Nel governo cinese c’è qualche malumore
Sembra che nel Partito comunista stia crescendo lo scontento verso il potentissimo presidente Xi Jinping, racconta il Wall Street Journal: si vede da alcune piccole cose
Martedì circa 3mila funzionari e ospiti del Partito comunista cinese hanno partecipato a un’importante cerimonia nella Grande sala del popolo del Parlamento a Pechino, dove si celebravano i quarant’anni dall’inizio delle riforme economiche introdotte dall’ex presidente Deng Xiaoping. Il momento più atteso è stato il discorso di Xi Jinping, l’attuale presidente cinese, che negli ultimi anni ha accentrato su di sé moltissimo potere. Xi ha ribadito il ruolo centrale del Partito comunista – da decenni perno indiscusso del sistema cinese – e ha detto che «tutto quello che si deve e si può riformare, sarà riformato». Diversi analisti e osservatori hanno sottolineato però come Xi non abbia fatto alcun riferimento concreto a nuove politiche o riforme, alimentando lo scontento che sembra essere presente da tempo in alcuni settori del partito e inasprendo le critiche nei suoi confronti.
Nelle settimane che hanno preceduto le celebrazioni dei quarant’anni delle riforme di Deng, ha scritto il giornalista Chun Han Wong sul Wall Street Journal, i malumori nei confronti di Xi sono diventati sempre più diffusi. I critici hanno accusato Xi di essere il responsabile del rallentamento della crescita economica cinese e della guerra commerciale con gli Stati Uniti di Donald Trump. Hanno sostenuto inoltre che il presidente abbia accentrato su di sé troppi poteri e che abbia adottato politiche che hanno frenato l’ambizione della Cina di diventare una superpotenza.
Attenzione, però. A differenza di quello che avviene normalmente nei paesi democratici, o in quelli dove comunque ai critici è lasciato uno spazio per esprimersi, in Cina il dissenso verso l’uomo più potente del paese non può essere espresso liberamente. Questo dissenso è stato espresso a porte chiuse, riferito da testimoni e addetti ai lavori; e nelle ultime settimane si sono visti alcuni segnali che hanno confermato l’ipotesi dell’esistenza di malumori nel Partito comunista.
Il mese scorso, per esempio, il primo ministro cinese Li Keqiang ha pronunciato due discorsi durante una visita a Singapore e in entrambi non ha citato il nome di Xi, un fatto rilevante e in un certo senso contrario alle usuali regole adottate dalla leadership cinese. Negli ultimi anni Li, così come molti altri nel partito, ha perso parecchia influenza sulle scelte economiche adottate dal governo, sempre più controllate e guidate da Xi. Li ha invece citato Deng Xiaoping, ricordato soprattutto per due cose: per essere stato il promotore della politica “Riforma e apertura” inaugurata nel 1978 e finalizzata ad aprire l’economia cinese alle riforme economiche e realizzare il cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi“; e per avere rigettato il sistema precedente basato sul governo di un solo uomo forte, che aveva portato la Cina alla rovina durante l’epoca di Mao Zedong. Secondo alcuni osservatori, come Lucy Hornby del Financial Times, lo scontro nel Partito comunista cinese starebbe ruotando proprio attorno alla rivalità tra queste due correnti molto potenti, quella di Xi e quella di Deng. Il timore di alcuni è che Xi voglia ridimensionare l’importanza della figura di Deng e delle sue riforme per alimentare ancora di più il culto della personalità verso di lui promosso negli ultimi anni.
I disaccordi all’interno del partito – soprattutto quelli relativi alle politiche economiche – stanno creando confusione sulle priorità da seguire tra i funzionari di medio e basso livello. «Quando tutto è una priorità, non ci sono davvero priorità», ha detto al New York Times Yuen Yuen Ang, docente di scienze politiche all’Università del Michigan: «Oggi molti obiettivi politici in Cina si fanno concorrenza tra loro. Quale ha precedenza?». Un concetto simile è stato espresso da Ding Xueliang, docente emerito dell’Università della scienza e della tecnologia di Hong Kong, da tempo studioso delle riforme cinesi. Ding ha detto: «Anche le persone nelle posizioni di potere non hanno idea della direzione da prendere. Non c’è una sola persona in Cina con cui abbia parlato negli ultimi sei mesi, non una sola persona, che abbia chiaro quale sarà la prossima tappa».
Il risultato è che spesso le politiche cambiano rapidamente o sono in contraddizione tra loro. Xi, per esempio, per due anni si dette la priorità di minimizzare i rischi nel settore finanziario, facendo investimenti prudenti e mirati. Lo scorso autunno però le cose cambiarono repentinamente e le banche furono spinte a concedere prestiti più rischiosi anche alle piccole e medie imprese, per stimolare la crescita economica. L’economia, inoltre, è cresciuta ancora ma meno di quanto si aspettassero i vertici del Partito comunista, anche a causa dei limitati consumi interni e degli enormi investimenti all’estero, che sono stati il perno della politica estera cinese degli ultimi anni voluta da Xi (questa strategia è stata definita del “filo di perle”, cioè una serie di investimenti in infrastrutture commerciali e militari estese dal territorio cinese fino al Sudan, nell’Africa orientale). Secondo i critici di Xi, le politiche adottate finora non hanno prodotto i risultati sperati. Inoltre, sostengono alcuni, la guerra commerciale con gli Stati Uniti di Trump ha reso evidente l’incapacità del presidente di rispondere a sfide complicate e inaspettate sulla scena internazionale.
La necessità di avviare nuove riforme relative al mercato e al sistema finanziario è riconosciuta apertamente da diversi funzionari del governo cinese, e nel discorso di martedì lo stesso Xi ha promesso maggiori aperture, sia per le aziende statali che per quelle private. Allo stesso tempo, però, Xi ha sostenuto due volte che fino a quel momento il Partito si fosse comportato in maniera «completamente corretta» nell’ambito delle riforme economiche, un messaggio che molti hanno interpretato come un tentativo di zittire i suoi critici. Secondo Daniel H. Rosen, co-fondatore di Rhodium Group, una società di analisi che si occupa di economia cinese, le promesse di nuove riforme sarebbero sincere, ma in un certo senso di difficile applicazione nella Cina di oggi governata da Xi Jinping, preoccupata soprattutto di prevenire qualsiasi tipo di instabilità. Riforme e stabilità non sempre vanno a braccetto, ha concluso Rosen.