(REUTERS/Ronen Zvulun)

Che farà adesso Netanyahu?

L'incriminazione per truffa e corruzione non gli impedirà di presentarsi alle prossime elezioni, a meno di sorprese, e molto dipenderà da come andranno

L’incriminazione subita giovedì pomeriggio dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accusato dalla procura nazionale di truffa e corruzione per tre casi distinti, è stata definita da più osservatori come un «terremoto politico». Non era mai successo che un primo ministro israeliano venisse incriminato durante il suo mandato, e in pochi si aspettavano che l’indagine condotta dal procuratore generale Avichai Mandelblit avrebbe confermato tutte le accuse più gravi di cui i giornali israeliani avevano parlato negli ultimi anni.

Almeno per il momento, però, la decisione di Mandelblit non ha avuto conseguenze concrete, a parte una sconclusionata conferenza stampa in cui Netanyahu ha definito «un tentato colpo di stato» l’incriminazione. Nelle ultime ore diversi analisti si stanno chiedendo cosa succederà nelle prossime settimane, considerato anche che Israele sta vivendo una situazione piuttosto delicata: le ultime due elezioni politiche, tenute ad aprile e a settembre, non hanno prodotto alcuna maggioranza stabile e probabilmente entro l’anno si voterà per la terza volta, mentre soltanto nell’ultimo mese ci sono stati improvvisi aumenti della tensione con le milizie palestinesi attive nella Striscia di Gaza e quelle iraniane di base in Siria.

Per capire cosa potrebbe accadere, è più utile esaminare separatamente il piano legale da quello politico.

Dal punto di vista legale, molto difficilmente il processo a Netanyahu avrà sviluppi nel breve termine. I suoi avvocati faranno di tutto per ostacolarlo, e l’incarico di primo ministro – che a meno di sorprese conserverà anche nei prossimi mesi – consentirà a Netanyahu di rendersi facilmente irreperibile per udienze o testimonianze. Diversi esperti ritengono che ci vorranno anni prima di arrivare a una sentenza di primo grado. La legge israeliana prevede che un primo ministro possa essere rimosso dal suo incarico solamente dopo una condanna definitiva, quindi ancora più in là.

Eppure da questo lato potrebbero esserci due sviluppi opposti, ipotizzati da alcuni giornalisti israeliani. Netanyahu potrebbe chiedere ai suoi alleati di garantirgli l’immunità penale: secondo la legge israeliana ogni parlamentare può chiederla a una specifica commissione della Knesset, cioè la camera unica del Parlamento, ma a condizione che la richiesta avvenga entro 30 giorni dall’incriminazione e che alla fine della procedura la proposta sia approvata dall’aula intera. Al momento Netanyahu non ha né i numeri né i tempi tecnici per chiederla, visto che nel Parlamento non ha una maggioranza e che le prossime elezioni, se ci saranno, non si terranno verosimilmente prima di gennaio. Netanyahu potrebbe pur sempre essere rieletto, ottenere una maggioranza e far approvare una legge apposita per garantire l’immunità al primo ministro; mancano ancora diversi passaggi, però, perché diventi un’opzione concreta.

Oppure, Mendelblit potrebbe raccomandare formalmente al presidente israeliano Reuven Rivlin di non consegnare un mandato per formare il governo a un candidato incriminato per truffa e corruzione: di questa ipotesi ha parlato l’editorialista di Haaretz Yossi Verter in un articolo pubblicato venerdì definendola «altamente probabile», ma al momento non ci sono indicazioni che Mendelblit stia lavorando a un documento del genere.

Dal punto di vista politico, invece, molto dipenderà da cosa deciderà di fare il Likud, il partito che Netanyahu guida dal 2005. Negli ultimi tempi si è spostato sempre più a destra, drenando i voti degli altri partiti nazionalisti, e ha approfittato della progressiva polarizzazione del dibattito politico israeliano per aggregare uno zoccolo duro di elettori – ma anche di funzionari e parlamentari – fedelissimi a Netanyahu. A meno che Mandelblit o Rivlin decidano di impedire legalmente a Netanyahu di diventare primo ministro, sembra quasi impossibile che il Likud possa mollarlo, oppure che i suoi elettori lo abbandonino improvvisamente. Gli ultimi sondaggi – realizzati prima dell’incriminazione, che però era stata annunciata a febbraio – danno il Likud più o meno alla pari con Blu e Bianco, il partito centrista di opposizione, intorno ai 33 seggi parlamentari su 120.

«Sarà una campagna elettorale tossica e divisiva», prevede Anshel Pfeffer, il corrispondente dell’Economist in Israele «fra gli israeliani che credono nel sistema giudiziario e quelli convinti che le elite stiano cercando di silenziarli. Netanyahu darà tutto se stesso, prendendo di mira chiunque ritenga una minaccia al suo potere. Sarà una battaglia per l’anima della fragile democrazia israeliana, di cui ancora non si vede la fine».

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