È cominciata la ripresa in Europa

Lo dice l'Economist, citando le stime di crescita dei primi tre mesi del 2015: ma ci sono ancora dei fattori di rischio e l'Italia non sta andando troppo bene

Alcuni leader dei paesi europei di fronte al Cloth Hall a Ypres, in Belgio, il 26 giugno 2014. (AP Photo/Michel Euler)
Alcuni leader dei paesi europei di fronte al Cloth Hall a Ypres, in Belgio, il 26 giugno 2014. (AP Photo/Michel Euler)

L’economia europea sta ritornando a crescere. Secondo le stime sul primo trimestre 2015 pubblicate questa settimana, l’eurozona è cresciuta dello 0,4 per cento, la stessa cifra dell’Europa a 28. I dati sono positivi anche prendendo in esame le singole economie europee: la Spagna è cresciuta dello 0,9 per cento, la Francia dello 0,6, mentre Italia, Germania e Regno Unito dello 0,3 per cento (Finlandia e Lituania sono gli unici due paesi in cui l’economia non cresce). Il settimanale Economist ha cercato di spiegare come mai l’economia sembra essere finalmente uscita dalla crisi e quali sono i rischi che potrebbe ancora incontrare l’Europa.

La prima cosa di cui tenere conto, scrive l’Economist, è un insieme di fattori “esterni” all’operato dei singoli governi. Ad esempio, il crollo del prezzo del petrolio ha permesso alle famiglie di risparmiare sui costi dell’energia e del carburante e quindi di aumentare le spese in altri settori: «Il calo nel prezzo del petrolio sta avendo un effetto simile a un taglio di tasse nell’aumentare la domanda». Anche il deprezzamento dell’euro, che ha perso il 12 per cento del suo valore nei confronti del dollaro nel corso del 2014, ha aiutato le economie europee, rendendo più convenienti le esportazioni.

L’euro si è deprezzato perché i mercati hanno anticipato gli effetti del Quantitive Easing della Banca Centrale Europea, un’operazione in cui, dallo scorso marzo, la BCE ha iniziato a comprare 60 miliardi di titoli e obbligazioni immettendo così una grosso liquidità nell’economia europea (semplificando molto: più euro in circolazione significa che gli euro valgono meno e quindi si deprezzano). È una situazione che diversi esperti e giornalisti hanno definito una “finestra di opportunità”, cioè un momento fortunato in cui una serie di stimoli esterni hanno aiutato i singoli governi europei ad implementare le riforme che rimetteranno in moto la crescita.

Il problema, come fa notare l’Economist, è che questa finestra rischia già di socchiudersi. Il prezzo del petrolio è ritornato a salire negli ultimi mesi, arrivando intorno ai 60 dollari al barile dopo essere sceso fino a 40, cifre comunque molto lontane dai più di cento dollari di metà 2014. Anche l’euro ha smesso di deprezzarsi e anzi ha recuperato un po’ di valore rispetto al dollaro. Nel frattempo la disoccupazione in Europa rimane alta, intorno al 11,3 per cento, e l’economia resta fragile: il 2 per cento più piccola di come era all’inizio del 2008 prima della crisi. Per fare un paragone: quella americana oggi è cresciuta del 9 per cento rispetto al picco pre-crisi. A questo, infine, bisogna aggiungere i rischi di un’uscita della Grecia dall’euro che, anche se non dannosa come in passato, potrebbe comunque di danneggiare la ripresa.

Il punto sembra quindi essere quello di individuare quei paesi che hanno sfruttato e sfrutteranno la possibilità offerta dalla finestra di opportunità per generare una ripresa duratura. L’Italia non sembra essere messa troppo bene. Con una crescita dello 0,3 per cento l’Italia è sotto la media europea e dietro Francia e Spagna. Inoltre la “ripresa” italiana fino ad ora non è stata accompagnata da una crescita dell’occupazione (anzi: da dicembre a marzo l’Italia ha perso 100 mila posti di lavoro), cosa che ha considerevolmente limitato l’impatto della crescita economica sul benessere quotidiano di molte famiglie. In altre parole, come ha scritto l’Economist, in Europa ci sono segnali buoni, ma «è presto per cantare vittoria» e questo, hanno fatto notare molti altri, è due volte vero per l’Italia.