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  • Lunedì 27 ottobre 2014

I malati mentali che vogliono entrare alla Casa Bianca

La madre di un uomo che si suicidò dopo aver sviluppato una convinzione patologica di dover parlare con il Presidente degli Stati Uniti commenta i recenti tentativi di intrusione

di Dottie Pacharis

WASHINGTON, DC - OCTOBER 23: A member of the US Secret Service stands guard in front of White House October 23, 2014 in Washington, DC. Last evening Dominic Adesanya, 23, of Bel Air, Maryland jumped over the two layers of security fence and onto the north lawn of the White House before he was subdued as he fought two police dogs. (Photo by Mark Wilson/Getty Images)
WASHINGTON, DC - OCTOBER 23: A member of the US Secret Service stands guard in front of White House October 23, 2014 in Washington, DC. Last evening Dominic Adesanya, 23, of Bel Air, Maryland jumped over the two layers of security fence and onto the north lawn of the White House before he was subdued as he fought two police dogs. (Photo by Mark Wilson/Getty Images)

Dottie Pacharis è un’ex avvocato di uno studio legale a Washington, e autrice di un libro intitolato “Mind on the Run: A Bipolar Chronicle“. Suo figlio è stato per 13 anni affetto da un disturbo bipolare del comportamento: questo l’ha fatta diventare un’attivista a favore delle cure per i malati mentali, portandola a occuparsi soprattutto delle decisioni di stati e governi riguardo il ricovero dei malati. Il Washington Post le ha chiesto di raccontare la sua esperienza dopo i recenti casi di persone che hanno cercato di introdursi alla Casa Bianca in condizioni psicologiche evidentemente disturbate. 

Mio figlio grande soffriva di un forte disturbo bipolare. Ebbe il suo primo episodio maniacale nel gennaio del 1994: nel tempo diventò psicotico, paranoico e perse il contatto con la realtà. Sviluppò una fissazione malsana per il presidente degli Stati Uniti e tentò più volte di entrare alla Casa Bianca pensando di avere degli incontri programmati con il presidente Bill Clinton.

Lui però non pensava ci fosse qualcosa che non andava. Ci volle un’aggressione a un poliziotto per farlo internare. Passò il suo ventisettesimo compleanno in una cella imbottita di un istituto psichiatrico in un ospedale della Virginia. Gli fu diagnosticato un disturbo bipolare e fu trasferito in un ospedale psichiatrico dove, dopo sei settimane di ricovero forzato e terapie obbligatorie, si riprese e tornò alla sua vita. Sei anni dopo, quando smise di prendere le medicine, ebbe un secondo episodio psicotico, fissandosi questa volta sul presidente George W. Bush. Sosteneva di avere importantissime informazioni per entrambi i presidenti e che doveva condividerle con loro. Come nel caso dei due uomini sospettati di aver scavalcato la cancellata della Casa Bianca questo mese, Dominic Adesayana e Omar Gonzalez, la sua malattia lo portò fino a lì.

Dopo l’11 settembre, mio figlio disse che aveva ottenuto un lasciapassare di sicurezza top secret alla Casa Bianca, che l’FBI gli aveva procurato un permesso speciale per avere armi e che stava esercitando il suo diritto costituzionale a comprare una pistola. Alcuni giorni dopo si presentò alla Casa Bianca e disse al Secret Service, l’agenzia federale che si occupa principalmente della protezione delle più alte cariche dello stato, che si trovava lì per un appuntamento con Bush. Cominciai a preoccuparmi davvero per la sua sicurezza e quella degli altri. Cosa gli avrebbe fatto il Secret Service se lo avesse incontrato? Erano addestrati a riconoscere la differenza tra un terrorista e una persona con una malattia mentale?

Così nel gennaio del 2002 chiamai il Secret Service e dissi loro della malattia mentale di mio figlio. Al telefono con un agente, descrissi la sua ossessione per Bush e i suoi numerosi tentativi di entrare alla Casa Bianca, e gli spiegai la mia preoccupazione per la sua sicurezza. L’agente, che fu comprensivo, controllò sui registri e mi disse che mio figlio non era nella lista delle persone pericolose, il che voleva dire che aveva sempre lasciato l’area vicina alla Casa Bianca quando gli veniva chiesto di farlo. La mia seconda domanda fu: «Cosa succede se la prossima volta si rifiuta di andare via e si mette a correre verso il cancello della Casa Bianca?».

Molte delle persone che tentano di entrare alla Casa Bianca senza permesso, mi disse, soffrono di malattie mentali. Nonostante ciò, il lavoro del Secret Service è proteggere il presidente e i suoi colleghi hanno giurato di farlo a qualsiasi costo, mi disse. Quindi gli agenti gli sparerebbero inizialmente con dei proiettili di gomma. Se questo non lo fermasse, userebbero il Taser. Se anche questo non funzionasse, sarebbero costretti a sparargli in una o in tutte e due le gambe per immobilizzarlo.

Ero sconcertata da quanto fosse familiare al Secret Service questo tipo di situazione. È triste che negli Stati Uniti si permetta alle persone con serie patologie mentali di commettere crimini prima di poterle curare. Per esempio: il signor Gonzalez, un veterano dell’esercito che è stato accusato di aver scalato il cancello della Casa Bianca armato di un coltello, soffriva di un disturbo post-traumatico da stress.

Però alcune serie malattie mentali rendono difficile alle persone malate valutare il proprio bisogno di cure, e alcune leggi impediscono a chi è loro vicino di ottenere che si curino. Le famiglie osservano i loro cari discendere, spesso lentamente, verso un baratro, ma le leggi non gli permettono di costringere una persona malata a curarsi finché questa non raggiunge un determinato stadio. Solo quando una persona diventa un pericolo, come viene deciso da un giudice durante un’udienza, può essere costretta a ricoverarsi. Ma a questo punto spesso è troppo tardi. Ogni tanto il miglior modo di neutralizzare un pericolo – ed evitare una tragedia – è prevenirlo.

Quando i diritti del malato vengono prima delle precauzioni necessarie, capita che le persone con serie malattie mentali muoiano: perché abbiamo protetto la loro libertà civile di poter restare malati mentali e rifiutare le cure. Di fatto molti muoiono: come mio figlio, che si è suicidato al terzo tentativo nel 2007. Ogni tanto fanno del male a qualcuno per strada. La tragica sparatoria al Washington Navy Yard, l’attacco al cinema di Aurora (in Colorado), il tentato assassinio di Gabby Giffords e il massacro della Virginia Tech hanno visto coinvolti assalitori malati mentali, che avevano un disperato bisogno di cure.

Per decenni le famiglie che hanno dei malati mentali hanno dovuto combattere contro un sistema che non funziona: specialmente quando si tratta di persone così malate da non riconoscere il loro problema e quindi rifiutare le cure. Adesso la proposta di una nuova legge cerca di rimuovere le difficoltà che incontrano queste famiglie quando cercano di salvare i loro cari. Allargherebbe l’accesso alle cure. Preverrebbe tragedie.

© Washington Post 2014