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  • Venerdì 14 settembre 2018

Cosa succede adesso con l’Ungheria?

Dopo il voto del Parlamento Europeo, la richiesta senza precedenti di pesanti sanzioni verrà esaminata dal Consiglio: ma difficilmente ci saranno conseguenze concrete

(AP Photo/Darko Vojinovic, file)
(AP Photo/Darko Vojinovic, file)

Mercoledì pomeriggio il Parlamento Europeo ha votato per la prima volta nella sua storia la cosiddetta “opzione nucleare” contro l’Ungheria, cioè la minaccia di privarla dell’esercizio di voto nelle istituzioni europee: una misura prevista dai trattati ma mai adottata prima che punisce un paese che viola i valori fondanti dell’Unione. L’esito del voto è finito sui giornali di tutta Europa ed è stato descritto come «storico», ma in molti si chiedono quali conseguenze potrà realmente avere.

Diverse fonti che il Post ha consultato durante la plenaria del Parlamento Europeo, che si è chiusa giovedì, suggeriscono che la cosiddetta “opzione nucleare” sarà bocciata dal Consiglio dell’Unione Europea, l’organo che insieme al Parlamento detiene il potere legislativo nell’UE e che è formato dai governi di tutti gli stati membri. Ma quali sono i prossimi passaggi che deve seguire la procedura, e cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi?

Cos’è la cosiddetta “opzione nucleare”
Negli ambienti europei viene chiamato in questo modo l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, l’ultimo grande trattato firmato dagli stati membri dell’Unione Europea, entrato in vigore nel 2009. Ha questo soprannome perché è considerato l’ultima risorsa a disposizione dell’Unione per sanzionare gli stati che non rispettano gli standard comunitari:

Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. […]

Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio.

In sintesi, l’articolo 7 permette alla maggioranza degli stati membri di punire uno stato che violi i valori dell’articolo 2 del Trattato, cioè «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani».

Negli ultimi anni il governo ungherese guidato dal controverso primo ministro Viktor Orbán, rieletto lo scorso aprile, ha approvato norme che limitano la libertà di stampaha avuto posizioni molto discriminatorie verso i musulmani, i rom e gli ebrei e ha portato avanti una dura campagna contro i migranti, introducendo leggi che criminalizzano l’immigrazione clandestina e prevedono il carcere per le persone o le organizzazioni che in qualche modo la favoriscono. Un rapporto (PDF) scritto dall’europarlamentare olandese Judith Sargentini per conto del Parlamento Europeo ha confermato queste accuse, e a partire dalle sue conclusioni l’aula ha deciso di avviare un procedimento contro l’Ungheria secondo quanto previsto dall’articolo 7.

Quali sono i passaggi da seguire
Dal punto di vista procedurale, il voto sul rapporto Sargentini è stato il primo passaggio di un procedimento lungo e complesso. Il Parlamento ha determinato in Ungheria esiste il rischio che lo stato stia violando i valori fondanti dell’Unione. Prima che si arrivi alla sanzione vera e propria, cioè la rimozione del diritto di voto nelle sedi europee, sono previsti molti altri passaggi.

Per prima cosa, il Consiglio deve scrivere il suo rapporto sulla situazione in Ungheria, e poi chiederne conto al governo ungherese. I due passaggi non saranno immediati: parlando con Repubblica, Sargentini ha detto di sperare che avvengano prima delle elezioni europee del maggio 2019. Starà al Consiglio determinare se effettivamente in Ungheria esista il rischio di una violazione dei diritti europei, e se quindi dovrà essere “rimproverata” in via ufficiale. Per approvare la mozione è necessaria l’approvazione dei 4/5 degli stati membri, cioè 23.

Solo a quel punto la proposta avrà concluso la prima fase – che in fondo è una specie di avvertimento – per entrare nella seconda, quella che prevede le sanzioni vere e proprie. Se l’Ungheria continuerà a comportarsi male, la Commissione Europea o un terzo degli stati del Consiglio possono chiedere di applicare le sanzioni: la proposta deve nuovamente passare dal Parlamento – ed essere approvata con una maggioranza difficile da raggiungere, cioè i due terzi dei votanti a patto che voti Sì almeno metà dell’aula – e infine essere votata all’unanimità degli altri 27 membri del Consiglio. Se vi siete persi qualche passaggio, qui sotto c’è un utile schemino di come funziona l’articolo 7 pubblicato dall’ufficio stampa del Parlamento Europeo.

Come si può intuire, il procedimento può interrompersi molto prima che si arrivi alla fase delle sanzioni. È sufficiente l’opposizione di sei stati membri, per esempio, per evitare anche solo un avvertimento da parte del Consiglio. Oppure, l’intero procedimento potrebbe perdersi fra un passaggio e l’altro: la Polonia, l’altro paese che è al centro di una procedura per violazione dell’articolo 7, avviata nel 2017 dalla Commissione, non si è ancora difesa davanti al Parlamento Europeo, come invece ha già fatto l’Ungheria. Non è ancora chiaro se l’Austria, che attualmente presiede il Consiglio, abbia già deciso se e quando occuparsi della questione.

Ok, ma l’Ungheria cosa rischia?
Molto poco. Il governo della Polonia ha già annunciato che in sede di Consiglio voterà contro «qualsiasi sanzione» imposta all’Ungheria, e gli europarlamentari del partito di maggioranza polacco – Diritto e Giustizia – hanno votato compatti contro il rapporto Sargentini. Anche la Repubblica Ceca ha già detto che farà lo stesso: il suo presidente Andrej Babiš ha anche definito dei traditori i due europarlamentari cechi che hanno votato a favore del rapporto Sargentini.

Se anche la procedura contro l’Ungheria dovesse concludere la prima fase – quella dell’avvertimento – ci sono pochissime possibilità che si arrivi alle sanzioni vere e proprie, dato che serve l’unanimità del Consiglio. Nei prossimi mesi, poi, Orbán potrebbe guadagnare nuovi alleati: la settimana prossima una delegazione del Parlamento Europeo visiterà Malta e la Slovacchia per capire se lo stato di diritto dei due paesi sia in linea con gli standard dell’Unione (entrambi hanno grossi problemi con la corruzione, per esempio). Se il Parlamento deciderà di far scattare l’articolo 7 anche nei loro confronti, i paesi al centro di queste procedure potrebbero coalizzarsi e votare contro qualsiasi tipo di avvertimento o sanzione.