• Giovedì 20 giugno 2013

Maturità 2013: la traduzione della versione di latino della seconda prova

Il testo di Quintiliano, tratto dal decimo libro dell'Institutio oratoria, e la traduzione in italiano

Il testo della versione di latino al liceo classico per la seconda prova di maturità degli esami di maturità del 2013, è di Quintiliano, tratta dal decimo libro dell’Institutio oratoria (il passo preciso è X, 1, 45-49), la sua opera maggiore.

Testo

Sed nunc genera ipsa lectionum, quae praecipue conuenire in tendentibus ut oratores fiant existimem, persequor. Igitur, ut Aratus ab Ioue incipiendum putat, ita nos rite coepturi ab Homero uidemur. Hic enim, quem ad modum ex Oceano dicit ipse amnium fontiumque cursus initium capere, omnibus eloquentiae partibus exemplum et ortum dedit. Hunc nemo in magnis rebus sublimitate, in paruis proprietate superauerit. Idem laetus ac pressus, iucundus et grauis, tum copia tum breuitate mirabilis, nec poetica modo sed oratoria uirtute eminentissimus. Nam ut de laudibus exhortationibus consolationibus taceam, nonne uel nonus liber, quo missa ad Achillem legatio continetur, uel in primo inter duces illa contentio uel dictae in secundo sententiae omnis litium atque consiliorum explicant artes? Adfectus quidem uel illos mites uel hos concitatos nemo erit tam indoctus qui non in sua potestate hunc auctorem habuisse fateatur. Age uero, non utriusque operis ingressu in paucissimis uersibus legem prohoemiorum non dico seruauit sed constituit? Nam et beniuolum auditorem inuocatione dearum quas praesidere uatibus creditum est et intentum proposita rerum magnitudine et docilem summa celeriter comprensa facit. Narrare uero quis breuius quam qui mortem nuntiat Patrocli, quis significantius potest quam qui Curetum Aetolorumque proelium exponit?

Traduzione

Ma ora passo in esame i generi stessi di lettura, che, a mio parere, più degli altri si convengono a chi si sforza di diventare oratore. Dunque, come Arato pensa che da Giove ogni principio trar si convenga, così a noi pare di dover prendere le mosse ragionevolmente da Omero. Perché questi, come da sé stesso dichiara che fiumi e fonti nascono dall’Oceano, così diede esempi e origine a tutte le parti dell’eloquenza. E nessuno può superarlo per sublimità nelle cose grandi e per proprietà nelle piccole. Egli è poeta, che può essere copioso e sobrio, gradevole e grave, meraviglioso ora per ricchezza ora per concisione di stile ed altissimo non solo per virtù poetica, ma anche per virtù oratoria. Infatti, per tacere delle lodi, delle parenesi, delle consolatorie, forse che nel nono libro, quello cioè dell’ambasceria ad Achille, o nel primo, che tratta della celebre contesa tra i capi, o nei pensieri del secondo non sono comprese e sviluppate tutte le arti dell’eloquenza forense e deliberativa? Certo, quanto agli affetti smorzati e a quelli concitati, non ci sarà alcuno così ignorante, da non ammettere che questo scrittore li abbia maneggiati da padrone. Ma suvvia! All’inizio di ambedue i poemi, non ha egli non dico rispettato, ma creato la legge degli esordi limitati a pochissimi versi? In sostanza, egli si rende benevolo chi ascolta, invocando le divinità credute protettrici dei poeti, ne suscita l’interesse col porgli innanzi la grandiosità dei fatti e lo rende ben disposto a seguirlo, comprendendo in poche parole la trama generale. E chi saprebbe raccontare con maggior concisione di quanto non fa il messaggero della morte di Patroclo, chi con più evidenza di colui che racconta la battaglia tra Cureti ed Etoli?

Traduzione tratta da Marco Fabio Quintiliano, L’istituzione oratoria, a cura di Rino Faranda, Torino, UTET, 1968, vol. II, p. 403

Foto: LaPresse