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  • Martedì 14 marzo 2017

La crisi tra Turchia e Paesi Bassi, spiegata

Breve storia di un caso diplomatico che arriva da lontano e riguarda le elezioni olandesi, Geert Wilders, il referendum su Erdoğan e il solito brutto momento dell'UE

Mark Rutte e Recep Tayyip Erdogan durante un incontro a L'Aia (AP Photo/Toussaint Kluiters, Pool)
Mark Rutte e Recep Tayyip Erdogan durante un incontro a L'Aia (AP Photo/Toussaint Kluiters, Pool)

«Loro non sanno niente di politica o di diplomazia internazionale… questi avanzi di nazisti, sono dei fascisti!». Questa frase è stata pronunciata sabato dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan durante un comizio a Istanbul. Erdoğan si stava riferendo ai Paesi Bassi, un paese membro della NATO come la Turchia, dopo che il governo olandese aveva ritirato l’autorizzazione precedentemente concessa al ministro degli Esteri turco di tenere un evento elettorale nella città olandese di Rotterdam. Quello che sembrava solo un litigio tra due paesi alleati è diventato negli ultimi tre giorni un caso diplomatico che sta avendo conseguenze significative e potrebbe dare un colpo quasi definitivo al lungo processo di entrata della Turchia nell’Unione Europea. È diventato un caso perché c’è stata una specie di “tempesta perfetta”, tanti eventi che si sono sovrapposti e hanno creato la crisi che vediamo oggi: c’entrano le elezioni politiche olandesi, che si terranno domani, il referendum sui poteri del presidente in Turchia che si terrà il 16 aprile ma anche la crisi dell’Unione Europea, un’organizzazione che sembra sempre più in difficoltà.

Cosa è successo tra Paesi Bassi e Turchia, dall’inizio
Tutto è iniziato sabato mattina, quando il primo ministro olandese Mark Rutte ha deciso di vietare l’ingresso nel proprio paese al ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Çavuşoğlu avrebbe dovuto partecipare a un evento organizzato dalla comunità turca di Rotterdam a favore del Sì al referendum che deciderà se rafforzare i poteri del presidente turco, una riforma promossa e sponsorizzata dallo stesso Erdoğan. La decisione del governo olandese non è stata la prima di quel tipo: nei giorni precedenti la Germania aveva cancellato alcuni incontri a scopi elettorali tra i membri del governo turco e cittadini turchi residenti in Germania, dopo che altri paesi europei avevano preso misure simili, provocando la reazione furiosa della Turchia. Durante un comizio elettorale tenuto sabato pomeriggio a Istanbul, Erdoğan ha detto, riferendosi ai Paesi Bassi: «Loro non sanno niente di politica o di diplomazia internazionale… questi avanzi di nazisti, sono dei fascisti!».

Da quel momento la situazione è precipitata. Le autorità turche hanno isolato l’ambasciata e il consolato olandese ad Ankara, così come le residenze dell’ambasciatore olandese, del charge d’affaires e del console generale. Lunedì sera il governo turco ha deciso di bloccare il rientro in Turchia dell’ambasciatore olandese, che al momento si trova in viaggio all’estero. Nei Paesi Bassi è stato impedito alla ministra turca per la Famiglia, Fatma Betel Sayan Kaya, di partecipare alla manifestazione di Rotterdam: Kaya è stata tenuta in custodia dalle autorità olandesi e portata fino al confine con la Germania, poi da lì ha preso un volo per tornare in Turchia. La polizia ha anche reagito a una manifestazione filo-turca iniziata di fronte al consolato turco a Rotterdam, dove ci sono stati degli scontri. I due paesi si sono rifiutati di scusarsi reciprocamente, una mossa che forse avrebbe potuto fermare la crisi, e hanno annunciato l’interruzione dei contatti diplomatici di alto livello. Il quotidiano turco Hurriyet ha scritto, citando fonti diplomatiche, che la Turchia ha intenzione di avviare una causa legale contro i Paesi Bassi per la presunta violazione della Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche: la causa sarà presentata di fronte alle Nazioni Unite, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e al Consiglio d’Europa (che non c’entra con l’Unione Europea).

La situazione è peggiorata lunedì, quando alla crisi legata alla manifestazione a Rotterdam si è aggiunto il rifiuto dei Paesi Bassi di estradare in Turchia alcuni membri del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che da decenni combatte in Turchia per la creazione di uno stato turco e che è considerato da Ankara un partito fuorilegge) e del DHKP-C (il Fronte rivoluzionario liberazione popolare, un partito di estrema sinistra considerato terrorista anche da Unione Europea e Stati Uniti). Il ministro della Giustizia turco ha commentato la decisione del governo olandese dicendo che nei Paesi Bassi queste organizzazioni terroristiche sono libere di operare e diffondere la loro propaganda. Martedì mattina Erdoğan ha mostrato di non avere alcuna intenzione di abbassare i toni. Ha tirato in ballo il ruolo che gli olandesi ebbero durante il massacro di Srebrenica, in Bosnia Erzegovina, quando nel giro di 72 ore furono uccisi più di 8mila bosniaci musulmani dalle milizie serbo-bosniache. A difesa della popolazione musulmana c’erano anche i soldati ONU olandesi, che però non furono in grado di fermare il massacro. Erdoğan, riferendosi a quell’episodio, ha accusato gli olandesi di avere «un’indole senza alcuna morale».

Perché si è arrivati fin qui
Le tensioni diplomatiche tra due paesi alleati non sono una cosa rara nella politica internazionale, ma solitamente i governi coinvolti trovano un modo per ricomporre il litigio e non fare troppo chiasso. Non è stato così nel caso di Turchia e Paesi Bassi. C’entrano tre cose ugualmente importanti.

1. Le elezioni olandesi
Nei Paesi Bassi si vota domani, mercoledì 15 marzo, e mai nella storia recente del paese c’era stata tanta attenzione sui possibili esiti del voto. Negli ultimi mesi nei Paesi Bassi c’è stata una crescita molto significativa dei consensi per il Partito per la libertà (PVV), movimento xenofobo ed euroscettico guidato da Geert Wilders. Il PVV, che occupa 15 seggi in Parlamento, potrebbe diventare il primo o il secondo partito a livello nazionale, un risultato impensabile fino a qualche anno fa. Come sta succedendo in altri paesi europei, l’emergere di partiti di estrema destra non è rilevante solo per l’esito finale delle elezioni: i leader di questi partiti hanno imposto nel dibattito pubblico alcuni temi oggi molto popolari che prima erano trattati solo marginalmente o comunque non con toni davvero radicali dai principali partiti, come l’immigrazione, in particolare quella proveniente da paesi islamici. Nel dibattito sono state coinvolte anche le altre forze politiche, che spesso per non rimanere indietro, diciamo così, hanno adottato posizioni più estremiste di quelle che avrebbero probabilmente preso in altre circostanze.

In molti credono che il primo ministro olandese Mark Rutte abbia deciso di vietare la manifestazione a Rotterdam per non perdere terreno rispetto a Wilders, che si è mostrato fin da subito contrario ad ospitare in territorio olandese una manifestazione elettorale di un paese straniero, per lo più islamico. Rutte è il leader del partito che guida l’attuale coalizione di governo, il Partito popolare per la libertà e la democrazia (VVD), di centrodestra ed europeista: il VVD sta cercando di recuperare i consensi tra gli elettori di destra e di recente ha alzato molto i toni sul tema dell’immigrazione.

2. Il referendum in Turchia
Il 16 aprile in Turchia si terrà il referendum confermativo su una legge che Erdoğan sta cercando di far passare da anni. Se dovesse vincere il Sì, posizione sostenuta dal governo, al presidente turco verrebbero dati molti più poteri di quelli che già possiede e la Turchia si trasformerebbe di fatto in un sistema presidenziale, e secondo alcuni autoritario. L’unico modo per capire il comportamento della Turchia nella crisi con i Paesi Bassi – e il motivo di una tale escalation – è tenere a mente quanto questo referendum sia importante per Erdoğan e per il suo futuro come capo praticamente incontrastato della Turchia (e ricordare che solo pochi mesi fa Erdoğan ha superato un tentato colpo di stato).

Nelle ultime settimane il governo turco ha organizzato diverse manifestazioni elettorali in Europa per convincere le persone con doppia nazionalità – per esempio turca-olandese, turca-tedesca, turca-francese – a votare Sì al referendum di aprile. Si stima che nei Paesi Bassi vivano circa 400mila turchi, molti dei quali hanno doppia nazionalità e quindi diritto di voto in Turchia. Ma non c’è solo questo. Secondo alcuni analisti Erdoğan starebbe alimentando le polemiche con diversi paesi europei per due motivi. Primo, perché i movimenti turchi in Europa che appoggiano Erdoğan sono molto vicini al più grande partito nazionalista presente in Turchia, il Partito del movimento nazionalista (MHP); l’MHP è sempre stato piuttosto diffidente nei confronti di Erdoğan, ma da un po’ di tempo le cose sono cambiate e oggi la sua leadership è favorevole a dare al presidente più poteri. Non tutti però sono d’accordo e i recenti toni aggressivi di Erdoğan potrebbero avere avuto come obiettivo principale il compattamento dell’MHP attorno al Sì al referendum. Il secondo motivo è legato al fatto che in politica individuare un nemico in tempi di campagna elettorale funziona sempre, e funziona ancora di più in un paese come la Turchia abituato ad avere a che fare con storie di complotti e poteri oscuri. Erdoğan aveva già usato ampiamente questa tattica per le elezioni parlamentari del 2015, quando aveva riaperto il conflitto con i curdi del PKK dopo una lunga tregua, e ha continuato a usarla negli ultimi anni, accusando costantemente il suo avversario Fethullah Gülen di tramare un colpo di stato contro di lui. Ora il nuovo nemico è diventato l’Europa.

3. La debolezza dell’Europa e le tensioni con la Turchia
Non è proprio una notizia di oggi che l’Unione Europea non stia passando uno dei suoi migliori momenti. La debolezza delle istituzioni europee si è sovrapposta ad alcune grandi crisi che avrebbero messo sotto pressione anche un’organizzazione più solida e funzionante. Tra le crisi più significative per l’Europa degli ultimi anni ci sono state l’aumento dei flussi migratori e la rinnovata aggressività della Russia sui confini europei orientali e in altre zone del mondo. In entrambe queste crisi si è inserita la Turchia. Nel novembre 2015 il governo turco ha firmato un importante accordo con l’Unione Europea per gestire l’immigrazione proveniente dal Medio Oriente e diretta verso l’Europa tramite la cosiddetta “rotta balcanica”. Oggi la Turchia minaccia di stracciare l’accordo in risposta al caso di Rotterdam e agli altri episodi simili accaduti nel corso dell’ultima settimana in diversi paesi europei. Il governo turco sta anche rivalutando il suo sistema di alleanze internazionali: negli ultimi mesi, e in particolare dopo il fallito colpo di stato contro Erdoğan, la Turchia si è riavvicinata progressivamente alla Russia prendendo posizioni in contrasto con le politiche della NATO (in particolare degli Stati Uniti, che sono i leader indiscussi dell’alleanza).

Tutti questi episodi hanno inevitabilmente aumentato la diffidenza tra Unione Europea e Turchia e hanno allontanato la possibilità che il processo per far entrare la Turchia nella UE possa andare avanti regolarmente, almeno in tempi relativamente brevi. Allo stesso tempo la debolezza delle istituzioni europee, condizionata anche dall’azione dei partiti euroscettici come quello di Wilders, sta impedendo alle istituzioni europee di fare bene il loro lavoro: fermare sul nascere una crisi diplomatica di questo tipo, tra un paese membro e un altro che avrebbe dovuto diventarlo presto.