samuel Corum/Getty Images)
(Samuel Corum/Getty Images)

Secondo alcuni osservatori ed esperti, la proposta di Francia, Germania e Commissione Europea per creare un fondo per il rilancio europeo finanziato con emissioni di debito comune è un punto di svolta nella storia europea. Per la prima volta si parla di mettere sul mercato massicce quantità di debito – cioè di soldi raccolti in prestito dai mercati internazionali – garantito non da singoli stati ma dall’Unione nel suo complesso, e ci si propone di finanziare almeno una parte di questa emissione con tasse europee.

In molti hanno utilizzato un’espressione particolare per definire quella che è potenzialmente una svolta storica: “Hamiltonian Moment”, cioè “momento hamiltoniano”, dal nome di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti che nel 1790 riuscì a trasformare il debito che le 13 colonie avevano accumulato nella lotta per l’indipendenza dal Regno Unito in debito pubblico del nuovo stato federale, mettendo così le basi per la nascita dei moderni Stati Uniti.

Non tutti pensano che l’analogia abbia senso. Politico.eu e il Washington Post, per esempio, hanno usato questa espressione per sostenere che l’Europa non si trovi ancora di fronte al suo “momento hamiltoniano”. Altri invece hanno scritto che in futuro questo momento potrebbe essere ricordato come quello in cui l’Unione Europea ha iniziato a diventare una vera federazione. Per capire chi ha ragione, o semplicemente per avere le idee un po’ più chiare sulla faccenda, è bene fare un passo indietro e capire cosa è accaduto in Europa questa settimana e cosa accadde negli Stati Uniti 230 anni fa.

Partiamo dal “recovery fund” europeo. La sua storia comincia con l’enorme crisi economica causata dalla COVID-19 e dalle misure di quarantena prese per limitare la diffusione della malattia. Per quasi due mesi poco meno di metà dell’economia europea si è arrestata e soltanto ora sta iniziando a tornare in funzione, mentre alcuni settori, turismo, eventi, ristorazione, probabilmente non si riprenderanno del tutto ancora a lungo.

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Questa emergenza ha colpito tutta l’Europa in maniera abbastanza simile, con un calo del PIL medio di circa 7 punti percentuali (il paese più colpito, la Grecia, dovrebbe perdere il 9,7 per cento del suo PIL quest’anno; il meno colpito, la Polonia, il 4,3 per cento). Per mitigare l’impatto di una simile crisi solitamente i governi aumentano la propria spesa: pagano gli stipendi dei lavoratori delle aziende costrette a rimanere chiuse e offrono garanzie alle imprese affinché possano facilmente prendere denaro in prestito (qui trovate le nostre guide su cosa gli stati hanno fatto per le imprese e cosa per famiglie e lavoratori).

Non tutti gli stati europei, però, hanno pari risorse. Quelli più ricchi, nel centro e nel Nord Europa, hanno il denaro e un sistema politico ed economico abbastanza efficiente da poter mettere in campo molti aiuti e farli arrivare dove servono. Nel Sud e nel resto d’Europa, invece, la situazione è molto più complicata. Gli stati hanno meno risorse a disposizione e sistemi amministrativi molto meno efficienti per distribuirle. Il potenziale risultato di questo sbilanciamento è che una crisi “simmetrica”, cioè che colpisce più o meno tutti alla stessa maniera, si trasformi in una crisi “asimmetrica”, che colpisce più duramente i più poveri, allargando ulteriormente i già ampi divari che esistono all’interno dell’Unione Europea.

Una potenziale soluzione è l’intervento di un qualche tipo di “governo federale” che si occupi di distribuire un po’ di risorse da dove sono in surplus a dove ce n’è più bisogno, in modo da rallentare o addirittura fermare il processo di divergenza tra le economie europee. Come creare un governo federale con questo potere è una questione particolarmente urgente in una situazione di crisi, ma è un tema presente da sempre nei dibattiti sull’Europa.

Il problema principale è che fino a oggi l’Unione Europea non è riuscita a creare un governo forte in grado di compiere questa azione distributiva (e molti, come vedremo, nemmeno lo vogliono). Fin dall’inizio della crisi la Commissione Europea, la cosa più vicina a un “governo dell’Unione”, ha cercato di utilizzare gli strumenti a sua disposizione per aiutare i paesi più colpiti, ma ha potuto fare relativamente poco. Il bilancio dell’Unione, il suo principale strumento economico, viene deciso ogni sette anni e non è facile modificarlo in corso d’opera, soprattutto se l’obiettivo è renderlo più generoso.

La proposta di Francia e Germania, che negli ultimi giorni è diventata la proposta della Commissione Europea, va nella direzione di cambiare questo stato di cose. Per la prima volta la Commissione viene dotata di uno strumento con cui potrà finanziarsi direttamente: l’emissione di debito pubblico garantito dall’Unione nel suo insieme (un’idea del tutto simile a quella dei famosi “eurobond”) per circa 750 miliardi di euro, se la proposta sarà accettata nella sua forma attuale.

Allo stesso tempo, la proposta stabilisce chiaramente che quanto raccolto dal fondo non sarà distribuito rigidamente in base a criteri dimensionali (all’economia più grande arriva di più), ma sulla base delle reali necessità della crisi: i paesi più ricchi, in altre parole, aiuteranno i più poveri. Inoltre, per finanziare questo debito, la Commissione sarà autorizzata per la prima volta a imporre tasse.

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Sulla carta quello che sta vivendo l’Europa sembra quindi un vero e proprio “momento hamiltoniano”. Nel 1790, infatti, quando Hamilton era segretario al Tesoro, gli Stati Uniti erano un paese molto diverso da quello che conosciamo ora. Per farla semplice potremmo dire che le classi dirigenti americane non avevano ancora deciso che paese sarebbero stati: una vaga confederazione di stati dotati di grande autonomia, oppure uno stato federale, ma con un forte governo centrale?

Hamilton era uno dei più noti esponenti della seconda fazione e nella sua carriera fece moltissimo per trasformare la confederazione in uno stato dotato di un potere centrale e aggregante. Nel 1790 raggiunse uno dei suoi principali risultati, quello che è stato paragonato alle costruzione delle «fondamenta» del nuovo stato: la condivisione del debito pubblico contratto dai 13 stati che allora componevano gli Stati Uniti in un unico debito di responsabilità del governo federale (e allo stesso tempo, ottenne anche la creazione di una banca centrale unica e moderna).

Chi difende la tesi del “momento hamiltoniano” europeo sottolinea che i due episodi non solo hanno effettivamente molto in comune – sia oggi che allora si parla di mettere in comune del debito a livello federale – ma anche le dimensioni economiche paragonabili che hanno i due “momenti”. Gli storici dell’economia hanno calcolato che il debito messo in comune ai tempi di Hamilton era pari a circa il 30-40 per cento del PIL dell’epoca, ma questo debito contratto durante la guerra venne ripagato in fretta. Da allora e praticamente fino al 1929, il debito comune degli Stati Uniti non superò mai in tempo di pace il 5-6 per cento del PIL: cioè all’incirca la stessa percentuale che si prevede di mettere in comune in Europa.

Chi invece critica il paragone sottolinea soprattutto che per ora quella europea è soltanto una proposta, anche se sostenuta dalla Commissione Europea e dai due paesi politicamente più influenti dell’Unione, Francia e Germania. Come tale, sarà sottoposta a lunghe trattative nelle prossime settimane durante le quali i governi dei cosiddetti paesi “frugali” (Austria, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia) cercheranno di limitare proprio la sua parte più “hamiltoniana”, quella che riguarda la condivisione del debito.

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Niente di sicuro è ancora stato deciso e le attuali proposte piuttosto ambiziose potrebbero essere diluite prima di arrivare al compromesso finale. Ma anche se la proposta dovesse passare senza grossi cambiamenti, rimane il fatto che si tratta di misure specifiche e limitate nel tempo. Non è un accordo per mettere in condivisione perpetua una parte del debito europeo (anche se per molti suoi sostenitori è questo il suo obiettivo), ma una misura di emergenza per fronteggiare una crisi che potrebbe essere abbandonata non appena le cose saranno tornate alla normalità.

In altre parole, possiamo dire che l’Europa si trova di fronte a un potenziale “momento hamiltoniano”. All’epoca di Hamilton, i suoi successi non vennero percepiti come un momento storico e la formazione dei moderni Stati Uniti ebbe ancora fortune alterne per decenni (su questi temi, 80 anni dopo, il paese combatté una guerra civile). Furono soltanto le generazioni successive, con il loro sguardo retrospettivo, ad identificare in quel momento l’inizio di qualcosa. Con l’Unione Europea è probabile che le cose andranno in maniera simile. Saranno probabilmente soltanto le future generazioni a poter dire se in questi giorni sono state prese decisioni che hanno messo le fondamenta di una nuova Europa.