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  • Sabato 21 aprile 2018

Chi sta combattendo in Siria, e contro chi

Una guida per capire cos'è oggi la guerra siriana, al di là del bombardamento aereo di di una settimana fa contro Assad

Douma, Siria, 16 aprile 2018 (LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)
Douma, Siria, 16 aprile 2018 (LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno bombardato tre obiettivi militari legati alla produzione di armi chimiche del regime del presidente siriano Bashar al Assad, in risposta all’attacco chimico del 7 aprile a Douma, nella periferia orientale di Damasco. Il bombardamento è stato mirato e limitato: è durato meno di una notte, non ha fatto morti, non ha indebolito il governo di Assad ed è stato anticipato da diversi colloqui con i russi per evitare un’escalation di violenza in Siria. Eppure l’attenzione e il clamore con cui è stato raccontato l’intervento occidentale sono stati enormi, soprattutto se si considera tutto quello che è successo in Siria negli ultimi sette anni.

La guerra siriana è cominciata nel 2011 come una rivolta contro il governo autoritario di Assad, con modalità simili a quelle che si erano viste in altri paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. Nel corso degli anni, però, si è trasformata in qualcosa di molto più grande e diverso: sono intervenute potenze esterne – soprattutto Stati Uniti, Russia, Iran e Turchia – si sono infiltrati gruppi jihadisti ed estremisti e ci sono stati massacri, stragi e attacchi con armi proibite dal diritto internazionale, tra cui le sostanze chimiche come il gas sarin. In realtà da tempo in Siria si combattono più guerre insieme: è una specie di tutti contro tutti, con alleanze che cambiano a seconda dell’opportunità. Per capirci qualcosa di più, e ridimensionare il bombardamento mirato di Stati Uniti, Francia e Regno Unito, abbiamo messo insieme una breve guida su chi sta combattendo la guerra, contro chi e perché.

Regime di Assad
Dall’inizio della guerra, l’esercito di Assad ha combattuto per lo più contro i ribelli, cioè coloro che come primo obiettivo avevano la sconfitta del regime. Nel novembre 2015, prima dell’intervento della Russia, Assad sembrava quasi spacciato: il suo esercito era stato decimato dalla guerra e dalle defezioni e i ribelli, in parte armati e addestrati dagli Stati Uniti e dalla Turchia, tra gli altri, sembravano avere possibilità di consolidare il loro potere in una buona parte del territorio siriano.

La situazione in Siria oggi. La coalizione di Assad è segnata in rosso, i curdi in giallo, i ribelli in verde, l’ISIS in grigio, le Alture del Golan controllate da Israele in viola (Liveuamap)

L’intervento della Russia ha cambiato tutto, ma non è stato l’unico fattore a ribaltare le sorti della guerra. In aiuto di Assad sono arrivati anche Hezbollah, potentissimo gruppo estremista libanese, e l’Iran, che ha mandato in Siria uomini, armi e consiglieri militari, e soprattutto ha messo in piedi decine di milizie sciite formate da palestinesi, pakistani, afghani e iracheni. I soldati di Assad e le milizie sciite si sono resi responsabili di massacri e feroci violenze contro la popolazione civile in aree controllate dai ribelli, per esempio usando la tattica dell’assedio e affamando la popolazione. L’esercito di Assad è stato accusato di avere compiuto molti attacchi chimici (soprattutto con il cloro, ma anche con gas nervini) e di avere incarcerato e torturato sistematicamente gli oppositori. Gli aerei siriani e russi hanno bombardato intensamente obiettivi civili, tra cui cliniche e ospedali, in intere città o quartieri controllati dai ribelli.

Negli ultimi due anni la coalizione di Assad ha combattuto anche contro lo Stato Islamico, per esempio a Palmira (Siria centrale) e nella regione di Deir Ezzor (Siria orientale), ma con intensità e forze notevolmente inferiori a quelle impiegate nella guerra contro i ribelli. L’intenzione di Assad, a detta sua, è quella di riconquistare tutta la Siria pezzo a pezzo, obiettivo che però oggi sembra difficilmente raggiungibile, anche solo per l’estesa presenza dei curdi nel nord est.

Russia
La Russia è intervenuta in Siria nel novembre 2015, con un obiettivo prioritario rispetto a tutti gli altri: salvare il regime di Assad. Per il governo russo i rapporti con la Siria di Assad sono molto importanti per ragioni strategiche: servono a garantire alla Russia il suo unico sblocco sul mar Mediterraneo, grazie alla base navale di Tartus, ma anche per contare sempre di più in Medio Oriente, soprattutto dopo il progressivo disimpegno degli Stati Uniti.

L’impegno della Russia in Siria è stato finora piuttosto oscuro, ma molto efficace. Il governo russo ha sempre negato l’invio di suoi soldati in territorio siriano al di fuori di un limitato contingente di forze speciali, che però avrebbe l’ordine di non partecipare ai combattimenti. Diverse inchieste giornalistiche, tra cui una recente di Reuters, hanno mostrato però che le cose non sono proprio così: in Siria ci sono molti contractor privati russi, mercenari, che però sono trattati come soldati e le cui partenze dalla Russia sono organizzate dallo stato.

L’impatto della Russia sulla guerra tra regime di Assad e ribelli – solo una delle tante guerre siriane – è stato enorme. L’intervento russo, in particolare l’impiego di aerei militari per bombardare le aree occupate dai ribelli, ha contribuito a cambiare le sorti del conflitto. La Russia è diventata così importante che è praticamente impossibile pensare oggi a una tregua o un accordo di pace senza il suo coinvolgimento.

Iran e milizie sciite ed Hezbollah
Negli ultimi tre anni il regime di Assad è riuscito a ribaltare le sorti della guerra contro i ribelli non solo grazie all’intervento della Russia: un contributo decisivo è arrivato anche dall’Iran e dalle milizie sciite che rispondono per lo più al governo iraniano, anch’esso sciita. Queste milizie, accusate di intense violenze contro i loro nemici ma anche contro la popolazione civile, sono state incaricate di guidare le offensive militari di terra contro i ribelli, per esempio ad Aleppo. L’alleanza tra Assad e Iran risale alla Guerra fredda ed è indispensabile ad entrambi i paesi per evitare l’isolamento regionale e internazionale: entrambi inoltre sono alleati di Hezbollah, gruppo estremista libanese che prima di cominciare a combattere a fianco di Assad in Siria era concentrato per lo più nel minacciare Israele e lanciare razzi al di là del confine. Siria di Assad-Iran-Hezbollah formano il cosiddetto “asse sciita” mediorientale.

La coalizione di Assad, in un’infografica del Syria Institute rifatta dal Post

Per molto tempo la presenza dell’Iran in Siria è stata una delle storie meno raccontate della guerra, ma ora le cose stanno cambiando. Con la vittoria di Assad sui ribelli (almeno quelli più moderati) e la quasi totale sconfitta dello Stato Islamico, l’attenzione di molti analisti e giornalisti si sta spostando su ragionamenti di lungo periodo e meno legati alle sorti imminenti della guerra. Uno di questi è proprio la massiccia presenza di consiglieri militari, droni, soldati, e milizie iraniane (o legate all’Iran) in Siria. L’obiettivo dell’Iran in Siria non è solo salvare Assad, ma anche creare una specie di corridoio che colleghi l’Iran al Libano – e quindi le forze militari iraniane a Hezbollah, considerato da molti analisti più potente dello stesso esercito libanese –, in funzione soprattutto anti-israeliana. Finora lo scontro tra Israele e Iran in Siria si è concretizzato in diversi piccoli episodi, ma è stato per lo più limitato. Non è detto che le cose rimarranno così anche in futuro.

Israele
Se da una parte c’è l’Iran, dall’altra c’è Israele. Finora nella guerra in Siria il governo israeliano è stato per lo più a guardare, anche se ha ordinato decine di attacchi mirati contro postazioni e convogli legati a Hezbollah e all’Iran. Ci sono diverse cose da dire su questo punto, però.

Gli israeliani sono rimasti fuori dalla guerra siriana perché negli ultimi anni la Russia aveva garantito loro che avrebbe messo un freno alle ambizioni di Hezbollah in Siria, che è presente soprattutto nella zona vicino al confine con il Libano, e quindi vicino a Israele. Da qualche parte però sono stati fatti male i calcoli e grazie alla guerra Hezbollah è diventata una delle poche forze veramente vincitrici in Siria, così come l’Iran. Da tempo Israele ha affiancato agli attacchi aerei mirati oltre confine un programma di assistenza ai ribelli: un articolo pubblicato dal Wall Street Journal lo scorso giugno sosteneva che il governo israeliano fornisse soldi, armi e munizioni ad alcuni gruppi di ribelli siriani anti-Assad per tenere lontane dal suo confine le milizie sciite alleate al regime di Damasco e vicine all’Iran.

Mappa aggiornata del sud della Siria, che confina a ovest con il Libano e con Israele. La coalizione di Assad, e quindi anche le milizie sciite legate all’Iran ed Hezbollah, è indicata in rosso, i ribelli in verde e le Alture del Golan controllate da Israele in viola (Liveuamap)

Di recente la tensione tra Israele e Iran/Assad ha toccato dei picchi notevoli. A febbraio, per esempio, si è andati vicini all’inizio di una nuova guerra in Siria: nel giro di poche ore Israele ha abbattuto un drone iraniano che era entrato nel suo spazio aereo e la Siria ha abbattuto un F-16 israeliano che aveva appena colpito una base aerea siriana. Solo pochi giorni fa, prima dell’attacco di Stati Uniti, Francia e Regno Unito contro obiettivi militari legati al regime di Assad, Israele ha colpito una base siriana nella provincia di Homs, nella Siria centrale, uccidendo almeno 14 persone, tra cui 4 cittadini iraniani. Il timore, dicono da mesi diversi esperti, è che prima o poi possa iniziare in territorio siriano uno scontro diretto tra Israele e Iran (e alleati dell’Iran), e a quel punto sarebbe complicato frenare l’escalation di violenza.

I “ribelli”, cosiddetti
Da anni l’espressione “ribelli” include centinaia di gruppi diversi, molti dei quali hanno cambiato nome diverse volte, affiliazione, orientamento, si sono uniti in coalizioni e poi divisi, e così via. Dentro alla categoria dei ribelli, che non comprende l’ISIS, ce ne sono alcuni moderati, nel senso che non auspicano la creazione di uno stato radicale islamista in Siria, altri molto estremisti, cioè che predicano il jihad e l’imposizione della sharia (la legge islamica) nella sua interpretazione più intransigente e radicale. Negli ultimi anni di guerra, il primo gruppo di ribelli è diventato sempre più minoritario rispetto al secondo.

Per semplificare molto – ma proprio molto – i gruppi di ribelli da tenere particolarmente d’occhio oggi in Siria sono tre. Nella provincia di Idlib, nel nord ovest della Siria, i due gruppi principali sono entrambi estremisti e si chiamano Hayat Tahrir al Sham e Tanzim Hurras al Deen. Il primo è noto da tempo e fa capo a Abu Muhammad al Julani, uno dei comandanti jihadisti che combattono da più anni in Siria e che fu anche molto vicino ad Abu Bakr al Baghdadi, leader dell’ISIS. Prima di chiamarsi così e di inglobare altri gruppi, Hayat Tahrir al Sham si chiamava Jabhat al Nusra, la divisione siriana di al Qaida. I rapporti tra Julani e al Qaida si interruppero però nell’estate 2016: molti analisti ritennero per un certo periodo che la rottura non fosse effettiva ma solo di facciata, ma col passare del tempo divenne sempre più chiaro che la rottura c’era stata per davvero. L’altro gruppo, Tanzim Hurras al Deen, è nato all’inizio del 2018 dall’insieme di diverse piccole fazioni che volevano ribadire la loro alleanzas con al Qaida e volevano staccarsi da Hayat Tahrir al Sham. Secondo alcuni analisti, tra cui Charles Lister, se si vuole parlare di una minaccia di al Qaida in Siria bisogna guardare proprio qui, al gruppo chiamato Tanzim Hurras al Deen.

Mappa aggiornata del nord della Siria. I vari gruppi ribelli sono indicati in verde: il verde più chiaro è dove si trova la provincia di Idlib, dove sono prevalenti gruppi estremisti e jihadisti, mentre il verde più scuro, in alto,e di indica l’Esercito libero siriano appoggiato dalla Turchia (Liveuamap)

Il terzo gruppo di ribelli è l’Esercito libero siriano, che più che altro è una coalizione formata da gruppetti molto diversi tra loro. Nel corso della guerra in Siria, l’Esercito libero siriano ha subìto una notevole trasformazione: da coalizione formata per destituire Assad e appoggiata dagli Stati Uniti, a forza militare usata dalla Turchia nella sua guerra contro i curdi nel nord della Siria. La trasformazione è avvenuta per diverse ragioni, molte delle quali legate alla debolezza militare ed economica del gruppo: la Turchia ha promesso stipendi ai combattenti e aiuti alle loro famiglie, oltre che la garanzia di sopravvivere, almeno per un altro po’. Sotto il comando della Turchia, l’Esercito libero siriano è diventato una forza militare più compatta ed efficace, ma è stato criticato da molti siriani per avere deciso di combattere quella che è considerata la guerra di altri (cioè della Turchia) e per avere perso di vista il suo obiettivo iniziale, cioè la destituzione di Assad.

Turchia
Per i primi anni di guerra in Siria, la Turchia ha appoggiato e finanziato vari gruppi di ribelli in funzione anti-Assad, con l’obiettivo di instaurare in Siria un regime islamista sunnita, amico di quello turco. Poi, nell’estate 2016, il governo turco ha cambiato strategia, concentrando il suo impegno contro i curdi siriani, che nel nord della Siria avevano conquistato diversi territori sottraendoli all’ISIS. La Turchia sostiene infatti che i curdi siriani siano essenzialmente la stessa cosa dei curdi turchi del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), considerati dal governo turco dei terroristi.

Mappa aggiornata del nord della Siria. L’Esercito libero siriano appoggiato dalla Turchia è indicato in verde scuro (a ovest c’è Afrin), i curdi sono indicati in giallo (nella parte destra si vede anche Manbij), mentre il regime di Assad è indicato in rosso (Liveuamap)

Il primo intervento militare diretto della Turchia in Siria, quello che di fatto ha dato avvio a una nuova guerra ancora in corso, è stato lanciato nell’agosto 2016 contro la città siriana di Jarablus, con l’obiettivo di limitare l’influenza dei curdi. Il secondo intervento è iniziato nel gennaio di quest’anno, quando la Turchia alleata con l’Esercito libero siriano ha attaccato Afrin, città sotto il controllo dei curdi dell’Unità di protezione popolare (nota con la sigla YPG). Per compiere il secondo intervento, il governo turco ha ottenuto l’assenso della Russia, paese che controlla lo spazio aereo in quella zona di Siria, rischiando però di entrare in contrasto con gli Stati Uniti, che in Siria sono alleati con i curdi in funzione anti-ISIS. Non è chiaro che intenzioni abbia ora la Turchia in Siria: negli ultimi mesi ha minacciato più volte di conquistare la città di Manbij, sempre nel nord della Siria, attacco che però potrebbe scatenare la reazione occidentale, in particolare di Stati Uniti e Francia.

Curdi
Da qualche anno i curdi siriani, che la Turchia accusa di essere la stessa cosa dei curdi turchi del PKK, sono per lo più organizzati nelle Forze democratiche siriane (SDF, la sigla in inglese con cui sono più note), formazione appoggiata dagli Stati Uniti che include anche combattenti arabi. Le SDF sono state create per combattere contro l’ISIS e finora si sono dimostrate molto efficaci nella loro azione militare. Con l’appoggio aereo degli Stati Uniti, hanno conquistato diversi territori nel nord e nell’est della Siria prima sotto il controllo dello Stato Islamico. La gestione del dopo-vittoria, però, si sta dimostrando molto complicata, perché spesso le città sottratte all’ISIS sono a maggioranza araba, che non vede di buon occhio un governo dei curdi. A Raqqa, città conquistata dalle SDF ormai sei mesi fa e quasi completamente distrutta dai bombardamenti, soprattutto americani, la ricostruzione non è praticamente mai partita e gli abitanti locali accusano i curdi di non garantire la sicurezza di strade e attività commerciali.

Mappa aggiornata del nord est della Siria. Le SDF e i curdi sono indicati in giallo, il regime di Assad in rosso e quello che rimane dell’ISIS in grigio (Liveuamap)

Il futuro dei curdi, che sono la componente dominante all’interno delle SDF, non è facile da prevedere. Assad si è scontrato poco in maniera diretta e prolungata con i curdi, ma ha detto di voler riconquistare la Siria pezzo a pezzo. La Russia non si è mai messa troppo in mezzo alle operazioni militari condotte dai curdi, anche se ha permesso l’uso dello spazio aereo siriano alla Turchia per attaccare Afrin. Gli Stati Uniti hanno addestrato e finanziato i curdi per combattere contro l’ISIS, ma non è chiaro cosa sceglierebbero se dovessero essere messi con le spalle al muro dalla Turchia, alleato degli americani e membro della NATO. Il punto alla fine è uno solo: al momento nessuno si è detto disposto a sostenere la rivendicazione dei curdi di avere uno stato proprio e non sembra che qualcuno lo farà in futuro.

Stati Uniti
L’intervento degli Stati Uniti in Siria si è concentrato soprattutto sulla guerra contro l’ISIS, iniziata nel settembre 2014. Gli americani hanno dato appoggio ai curdi siriani nel nord e nell’est, hanno colpito le infrastrutture di petrolio usate per finanziare le spese del Califfato e hanno preso di mira importanti leader del gruppo, uccisi con attacchi mirati compiuti da droni. Da questo punto di vista, il passaggio dall’amministrazione di Obama a quella di Trump non ha cambiato molto le cose. Si sa da diverse ricostruzioni giornalistiche che Trump ha dato più poteri ai militari, allentando le regole di ingaggio sul campo e probabilmente accelerando la sconfitta dell’ISIS, ma allo stesso tempo aumentando il numero di vittime civili (i bombardamenti su Raqqa sono stati particolarmente intensi, per esempio). Diversi giorni fa Trump aveva detto di essere pronto a ritirarsi dalla Siria, ma finora non è successo.

Oltre all’intervento contro l’ISIS, gli Stati Uniti avviarono per un periodo un programma segreto condotto dalla CIA e finalizzato ad addestrare i ribelli per combattere Assad. Il programma era gestito insieme alle intelligence di altri paesi arabi anti-Assad e sembra che abbia addestrato e armato 10mila ribelli in tre anni. Il piano, comunque, aveva perso progressivamente di importanza dopo che le sorti della guerra in Siria eranop cominciate a cambiare, con le vittorie militari della coalizione di Assad sui ribelli, ed è stato definitivamente cancellato da Trump nell’estate 2017, parecchio tempo dopo che Stati Uniti ed Europa avevano smesso di parlare della possibilità di un cambio di regime in Siria.

L’intervento degli Stati Uniti contro l’ISIS in Siria non è mai stato paragonabile per risorse, forze e risultati al programma segreto di addestramento dei ribelli anti-Assad. Gli americani hanno abbandonato tempo fa l’idea di destituire Assad: per questo non ha senso oggi parlare dell’attacco mirato della notte tra il 13 e il 14 aprile contro tre obiettivi militari del regime siriano come di un tentativo di cambiare il governo in Siria. E non solo perché l’attacco è durato meno di una notte, confermando che si è trattato solo di una ritorsione per il bombardamento chimico di Assad del 7 aprile a Douma; ma anche perché la strategia degli americani in Siria – sia quella annunciata sia quella mostrata nei fatti – non è compatibile con un’ipotesi di quel tipo.

Stato Islamico (o ISIS)
Nonostante qualche anno fa l’ISIS fosse uno degli attori più forti in Siria, oggi le cose sono radicalmente cambiate. L’ISIS mantiene solo una piccola porzione depersoi territori che controllava tre anni fa: un pezzo al confine con l’Iraq, una piccola sacca vicino a Israele e un pezzo nella Siria orientale, circondato dalla coalizione di Assad. I suoi leader sono stati uccisi negli attacchi mirati compiuti dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi anni e le principali divisioni del gruppo, come quella che si occupa della propaganda, ne sono uscite radicalmente indebolite. Questo non significa però che l’ISIS non sia più una minaccia alla sicurezza della Siria. Nelle città liberate, per esempio, sono rimasti miliziani o collaboratori dell’ISIS nascosti tra la popolazione civile.

La Siria nel giugno 2015, a sinistra, e nel dicembre 2017. Le due mappe mostrano chiaramente l’arretramento dell’ISIS, indicato in grigio, e l’avanzamento del regime di Assad, in rosso, e dei curdi, in verde (mappe di Thomas van Linge, pubblicate sul blog di Pieter Van Ostaeyen)

In pratica l’ISIS ha perso quasi completamente la dimensione pseudo-statale realizzata nel Califfato islamico: è rimasto con una quantità di territori molto modesta, senza il ricambio dei cosiddetti “foreign fighters”, i combattenti stranieri, e senza la stragrande maggioranza dei suoi leader più importanti.