• Mondo
  • Martedì 12 agosto 2014

L’immigrazione selettiva della Germania

È la meta più ambita in Europa e una delle prime al mondo: ha una legislazione molto permissiva, ma solo nei confronti degli immigrati altamente qualificati

(AFP PHOTO / NIKOLAY DOYCHINOV)
(AFP PHOTO / NIKOLAY DOYCHINOV)

Tra i paesi dell’Europa – nella maggior parte dei quali il dibattito sull’immigrazione sembra fermo o affidato alla retorica dei partiti di estrema destra, come in Francia o nel Regno Unito – la Germania rappresenta un caso piuttosto isolato e originale. Negli ultimi anni, infatti, la Germania ha modificato le sue politiche di migrazione con l’obiettivo di attrarre lavoratori altamente qualificati, non solo dall’Europa. I tempi dei cosiddetti “gastarbeiter“, i “lavoratori ospiti” che la Germania accolse per lavori poco qualificati dagli anni Cinquanta, sono insomma finiti, così come quel tipo di immigrazione. C’entra il fatto che la Germania ha la popolazione mediamente più vecchia d’Europa, che ha un tasso di natalità molto basso e che è il paese economicamente più solido e forte d’Europa.

Germania, primo paese d’Europa
Lo scorso maggio, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (in italiano OCSE) ha pubblicato un documento in cui si analizzano dimensioni, dinamiche e principali caratteristiche dei flussi migratori verso i 34 paesi che fanno parte dell’organizzazione, al 2012.

Il dato più rilevante è che la Germania è diventata il secondo paese dell’OCSE con il più alto flusso di immigrazione, dopo gli Stati Uniti, superando il Regno Unito e il Canada (nel 2009 la Germania era all’ottavo posto). Il flusso verso la Germania ha due caratteristiche: è “permanente”, composto cioè da persone cioè che si stabiliscono lì dopo aver acquisito il diritto di soggiorno permanente, e “altamente qualificato”: così in fatti l’OSCE definisce la quota maggiore di immigrati che si trasferisce in Germania. Nel 2012, rispetto al 2011, i flussi migratori verso la Germania sono aumentati di oltre un terzo. Tra il 2007 e il 2012 inoltre, è aumentato anche il tasso di occupazione tra gli immigrati passando dal 66 al 69 per cento.

GERMANIA

Ci sono tre elementi da prendere in considerazione come spiegazione di questi numeri: nella classifica dei paesi più prosperi del mondo compilata sempre dall’OCSE, la Germania ha ormai scavalcato Canada, Gran Bretagna, Italia e Spagna diventando perciò la meta più ambita dagli immigrati dopo gli Stati Uniti e certamente all’interno dell’Europa. A questo si devono aggiungere i risultati del primo censimento fatto in Germania negli ultimi 25 anni (sì: dalla caduta del Muro di Berlino non si era mai tenuto un censimento) da cui risulta che il paese ha un’età media molto alta ed è superato solo da Giappone e Italia: è stato calcolato che entro il 2050 spariranno tra i 12 e i 14 milioni di persone.

Inoltre, fatto ugualmente preoccupante, il tasso di natalità tedesco è tra i più bassi del mondo. Un esperto di processi demografici tedesco, Rainer Klingholz, amministratore delegato dell’Istituto di Berlino per la Popolazione e lo Sviluppo, durante un’intervista al settimanale Der Spiegel ha fatto notare che «nel 2030 andrà in pensione circa il doppio dei lavoratori presenti oggi all’interno del mercato del lavoro tedesco»  e che dunque le aziende tedesche non potranno sopravvivere senza immigrazione: «I tedeschi sanno che hanno bisogno di immigrati».

Storia e leggi
La Germania è passata attraverso diverse ondate di immigrazione, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta quando – a seguito del cosiddetto boom economico, della conseguente necessità di manodopera e grazie a una serie di accordi bilaterali di reclutamento con altri paesi – arrivò nel paese un gran numero di lavoratori che vennero impiegati per lavori poco qualificati: nell’industria mineraria, automobilistica e nell’edilizia. Vennero definiti gastarbeiter, cioè ospiti, erano principalmente uomini e provenivano soprattutto dall’Italia, dalla Spagna, dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dalla Turchia e dal Portogallo. Verso la fine degli anni Ottanta, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, giunse in Germania un numero sempre maggiore di persone di origine tedesca residenti a est.

Nel tentativo di bloccare e regolamentare queste ondate, dagli anni Settanta, le leggi e la burocrazia tedesche sono state particolarmente poco favorevoli all’immigrazione. Ci sono state naturalmente varie fasi: la fine del “miracolo economico” e la crisi petrolifera mondiale portarono nel 1973 a una legge che bloccava il reclutamento di lavoratori immigrati, poi sono arrivati gli anni della stabilità e dell’impegno per l’integrazione e, infine, a partire dal 1990 gli anni dell’esclusione. E questo fino ai primi anni del Duemila quando le leggi sono state modificate piuttosto rapidamente. Come ha scritto Reuters, «la Germania ha oggi una delle legislazioni più permissive per l’immigrazione di lavoratori molto qualificati» tra i membri OCSE.

Dal 2013, come nel resto d’Europa, è stata introdotta la “Blue Card”, legata a uno stipendio minimo e al titolo di istruzione. A questo la Germania ha affiancato, sempre dal 2013, un programma speciale rivolto ai giovani disoccupati europei tra i 18 ei 35 anni offrendo sussidi e formazione professionale (il programma ha avuto talmente successo che nel mese di aprile lo ha dovuto sospendere). Sta finanziando dei corsi di lingua gratuiti, sta anche aprendo dei “centri di accoglienza” per i nuovi arrivati, ha reso più semplice il riconoscimento dei titoli di studio e ha velocizzato le procedure per rilasciare i visti per motivi di lavoro, anche per i cittadini extracomunitari. Tutto questo con un preciso obiettivo: facilitare l’immigrazione di lavoratori qualificati e di accademici, lasciando invece il mercato del lavoro chiuso per i lavoratori non qualificati.

Permangono numerose problemi legati all’integrazione, a quella turca in particolar modo (la comunità turca in Germania è una delle più numerose), ma è stata introdotta la possibilità per i bambini nati dopo il primo gennaio 2000 su suolo tedesco da genitori non tedeschi di acquisire la nazionalità se almeno uno dei due genitori ha il permesso di soggiorno permanente da tre anni (lo ius soli, insomma). Nel luglio del 2014 la camera bassa del Parlamento ha inoltre votato (con 463 si e 111 no) una nuova legge per facilitare l’accesso alla doppia nazionalità per i figli degli immigrati residenti sul territorio tedesco. Finora, i figli degli stranieri nati in Germania dovevano scegliere tra la nazionalità dei loro genitori e quella tedesca. Ora invece potranno avere due passaporti se hanno vissuto almeno otto anni in Germania o se hanno frequentato le scuole per almeno sei anni.