La lezione della Germania sul lavoro

Carlo Bastasin spiega sul Sole24Ore perché la rinuncia alle attuali garanzie può essere un'opportunità, anche conveniente

Sul Sole24Oredi oggi, Carlo Bastasin spiega che una riforma del mercato del lavoro in Italia può essere giustificata dall’esperienza tedesca. Durante la crisi del 2008 la Germania si era trovata in difficoltà, ha completato alcune riforme e ora la disoccupazione è ai minimi degli ultimi trent’anni. Un esempio incoraggiante, che non è detto che possa ripetersi anche in Italia, ma che dimostra che la rinuncia alle garanzie può essere anche «materia di convenienza».

Come è noto, nei primi dieci anni dell’euro l’Italia ha perso circa il 30% di competitività rispetto alla Germania. Si tratta di un calcolo che normalmente viene fatto considerando il costo unitario del lavoro, la componente più importante nei paragoni internazionali. La divergenza tra i due paesi ha fatto pensare a due sistemi economici troppo diversi per tornare a convivere anche una volta che fosse finita la fase più acuta della crisi dell’euro area. Tuttavia, se si calcola la competitività di Italia e Germania come la differenza nei prezzi finali a cui le merci e i servizi sono stati venduti dai due paesi sui mercati internazionali, la differenza è stata minima, di solo pochi punti percentuali. E in fondo è quello che ci dice la bilancia con l’estero dell’Italia che registra un passivo tuttaltro che irrimediabile.
Quello che è successo in Italia è che il mantenimento di salari rigidi ed elevati per una fascia di lavoratori è stato pagato dalla fascia meno protetta, spesso immigrati, giovani, donne e lavoratori in nero.
La differenza tra flessibilità e precarietà si è rivelata nell’incapacità dell’economia italiana di riprendersi nel 2009-2011 e di recuperare il livello di attività precedente. A lungo andare infatti la coesistenza di due sistemi – uno rigido e uno totalmente precario – si rompe. Quando il settore precario viene cancellato da una crisi, l’economia diventa così debole che anche il settore protetto finisce per non essere più sostenibile.
L’esempio tedesco è speculare. Dopo una lunga serie di riforme, alla fine del 2008 la crisi è stata affrontata introducendo sistemi di impiego a part time dei lavori regolari. La forza lavoro è rimasta in attività fino a quando, dopo meno di sei mesi, non è stato possibile riprendere i normali cicli produttivi. Una riforma del mercato del lavoro in Italia sembra quindi giustificata dall’esperienza tedesca. Ma un dubbio è legittimo: sarà una rincorsa senza fine verso il basso? bisognerà continuare a ridurre i salari e le garanzie per rincorrere i terribili tedeschi?

(Continua a leggere sul sito del Sole 24 Ore)