Chi combatte chi in Siria, e perché
Dopo i bombardamenti russi la guerra in Siria è diventata ancora più complicata e ingarbugliata: un ripasso da capo, per chi si è perso per strada
Mercoledì la Russia ha compiuto i suoi primi bombardamenti in Siria. Il presidente russo Vladimir Putin ha giustificato l’intervento dicendo che la Russia ha agito «preventivamente, per combattere e distruggere i militanti e i terroristi nei territori che hanno già occupato, e non aspettare che vengano a casa nostra». La Russia ha detto di aver colpito alcune postazioni dello Stato Islamico (o ISIS), ma alcuni video pubblicati online sembrano smentire questa versione: gli Stati Uniti hanno protestato molto e sostengono che gli attacchi abbiano colpito alcuni ribelli appoggiati dall’amministrazione americana. I ribelli hanno minacciato di far saltare qualsiasi tipo di negoziato sulla guerra in Siria e al momento la persona che sembra avere più beneficiato da tutta questa situazione è il presidente siriano Bashar al Assad, il cui regime è il principale responsabile della crisi dei profughi che sta coinvolgendo da mesi molti paesi europei.
In pratica: se la situazione in Siria sembrava prima complicata e quasi irrisolvibile, dopo l’intervento russo sembra lo sia ancora di più. Per capire qualcosa di quello che sta succedendo vale la pena tenere a mente che in Siria stanno combattendo diversi gruppi e i fronti di guerra sono molti: c’è il regime di Assad che combatte contro i ribelli moderati, contro i gruppi jihadisti, tra cui al Qaida, e in misura minore contro l’ISIS. I ribelli moderati combattono contro il regime di Assad e contro l’ISIS, e a seconda dell’opportunità combattono contro o si alleano con i gruppi jihadisti. E soprattutto vale la pena ripartire da capo e capire quali stati esterni sono intervenuti in Siria e contro chi combattono, e perché.
Stati Uniti
Appoggiano i ribelli anti-Assad più moderati, anche se non ne sono rimasti molti. Hanno individuato come loro nemico principale l’ISIS, che bombardano – non con grande intensità, per la verità – sia in Siria che in Iraq. Diversi mesi fa hanno avviato un piano per l’addestramento di alcuni ribelli finalizzato a sconfiggere l’ISIS, spendendo diversi milioni di dollari: finora con risultati più che deludenti. Gli Stati Uniti si oppongono anche al regime di Bashar al Assad, ma non tanto quanto si oppongono all’ISIS. In passato, oltre all’ISIS, gli aerei da guerra americani hanno colpito in Siria anche il cosiddetto “gruppo Khorasan”, una cellula di al Qaida incaricata di pianificare obiettivi terroristici all’estero.
Francia
Appoggia i ribelli più moderati, tra cui i curdi nel nord-est della Siria. Si oppone all’ISIS, ad altri gruppi jihadisti e ad Assad, ma come gli Stati Uniti bombarda solo il primo. Gli attacchi aerei francesi in Siria sono cominciati solo pochi giorni fa: fino ad allora la Francia era stata molto riluttante a intervenire in Siria – mentre in Iraq aveva già cominciato da tempo – anche per paura di rafforzare indirettamente il regime di Assad. Diversi analisti dicono che le ragioni dell’intervento francese sono due: una reazione ai recenti attacchi terroristici compiuti da alcuni simpatizzanti dell’ISIS in territorio francese e il timore di essere messi da parte quando ci sarà da negoziare il futuro della Siria. A differenza di altri paesi europei, la Francia ha continuato a mantenere una certa autonomia dagli Stati Uniti in politica estera e l’interventismo non è una cosa così strana per la politica francese.
Russia
Appoggia il regime di Bashar al Assad, che è l’unico importante alleato del governo russo in Medio Oriente. Giustifica il suo intervento nella guerra in Siria come mossa preventiva contro l’ISIS, ma i suoi primi bombardamenti hanno colpito tre province siriane – Homs, Hama e Latakia – in cui l’ISIS non è presente. Diversi analisti credono che i veri obiettivi di Putin siano gruppi ribelli che stanno contendendo ad Assad il controllo delle zone della Siria ancora sotto il controllo governativo, soprattutto nell’ovest. Già nelle ultime settimane la Russia aveva mandato diversi aerei da guerra e rafforzato la sua presenza in una base militare a Latakia, città costiera siriana saldamente sotto il controllo di Assad.
Iran
È l’unico alleato del regime di Bashar al Assad in Medio Oriente, da alcuni decenni. Dall’inizio della guerra, nel 2011, fornisce soldi, armi e invia consiglieri militari al governo siriano. Nella primavera di quest’anno ha combattuto attivamente l’ISIS in Iraq a fianco dell’esercito iracheno ma senza un reale coordinamento con la coalizione anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti (Iran e Stati Uniti sono nemici): lo ha fatto con alcuni uomini ma soprattutto con diverse milizie sciite irachene sotto il suo controllo. In Siria ha agito soprattutto tramite Hezbollah, gruppo sciita libanese che si oppone tradizionalmente a Israele. I militanti di Hezbollah hanno aiutato Assad a riconquistare alcuni territori vicino al confine libanese, cioè nella Siria occidentale, considerata una roccaforte del regime di Assad.
Turchia
I suoi nemici principali sono due: il regime di Bashar al Assad e i curdi alleati con il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che per anni ha agito contro il governo soprattutto nella Turchia meridionale. Le posizioni della Turchia nella guerra contro l’ISIS sono state molto discusse: per diverso tempo la Turchia – che è membro della NATO – ha appoggiato formalmente l’azione della coalizione anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti, ma poco altro. Non ha concesso le sue basi agli aerei da guerra americani e non ha fatto quasi nulla per rendere il suo confine con la Siria meno “poroso”, permettendo per esempio a molti “foreign fighters” di unirsi all’ISIS e ad altri gruppi jihadisti che combattono contro Assad. Dopo l’attacco terroristico nella città turca di Suruc rivendicato dall’ISIS, lo scorso luglio, la Turchia ha cambiato atteggiamento: ha compiuto qualche attacco contro l’ISIS al confine siriano e ha concesso l’uso delle sue basi agli americani. Ma i suoi obiettivi non sono cambiati: la priorità rimane la caduta di Assad e non la sconfitta dell’ISIS.
Arabia Saudita
Appoggia i ribelli che combattono contro Assad – non fa tanta differenza tra ribelli più e meno moderati – e da circa un anno ha cominciato a bombardare l’ISIS in Siria all’interno della coalizione guidata dagli Stati Uniti. A differenza di quello che si dice ogni tanto, non appoggia né finanzia l’ISIS. La sua priorità, comunque, è la caduta del regime di Assad: Assad è il principale alleato dell’Iran in Medio Oriente, e l’Iran è il principale nemico dell’Arabia Saudita. Il ministro degli Esteri saudita, Adel al Jubeir, ha detto martedì che il suo paese non accetterà alcuna soluzione alla guerra in Siria che preveda Assad ancora al potere, come invece propone la Russia. I sauditi sono anche disposti ad aumentare i finanziamenti e la fornitura di armi ai ribelli che combattono Assad.
Israele
Formalmente Israele non è coinvolto nella guerra in Siria, nonostante condivida con la Siria una parte di confine sulle contese Alture del Golan e quindi sia interessato alla generale instabilità causata dalla guerra. Di fatto da diverso tempo Israele compie bombardamenti occasionali contro alcune postazioni dell’esercito siriano. La situazione è piuttosto complicata: in un recente incontro con Putin, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele non è né a favore né contro Assad. Il problema principale degli israeliani riguarda le attività del gruppo libanese Hezbollah, che oltre a combattere a fianco ad Assad nella guerra in Siria da molti anni lancia dei razzi dal sud del Libano per colpire obiettivi nel nord di Israele. Israele sembra interessato alle attività del governo di Assad nella misura in cui queste stesse attività possano rafforzare Hezbollah in Siria. L’Economist scrive che Netanyahu e Putin hanno trovato una specie di accordo: nonostante il loro intervento in Siria, i russi non metteranno in pericolo gli interessi strategici israeliani in Siria; in cambio gli israeliani hanno assicurato che non interverranno per rimuovere Assad dal potere.
Qatar
Sostiene soprattutto finanziariamente i ribelli che combattono contro Assad, senza farsi troppi problemi di quanto siano moderati. Il New York Times ha scritto che nel 2013 ha fornito ai ribelli dei missili terra-aria, ignorando le preoccupazioni americane che di quelle armi potessero impadronirsi i gruppi jihadisti o terroristi. Anche gli altri paesi del Golfo Persico hanno assunto una posizione simile a quella del Qatar. L’obiettivo principale per tutti loro, come per l’Arabia Saudita, è la caduta del regime di Assad.
Regno Unito
Si oppone all’ISIS, ad altri gruppi jihadisti e ad Assad e sostiene i ribelli più moderati. Finora però i bombardamenti britannici si sono limitati a colpire l’ISIS in Iraq, anche se di recente il Regno Unito ha condotto un’operazione militare in Siria con dei droni uccidendo due cittadini britannici che si erano uniti all’ISIS.