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  • Mercoledì 20 febbraio 2019

Nel PPE si litiga di brutto

Il governo ungherese di Viktor Orbán ha attaccato in maniera diretta Jean-Claude Juncker nonostante i due facciano parte dello stesso partito europeo, generando nuove tensioni

Il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker con il primo ministro dell'Ungheria Viktor Orbán, a Bruxelles nel 2015. (AP Photo/Virginia Mayo)
Il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker con il primo ministro dell'Ungheria Viktor Orbán, a Bruxelles nel 2015. (AP Photo/Virginia Mayo)

In vista delle elezioni europee, il governo ungherese guidato dal controverso Viktor Orbán ha lanciato una nuova campagna in cui attacca direttamente il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. La sua immagine è affiancata a quella di George Soros, il miliardario e filantropo di origine ungherese, diventato negli ultimi anni l’oggetto di una campagna dai toni vagamente antisemiti da parte delle destre europee. In un post comparso lunedì su Facebook, il governo accusa la Commissione e Juncker di «minacciare la sicurezza dell’Ungheria» con i suoi piani di ridistribuzione dei migranti (che l’Ungheria ha sempre rifiutato, come buona parte dei paesi dell’est).

Toni e argomenti del genere sono ormai la normalità in Ungheria, ma prima di questa settimana raramente Orbán aveva attaccato in maniera così diretta Jean-Claude Juncker: entrambi fanno parte del Partito Popolare Europeo (PPE), il principale partito europeo di centrodestra, che in questi anni ha spesso difeso Orbán nonostante l’approvazione di leggi sempre più illiberali da parte del governo ungherese. Le ultime provocazioni di Orbán però hanno fatto parecchio infuriare i suoi alleati europei, e Juncker è arrivato a ipotizzare che nel PPE non ci sia più posto per Fidesz.

Negli ultimi anni, il governo ungherese ha speso milioni di euro in campagne politiche, rivolte spesso contro politici europei. Appena qualche tempo fa avevano preso di mira con post sponsorizzati su Facebook anche Guy Verhofstadt, il leader del partito liberale europeo, l’ALDE, che aveva risposto tappezzando Bruxelles di manifesti anti Orbán.

Nel nuovo post condiviso dal governo ungherese, si leggono tesi un po’ complottiste che parlano di presunti «piani di Bruxelles per incentivare l’immigrazione», che «minacciano la sicurezza dell’Ungheria». E ancora «Vogliono introdurre quote obbligatorie per il reinsediamento, vogliono indebolire il diritto degli stati membri di proteggere i propri confini, vogliono facilitare l’immigrazione con i visti umanitari per i migranti».

Il presidente del PPE, il francese Joseph Daul, ha subito criticato su Twitter la campagna lanciata dal governo ungherese e i suoi commenti sono stati retwittati da tutti i principali esponenti del PPE; compreso Manfred Weber, il capogruppo del partito al Parlamento Europeo e il candidato del partito alla presidenza della prossima Commissione Europea.

Da tempo però è evidente una certa spaccatura nel partito. A settembre il Parlamento Europeo aveva attivato la cosiddetta “opzione nucleare” contro il governo ungherese per le ripetute violazioni dello stato di diritto. La misura era stata appoggiata e votata da diversi europarlamentari del partito, ma non da quelli dei paesi dell’est. Ma va detto che in questi anni diversi altri partiti “tradizionali” del centrodestra occidentale si sono spostati più a destra: su tutti la CSU, il partito bavarese alleato della CDU di Angela Merkel e più di recente il Partito Popolare spagnolo.

Appena tre mesi fa aveva definito Fidesz e il suo leader come «l’enfant terrible» del PPE, aggiungendo che ogni famiglia ne ha uno, ma aveva aggiunto che le sue intenzioni erano quelle di comportarsi da «buon padre di famiglia» e accogliere tutti. I toni usati ieri da Daul sono stati molto diversi: in uno dei suoi tweet ha tenuto a specificare che «invece di additare Bruxelles come nemico fantasma, l’Ungheria dovrebbe ricordarsi che ne fa parte anche lei».

La Commissione, invece, ha risposto alla campagna del governo ungherese con un contromanifesto in cui sottopone al fact-checking le affermazioni di Fidesz. Il post è stato condiviso sul profilo Twitter di Natasha Bertaud, una delle portavoce ufficiali di Juncker. «Non esiste un “loro”, solo l’Unione Europea, di cui fa parte anche l’Ungheria». «L’UE supporta e non minaccia la sicurezza dei confini nazionali». «Gli stati membri scelgono fino a che punto vogliono accettare i migranti legali nel loro paese». Il post è stato tradotto e condiviso anche in ungherese.

Infine, parlando martedì durante un incontro a Stoccarda, in Germania, Juncker ha commentato dicendo che «contro le bugie non c’è molto che si possa fare», aggiungendo che Fidesz «non rappresenta in alcun modo i valori democratici cristiani» (che sono alla base del PPE), e che quindi «non c’è posto [per loro] nel Partito Popolare Europeo».

Non è la prima volta che Juncker fa commenti di questo genere: già a dicembre aveva usato le stesse parole in un’intervista con Le Monde, ma aveva poi usato toni più accomodanti verso Orbán. Durante l’incontro a Stoccarda, invece, Juncker è stato più diretto e ha anche chiesto a Manfred Weber di considerare se «ha veramente bisogno del voto» degli ungheresi a maggio per diventare presidente della Commissione, ricordando di come nel 2014 Fidesz si rifiutò di dare il suo appoggio alla sua candidatura e votò contro, «esattamente come Marine Le Pen e l’estrema destra».

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