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  • Martedì 12 agosto 2014

Tre aggiornamenti sul guaio in Iraq

I curdi hanno fermato gli islamisti, decine di migliaia di yazidi sono ancora intrappolati, il governo di Baghdad è paralizzato da uno scontro interno che rischia di degenerare

In questi ultimi giorni l’Iraq sta vivendo una situazione molto complicata e difficile – più complicata e difficile del solito. Lo Stato Islamico, il gruppo di fondamentalisti musulmani che all’inizio di giugno è riuscito a conquistare gran parte del nord del paese, ha iniziato una nuova offensiva. Nei primi giorni di agosto si è scontrato con le milizie del Kurdistan ed è riuscito ad occupare diverse città, provocando un intervento aereo da parte dell’aviazione americana. L’offensiva ha anche costretto alla fuga decine di migliaia di yazidi, una setta di curdi che pratica un’antica religione. Alcune decina di migliaia di yazidi si sono rifugiate su una montagna al confine con la Siria, senza acqua né cibo a sufficienza. Come se questo non bastasse, a Baghdad il governo è paralizzato da un grave scontro tra l’attuale primo ministro sciita Nuri Al-Maliki e il presidente della repubblica, il curdo Fuad Masum.

Cosa succede a Baghdad
La situazione del governo iracheno al momento è la più complicata: ci sono un primo ministro, lo sciita Maliki, e un governo in carica, ma si tratta di un governo in quella che noi chiameremmo “amministrazione straordinaria” o “in carica solo per il disbrigo degli affari correnti”. Lo scorso aprile, infatti, ci sono state le elezioni parlamentari, ma a causa delle divisioni politiche da allora non è più stato formato un nuovo governo. Maliki quindi è rimasto in carica e vorrebbe che gli venisse affidato l’incarico per formare un terzo governo (quello attuale è il suo secondo: è in carica dal 2006). Il presidente della Repubblica, invece è contrario, così come sono contrarie molte altre forze politiche (qui avevamo spiegato questa complicata vicenda).

Maliki è stato molto criticato, in patria e all’estero, per le sue politiche molto favorevoli alla maggioranza sciita del paese che hanno alienato al governo le simpatie dei sunniti e hanno contribuito significativamente alle vittorie dello Stato Islamico. Maliki ha perso anche gran parte della sua legittimità internazionale, è stato criticato e mollato dagli Stati Uniti e, più recentemente, è stato anche abbandonato anche da un altro suo importante alleato, il regime iraniano (che è sciita, come Maliki). Domenica 10 agosto Maliki ha in qualche misura cercato di forzare la mano agli eventi. Dopo un discorso in televisione in cui prometteva di portare in tribunale il presidente della repubblica per aver violato la costituzione, Maliki ha fatto occupare Baghdad dalle forze di sicurezza e dalle milizie sciite a lui fedeli.

Masum ha risposto lunedì, incaricando un altro importante politico sciita di formare un nuovo governo. Si tratta di Haider al-Abadi, considerato vicino a Maliki e, almeno in passato, un suo alleato. È evidente, però, che Maliki ha perso molto supporto persino tra gli sciiti. La situazione, però, è ancora uno stallo. Formalmente il governo di Maliki è ancora in carica, mentre Abadi ha soltanto ricevuto una specie di pre-incarico. Maliki martedì si fatto fotografare a una riunione di militari, come a voler dimostrare che è ancora in grado di controllare una parte dell’esercito. Nonostante questa manifestazione di forza, in un discorso ha dichiarato che «l’esercito deve restare fuori dalla vita democratica del paese».

 

Che succede agli yazidi
All’inizio di agosto lo Stato Islamico ha lanciato a sorpresa un’offensiva contro una serie di città controllate dalle milizie curde (la parte nord-orientale dell’Iraq è di fatto controllata dalle milizie del Kurdistan, che si è reso quasi indipendente dal governo centrale). Uno di questi attacchi ha portato i miliziani dell’IS nella regione di Sinjar, dove vivono circa mezzo milione di yazidi, un gruppo di curdi che pratica una strana e antica religione. Almeno 500 yazidi sono stati uccisi mentre altre decine di migliaia sono stati costretti a rifugiarsi sul Jebel Sinjar, una piccola catena di montagne lunga una quarantina di chilometri in mezzo al deserto, non molto lontano dal confine siriano (qui avevamo raccontato la loro storia e qui potete vedere un reportage fotografico sulla loro difficile situazione).

Migliaia di yazidi sono rimasti assediati sul Jebel Sinjar per dieci giorni senza acqua, cibo e medicine. Aerei americani e inglesi, oltre a elicotteri dell’esercito iracheno, hanno trasportato rifornimenti agli yazidi assediati, cercando di evacuarne il più possibile mentre droni e aerei da guerra americani colpivano le postazioni dell’IS intorno alla montagna. L’aiuto principale agli yazidi, però, è arrivato da altri curdi. Numerosi miliziani del PKK (un gruppo che opera principalmente in Turchia e che è ancora considerato un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti) insieme ad altre milizie curde hanno attraversato il confine tra Siria e Iraq e sono riusciti ad aprire un corridoio umanitario per permettere agli yazidi di fuggire. Si calcola che negli ultimi giorni circa 35 mila yazidi siano riusciti a ritornare in Kurdistan compiendo una difficile marcia che li ha portati dal Jebel Sinjar in Siria e da lì di nuovo nel Kurdistan iracheno. Secondo l’ONU, però, altre decine di migliaia di yazidi sono ancora assediati sulla montagna in condizioni disperate.

E i curdi?
Lo sforzo principale dell’offensiva dell’IS è stato contro le milizie del Kurdistan iracheno, i cosiddetti Peshmerga. Nei primi giorni di agosto, sfruttando l’effetto sorpresa, i miliziani dello Stato Islamico sono riusciti a conquistare diverse città arrivando fino a una quarantina di chilometri da Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Dopo questa improvvisa avanzata gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire e alcuni aerei decollati da una portaerei hanno iniziato a colpire le postazioni di artiglieria e alcuni convogli dei miliziani islamici.

L’attacco americano, unito alla fine dell’effetto sorpresa, hanno permesso ai Peshmerga di contrattaccare, e riconquistare alcune delle città per all’inizio di agosto. Al momento la situazione sembra ritornata in equilibrio e in diverse località i Peshmerga affrontano i miliziani dello Stato Islamico a poca distanza, mentre continuano gli attacchi aerei americani.