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  • Martedì 11 ottobre 2016

L’autodistruzione di Donald Trump

I primi sondaggi realizzati dopo il video sulle donne e il dibattito sono terribili, lui promette di scatenarsi e intanto passa le giornate insultando il suo partito su Twitter

(Jessica Kourkounis/Getty Images)
(Jessica Kourkounis/Getty Images)

La situazione per Donald Trump, il controverso imprenditore candidato del Partito Repubblicano alla presidenza americana, è tornata molto critica dopo che sembrava essersi quantomeno stabilizzata in seguito al dibattito con Hillary Clinton del 9 ottobre. La campagna elettorale di Trump ha di nuovo un mucchio di problemi, tornati evidenti dopo la diffusione di un video del 2005 in cui Trump dice cose sessiste e si vanta di molestare le donne, e le sue conseguenze.

Subito dopo la diffusione del video decine di parlamentari Repubblicani avevano ritirato il loro sostegno a Trump. Lunedì Paul Ryan, speaker della Camera, Repubblicano più alto in grado al Congresso e politico molto stimato a Washington, ha fatto sapere che non farà più campagna elettorale con Trump né lo difenderà pubblicamente. I giornalisti politici americani più informati sulla campagna elettorale stanno spiegando che il partito Repubblicano sta scivolando “nell’anarchia”, ed è sempre più diviso fra quelli disposti a rimanere con Trump fino alla fine – non fosse altro che per non inimicarsi la base del partito, che continua a sostenerlo – e quelli che hanno deciso di mollarlo o stanno per farlo.

In tutto questo, il primo sondaggio affidabile realizzato dopo la diffusione del video e il dibattito di domenica mostra Trump intorno al 35 per cento – pochissimo in una corsa con solo due forti candidati – e ben 11 punti dietro Clinton. Non è finita: secondo diverse voci che circolano sui media statunitensi, nei prossimi giorni potrebbero essere diffusi altri video che mostrano Trump fare o dire cose disdicevoli (questo fra l’altro potrebbe convincere il capo della sua campagna elettorale e responsabile della sua rimonta di settembre, Kellyanne Conway, a mollarlo definitivamente: una fonte di NBC News ha implicato che Conway ha valutato di dimettersi, dopo la diffusione del video).

Dentro al partito
Detto che l’ipotesi di una sostituzione in corsa di Trump è a questo punto irrealizzabile, in queste ore nel Partito Repubblicano in molti si stanno chiedendo quale sia la soluzione migliore: scaricare politicamente Trump adesso rischiando di indispettire i suoi elettori – ha vinto nettamente le primarie e i sondaggi dicono che la base del partito è ancora in maggioranza dalla sua parte – o restare con lui, rendersi in qualche modo complici dei suoi disastri e offrire per anni un efficace argomento politico al Partito Democratico. Per il momento, secondo Politico, Ryan ha fatto questo ragionamento:

Molti dei suoi collaboratori raccontano che se fosse stato per lui, avrebbe scaricato Trump. Ma Ryan, che è visto come uno dei potenziali candidati del partito alle elezioni del 2020, ha retto il colpo, nonostante nel lungo termine mollare Trump a questo punto avrebbe potuto offrire dei vantaggi. Se Ryan ritira il suo endorsement a Trump, la base del partito potrebbe decidere di ribellarsi o di stare a casa l’8 novembre, danneggiando anche le possibilità dei candidati Repubblicani al Congresso [l’8 novembre non si voterà solo per il presidente, ma anche per rieleggere tutti i seggi della Camera e un terzo del Senato]. In più, in alcuni collegi particolarmente Repubblicani, gli elettori vogliono che il partito si stringa attorno a Trump a prescindere da cosa succeda.

Politico racconta che in vista del secondo dibattito Ryan aveva deciso di dare a Trump una specie di ultima possibilità: Trump avrebbe dovuto mostrarsi genuinamente pentito per il contenuto del video e incline a guadagnarsi i voti degli elettori più ragionevoli e indipendenti, e non solo di quelli che sono già convinti di votarlo. È andata come è andata: Trump ha passato gran parte del dibattito ad attaccare personalmente Clinton, arrivando persino a minacciare di metterla in prigione e lasciando pochissimo spazio alle “cose concrete”. Quando lo ha fatto, ha combinato dei guai: come quando sul coinvolgimento della Russia in Siria si è dissociato dall’opinione del suo candidato vicepresidente Mike Pence e della stragrande maggioranza dei Repubblicani.

Nonostante i commenti cautamente positivi di giornalisti e osservatori, molti dirigenti del partito si sono convinti che durante il dibattito Trump «abbia fallito nel raggiungere i suoi obiettivi, e anzi aveva deciso di trascinare a fondo il partito con sé», come scrive Politico: invece che cercare di convincere nuovi elettori ha pensato a fomentare quelli che hanno già deciso di votare per lui, rendendo più complicata la vita dei Repubblicani che stavano decidendo se scaricarlo o no. Poche ore dopo la fine del dibattito, Ryan ha convocato una conference call con i leader Repubblicani del Congresso per comunicare la sua decisione, che è una specie di compromesso fra le due posizioni più estreme – mollare Trump subito o rimanere con lui a qualsiasi condizione – entrambe rappresentate nella conference call: Ryan ha di fatto ritirato il suo sostegno concreto a Trump, senza però ritirare il suo tiepido sostegno politico.

Diverse fonti vicine a Ryan hanno detto che questa situazione potrebbe cambiare ancora: in caso di nuovi scandali, insomma, Ryan mollerà completamente Trump suggerendo probabilmente agli elettori di votare «secondo coscienza» (una formula un po’ criptica che aveva già usato Ted Cruz durante il suo discorso alla convention dei Repubblicani, cosa che gli attirò un sacco di fischi). Per il momento, una portavoce di Ryan ha spiegato al New York Times che «lo speaker si concentrerà solamente sul proteggere la maggioranza dei Repubblicani nelle due camere». Il problema, per Ryan, è che comunque manca meno di un mese alle elezioni: scaricare Trump all’ultimo secondo, quando appare avviato verso una sconfitta, non lo assolverà dalla responsabilità politica di averlo sostenuto come candidato. Il rischio è fare arrabbiare sia gli anti-Trump che i filo-Trump, insomma.

Trump, comunque, ha reagito alla Trump: attaccando pesantemente Paul Ryan su Twitter, invitandolo a non «sprecare tempo opponendosi al candidato presidente» e definendolo «debole e incapace». Subito dopo ha detto di essere contento di poter fare campagna elettorale finalmente «senza briglie» e poter «lottare per l’America come piace a me».

«Paul Ryan dovrebbe concentrarsi di più sul budget, sul lavoro e sull’immigrazione clandestina, e non sprecare il suo tempo opponendosi al candidato presidente»

«Il nostro leader debole e incapace, Paul Ryan, ha avuto una cattiva conference call in cui i membri [del partito] si sono ribellati alla sua slealtà»

Ma non tutto il partito è sulle posizioni di Ryan o dei Repubblicani di seconda e terza fascia – oltre ai suoi avversari “storici” come John McCain e John Kasich – che in questi giorni hanno mollato Trump (qui c’è un articolo del New York Times che tiene conto di quelli che hanno detto che si sono dissociati da lui, con un contatore: a oggi sono 160). Il sostenitore di Trump con l’incarico più importante nel partito è Reince Priebus, presidente dei Repubblicani. Priebus è uno dei pochi dirigenti Repubblicani ad avere da mesi un canale aperto con Trump: è stato l’unico dirigente del partito a essere rimasto fisicamente vicino a Trump nei giorni successivi alla diffusione del video, durante i quali Trump si è “rintanato” nel suo ufficio nella Trump Tower. A giugno, in uno dei tanti momenti in cui la sua candidatura sembrava traballante, lo aveva difeso pubblicamente, cosa che sta facendo anche in queste ore. In una conference call separata da quella di Ryan con vari dirigenti del partito, Priebus ha insistito che «non è cambiato nulla» nella relazione fra il partito e la campagna elettorale, che è «ottima».

La divisione fra Priebus e Ryan, che vengono entrambi dal Wisconsin e sono sempre stati dalla stessa parte, potrebbe creare ulteriori problemi nel partito. Il deputato californiano Dana Rohrabacher ha definito dei «codardi» i Repubblicani che stanno lasciando Trump. Judd Gregg, ex senatore e governatore Repubblicano del New Hampshire, ha detto al Washington Post: «in questo momento [nel partito] ciascuno o ciascuna può contare solo su se stesso». Trump intanto sta continuando a scrivere su Twitter cose contro Ryan e i Repubblicani:

«Con l’eccezione di aver fatto fuori Bernie con l’inganno [Sanders], i Democratici sono sempre stati più leali gli uni verso gli altri rispetto ai Repubblicani!»

Nuovi guai?
È possibile che da qui a novembre la campagna di Trump sia coinvolta in nuovi scandali. In queste ore per esempio sta circolando la voce che in un vecchio video del programma tv di Trump, The Apprentice, lo si senta pronunciare la parola nigger: un’espressione particolarmente offensiva per definire un afroamericano che per la sua gravità negli Stati Uniti viene spesso chiamata “la parola che inizia con la n”. Una fonte ha detto a BuzzFeed che Mark Burnett, produttore di The Apprentice e amico personale di Trump, abbia minacciato lo staff del programma di fare causa a chiunque faccia trapelare un video che potrebbe creare imbarazzo alla campagna.

Poi c’è il caso di Kellyanne Conway, che secondo molti è stata l’unico capo della campagna elettorale di Trump a riuscire a metterlo davvero “in riga”, ed è merito suo se Trump a settembre aveva rimontato nei sondaggi. NBC News ha scritto che, secondo una sua fonte, Conway «è una cattolica praticante e sa di avere dei figli» e per questo ha valutato di lasciare il comitato. Conway ha smentito ma in un’intervista con MSNBC subito dopo il dibattito è sembrata lasciare aperta la possibilità di mollare Trump («rimarrò con la campagna fino alla fine, a meno che… A meno che, chi lo sa»).

Che farà?
Per il momento nulla lascia pensare che Trump abbia intenzione di cambiare strategia, anzi: e l’impressione di molti è che un nuovo scandalo paragonabile a quello del video del 2005 potrebbe convincere altri elettori Repubblicani a lasciarlo perdere, o più semplicemente quelli ancora indecisi a non votarlo. Sia durante il dibattito sia nei comizi dei giorni successivi, Trump si è rivolto solamente ai suoi sostenitori, continuando ad attaccare Clinton – per esempio ha detto che nel caso di nuovi scandali attaccherà di nuovo Bill Clinton – e toccando gli stessi argomenti di sempre. Nate Silver, giornalista, statistico e capo del sito FiveThirtyEight, ha fatto notare che puntare esclusivamente sul proprio “zoccolo duro” di elettori è una buona strategia per vincere le primarie e perdere le elezioni vere.