Il governo ha un problema di soldi

Lo scontro tra il ministro dell'Economia e il Movimento 5 Stelle intorno alla manovra economica, spiegato bene

(ANSA/CLAUDIO PERI)
(ANSA/CLAUDIO PERI)

Da più di una settimana gli esponenti del Movimento 5 Stelle attaccano quasi quotidianamente il ministro dell’Economia Giovanni Tria e alcuni sono addirittura arrivati a chiederne le dimissioni. Ieri, con la scusa di smentire le richieste di dimissioni, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha attaccato nuovamente il ministro, con una frase oggi molto discussa da giornalisti ed editorialisti: «Pretendo che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani», ha detto Di Maio, per poi ripetere: «Un ministro serio i soldi li deve trovare».

Il problema è che in questi giorni il governo ha iniziato a discutere la questione più delicata da quando si è insediato lo scorso giugno: la manovra economica per l’anno 2019. Messi sotto pressione dalla competizione con la Lega, i dirigenti del Movimento vogliono usare la legge di bilancio per riequilibrare la situazione con i loro alleati, indirizzando la quantità di risorse più alta possibile verso la loro base elettorale. Ma se le loro richieste sono onerose, i soldi a disposizione del governo sono pochi.

Per il Movimento 5 Stelle è fondamentale stanziare almeno 10 miliardi di euro per quello che chiama “reddito di cittadinanza“, che in pratica è un assegno di sostentamento per disoccupati di importo non ancora chiaro e di cui finirebbe per beneficiare in particolare il Mezzogiorno, dove sono concentrati molti elettori del M5S. Lo stanziamento potrebbe essere ridotto a 5 miliardi se il momento di entrata in vigore del provvedimento venisse rimandato alla metà dell’anno prossimo. Anche questa cifra però rischia di essere troppo per il ministro dell’Economia Giovanni Tria.

Secondo quanto riferito ai giornali da diversi esponenti del Movimento 5 Stelle, Tria avrebbe detto di essere disposto ad aumentare di un miliardo la dotazione del REI, il reddito di inclusione destinato alle famiglie in condizioni economiche difficili entrato in vigore a fine 2017. Per il Movimento 5 Stelle questa proposta sarebbe però “inaccettabile“.

Tria fino ad oggi è apparso irremovibile nella sua intenzione di tenere sotto controllo i conti pubblici: non intenderebbe superare la soglia dell’1,6 per cento di deficit rispetto al PIL sul quale ci sarebbe già un accordo con la Commissione europea (e che è comunque il doppio del deficit promesso dal governo Gentiloni). Questa soglia è ritenuta il massimo accettabile dalla Commissione, in base alle complicate regole di bilancio europee, oltre che la cifra massima che consente di far scendere anche di poco l’enorme debito pubblico italiano.

Con questo deficit il governo avrebbe la possibilità di spendere circa 27 miliardi di euro. Di questi, una dozzina sono già impegnati per evitare l’aumento automatico dell’IVA. Il resto dovrà essere impegnato per abbassare le tasse sul reddito (la cosiddetta “flat tax” proposta dalla Lega, che però non è più affatto “flat” visto che prevede aliquote diverse) e per abolire gradualmente la riforma Fornero (avvicinandosi gradualmente alla cosiddetta “quota 100”): due misure che insieme costeranno circa 15 miliardi di euro. Queste tre misure da sole consumerebbero completamente il deficit previsto da Tria e quindi rimarrebbe ben poco per il “reddito di cittadinanza” del Movimento 5 Stelle e niente per l’altra misura che in questi giorni i suoi leader hanno definito assolutamente necessaria: l’innalzamento delle pensioni minime da 500 a 780 euro, una misura che secondo il Sole 24 Ore potrebbe costare altri 13 miliardi di euro.

Un modo per far quadrare i conti sarebbe quello alzare le tasse e tagliare la spesa in modo da trovare le risorse per queste misure aggiuntive. Tria ha lasciato più volte intendere che il programma del governo potrebbe essere finanziato se si lasciasse aumentare l’IVA, ma questa proposta è stata respinta da tutti gli esponenti della maggioranza. Un’altra possibilità potrebbe essere un aumento di tasse “mascherato”, ad esempio una riduzione delle deduzioni fiscali. Si tratta di una misura promessa o tentata da quasi tutti i governi del passato, ma politicamente molto complicata da realizzare (ogni deduzione fiscale, come ad esempio quella per le ristrutturazioni domestiche, ha forti gruppi di interesse intenzionati a difenderla).

Un’altra possibilità ancora sono i tagli di spesa, ma i cosiddetti “sprechi” non sono affatto facili da individuare e tagliare (e sono comunque di entità molto più ridotta di quanto si ritiene comunemente). Per quanto tutti i governi del passato ci abbiano provato, i risultati delle famose “revisioni della spesa” non sono mai stati superiori ad 1-2 miliardi di euro di risparmi l’anno. Un’altra possibilità ancora è il condono fiscale, ossia uno sconto agli evasori fiscali in cambio del pagamento immediato di parte di quanto dovuto. Questa misura potrebbe garantire al governo una consistente entrata una tantum, ma visto che condoni o altre forme di sconti agli evasori sono stati adottati da quasi tutti i governi negli ultimi anni, per raccogliere molte risorse c’è bisogno di farne uno che sia davvero molto vasto e attraente. La Lega ha in mente un cosiddetto “condono tombale“, ma il Movimento 5 Stelle vorrebbe invece un’operazione più ridotta e quindi meno remunerativa (difficile comunque ipotizzare che si possa raccogliere più di qualche miliardo, 5 è la stima ottimistica del ministero dell’Economia, 20 quella di Matteo Salvini).

Resta aperta la strada più semplice: quella di alzare il deficit oltre il limite imposto da Tria e dalle regole europee. Oggi, Alberto D’Argenio scrive su Repubblica che la Commissione europea sarebbe disposta a trattare se il deficit dovesse rimanere sotto il 2 per cento. Significherebbe uno 0,3 per cento in più di deficit, cioè circa 5 miliardi di euro in più da spendere. Questa soglia sembrava fino a poche settimane fa la richiesta delle forze di maggioranza alla quale Tria si opponeva. Negli ultimi giorni però, il Movimento è sembrato alzare ancora di più l’asticella e i giornali hanno iniziato a parlare di una richiesta di alzare il deficit fino al 2,5 per cento, una cifra che permetterebbe di finanziare gran parte delle proposte avanzate in questi giorni.

Questo secondo scenario costringerebbe la Commissione europea a reagire, bocciando la legge di bilancio italiana e innescando un grave scontro politico che però avrebbe conseguenze economiche molto limitate (la Commissione non dispone di armi efficaci per punire chi fa troppo deficit). Piuttosto rimane da capire quale sarebbe la reazione dei mercati internazionali, cioè degli investitori che acquistano il debito italiano. Alzare il deficit significa che il governo chiederà in prestito molti più soldi di quanto previsto in precedenza.

Gli investitori, che sono in sostanza un numero limitato di grandi fondi e banche nazionali e internazionali, potrebbero reagire chiedendo interessi più alti sui loro prestiti, il che porterebbe a un aumento dello spread e ad un aumento del denaro che ogni anno il governo deve ripagare ai suoi creditori. Questo aumento potrebbe essere particolarmente forte per la concomitanza con altri due eventi. Entro fine anno la BCE cesserà il suo programma di acquisto di titoli di stato (il famoso QE), mentre tutti gli indicatori economici puntano a un rallentamento dell’economia europea che potrebbe trasformarsi in recessione per i paesi più deboli. Si tratta di uno scenario al momento improbabile, ma preoccupante. È molto pericoloso, infatti, trovarsi in una recessione senza possibilità di aumentare la spesa pubblica per contrastarne gli effetti poiché il deficit era già stato portato ai massimi livelli prima della crisi.