• Italia
  • Mercoledì 15 agosto 2018

Storia e problemi del ponte Morandi

Era stato costruito con una tecnica innovativa, ma aveva subito moltissimi lavori di manutenzione: uno – sostanziale – era in programma anche per il pilone crollato martedì

(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

Nel crollo del ponte Morandi a Genova, martedì, sono morte almeno 39 persone. Subito dopo il disastro ci si è interrogati su quali possano essere state le cause del crollo, che al momento non si sanno e che emergeranno solo dopo le indagini e le verifiche tecniche. Il ponte Morandi, o viadotto di Polcevera, è un ponte con una struttura particolare, che lo rese a suo tempo rivoluzionario e ammirato in tutto il mondo, e che però secondo le opinioni degli esperti – espresse prima e dopo il crollo – ha rappresentato anche un problema.

Il ponte ha richiesto dopo pochi anni dalla sua costruzione importanti lavori di manutenzione, che sono poi proseguiti quasi incessantemente negli ultimi tempi, tanto da convincere qualcuno che sarebbe stata più economica e sicura la sua demolizione e il suo rifacimento. Una delle cose più rilevanti emerse dopo il crollo è che Autostrade per l’Italia, la società che gestisce il tratto autostradale del ponte, aveva in programma un imponente rinforzo delle strutture del pilone del ponte che è crollato martedì.

Abbiamo messo in fila la storia del ponte, le sue particolarità, quali lavori di manutenzione sono stati fatti e quali erano i programma, quali critiche ha attirato nel tempo e cosa sappiamo dei controlli che venivano fatti.

Quando e come fu costruito
Il ponte Morandi fu costruito tra il 1963 e il 1967, dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua SpA su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi. È lungo 1.182 metri, con una campata massima di 210 metri e un’altezza media del piano stradale intorno ai 45 metri (i tre piloni sono alti circa 90 metri).

La struttura è principalmente in calcestruzzo armato, quello che viene comunemente chiamato cemento armato. Nel caso delle strutture orizzontali (dette tecnicamente “impalcato”) è calcestruzzo armato precompresso, e cioè lavorato con una tecnica che ne migliora la resistenza alla trazione, considerata scarsa nel calcestruzzo normale. Le torri e i piloni del ponte Morandi, invece, sono in calcestruzzo armato ordinario, cioè non lavorato con questa tecnica e quindi meno resistenti alla trazione. Il sistema di precompressione usato era stato brevettato dallo stesso Morandi.

La cosa che distingue il ponte Morandi dai normali ponti, però, è il modo in cui furono realizzati gli stralli, cioè i tiranti che partono dalla cima dei piloni e sono ancorati alla struttura. Normalmente sono d’acciaio, un materiale che reagisce meglio alla trazione, cioè – semplificando – la sollecitazione di un corpo operata da due forze divergenti. Gli stralli del ponte Morandi, invece, sono in acciaio e rivestiti di calcestruzzo precompresso. Il calcestruzzo è un materiale che veniva – e viene tutt’ora – normalmente usato per lavorare in compressione, cioè per resistere alla pressione di forze convergenti.

Questa è comunemente descritta come l’intuizione e la rivoluzione di Morandi, che l’aveva già applicata nel ponte sulla baia di Maracaibo, in Venezuela, che era stato inaugurato nel 1962 (Morandi aveva quindi vinto il bando per la costruzione del ponte di Genova quando il ponte venezuelano doveva ancora essere finito). Tre campate del ponte di Maracaibo crollarono nel 1964, dopo che una petroliera ne urtò un pilone in una sezione dove le navi non dovevano passare: il crollo però non avvenne in una sezione del ponte in cui era costruito con gli stralli rivestiti di calcestruzzo, che pure erano presenti in altre sezioni del ponte.

I lavori di manutenzione
Già circa 25 anni dopo la costruzione del ponte, negli anni Novanta, gli stralli della torre più a est del ponte (quindi quella opposta a quella crollata) furono affiancati da tiranti in acciaio.

I tiranti aggiunti nel 1990, visibili sugli stralli della torre più vicina rispetto al punto di vista della foto. (ANSA/LUCA ZENNARO)

Lo stesso lavoro era previsto per la pila 9 e la pila 10 – quella crollata è la 9 – ed era stato per questo indetto a maggio un bando da circa 20 milioni di euro. Dei lavori avevano parlato due rappresentanti di Autostrade per l’Italia in una riunione del consiglio comunale di Genova dello scorso 18 luglio, convocata dopo le lamentele dei residenti riguardo ai rumori causati dai costanti lavori notturni di manutenzione al ponte.

La registrazione della riunione si può ascoltare qui: Mauro Moretti, dipendente di Autostrade per l’Italia che si occupa di interventi di manutenzione su tutta la rete, aveva spiegato che il progetto sarebbe servito a «risarcire il danno ad oggi subito, e comunque i danni di possibile futura generazione» agli stralli, causati dal carico e dagli agenti atmosferici. «Queste opere lavorano all’inverso rispetto al normale: normalmente si usa l’acciaio in condizione tesa e il calcestruzzo in condizione compressa. Questo ponte lavora un po’ al contrario», aveva spiegato Moretti, aggiungendo che il progetto aveva già ottenuto «l’approvazione del ministero».

Chi conosce il ponte dice comunque che gli interventi di manutenzione erano pressoché costanti, e ce n’erano stati anche nelle settimane immediatamente precedenti al crollo, come testimonia la riunione del consiglio comunale. Gli ultimi, iniziati nel 2016, avevano previsto la sostituzione integrale delle barriere protettive. Era stato recentemente installato anche un carroponte per consentire interventi più rapidi ed efficaci sull’opera.

Le critiche
Come aveva spiegato nel 2016 il docente di Ingegneria civile dell’università di Genova Antonio Brencich, l’esperto più citato e consultato dopo il crollo del ponte, la sostituzione degli stralli dimostra quanto l’idea originaria di rivestire gli stralli di calcestruzzo armato precompresso fosse «chiaramente discutibile, in quanto gli stralli sono elementi strutturali così snelli da consentire una precompressione molto modesta e, quindi, destinata inevitabilmente ad avere scarsa efficacia».

All’edizione genovese di Repubblica, Brencich ha detto – dopo il crollo – riferendosi alla sostituzione degli stralli che «se dopo vent’anni ci sono già lavori di quel tipo c’è qualcosa che non funziona: un viadotto come ponte Morandi non dovrebbe essere toccato per cinquant’anni invece questo era continuamente in manutenzione». Secondo Brencich, la tecnologia inventata da Morandi per gli stralli «si è rivelata fallimentare» perché il sistema «per riempire le guaine e bloccare la corrosione non funzionava com’era pensato (…) ma anzi, ha accelerato il processo di degrado». Al Corriere della Sera, Brencich ha detto che «Morandi aveva sbagliato il calcolo della “deformazione viscosa”, quello che succede alle strutture in calcestruzzo armato nel tempo».

(ANSA/LUCA ZENNARO)

Controlli e segnali
Subito dopo il crollo i vertici di Autostrade per l’Italia hanno ribadito che il crollo è stato inaspettato e che non era stato previsto. In un comunicato, Autostrade per l’Italia ha spiegato che «l’infrastruttura era monitorata dalle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Genova con cadenza trimestrale secondo le prescrizioni di legge e con verifiche aggiuntive realizzate mediante apparecchiature altamente specialistiche». Aggiunge poi:

«Gli esiti delle attività di monitoraggio e delle attività di verifica svolte dagli autorevoli soggetti esterni hanno sempre fornito alle strutture tecniche della società adeguate rassicurazioni sullo stato dell’infrastruttura. Questi stessi esiti sono stati utilizzati come base per la progettazione degli interventi di manutenzione sul viadotto approvati dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti secondo le norme di legge e le previsioni della convenzione»

Come ha scritto il Secolo XIX, Autostrade per l’Italia è l’unico responsabile della manutenzione del ponte, e «esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società. Nessun ente pubblico compie screening autonomi». Sempre il Secolo XIX spiega che Autostrade per l’Italia non doveva fornire un piano di manutenzione, ed esegue «per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi». In quest’ultimo caso, i controlli sono eseguiti da ingegneri esterni ma sempre su commissione di Autostrade per l’Italia, senza il coinvolgimento degli enti locali o del ministero delle Infrastrutture. Brencich ha detto più volte che le squadre tecniche che monitoravano il ponte erano «di altissimo livello».

Sta circolando sui giornali una relazione di Autostrade per l’Italia che risale al maggio del 2011, e che diceva che «le code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura del viadotto Morandi, in quanto sottoposta ad ingenti sollecitazioni». Il Secolo XIX ha scritto anche che già alla fine degli anni Novanta l’Ordine degli ingegneri di Genova propose di «affiancare alla struttura in calcestruzzo una in acciaio, per alleggerire Morandi ritenuto incontrollabile dato l’incremento del traffico».