L’Europa che non esiste

Sulle rivolte nordafricane isolate e timide iniziative sparse e nessun appoggio o contraltare all'iniziativa americana

Il sito Presseurop ha tradotto in questi giorni due diversi articoli da quotidiani europei – lo spagnolo El Pais e il tedesco Frankfurter Rundschau – che in modi diversi sottolineano la totale inadeguatezza dell’Europa di fronte alle rivolte nordafricane di queste settimane.

Mentre i popoli della sponda meridionale del Mediterraneo lottano per riconquistare la propria dignità, noi europei dilapidiamo la nostra come se niente fosse. In politica estera il termine dottrina definisce l’intenzione di raggruppare sotto uno stesso principio di attuazione una serie di avvenimenti che presentano problematiche simili. Nel 1947 il presidente americano Harry Truman annunciava che il suo governo avrebbe sostenuto “i popoli liberi che resistono ai tentativi di soggiogamento da parte di minoranze armate o pressioni esterne”.
Nel 1968 la dottrina Breznev consentiva all’Unione sovietica di intervenire militarmente per ripristinare l’ordine socialista nei paesi dell’Europa centro-orientale. Il sigillo alla conclusione delle guerra fredda arrivò nel 1989, quando il portavoce di Gorbaciov, interrogato a proposito della dottrina Breznev in relazione alle riforme democratiche in Ungheria e Polonia, rispose inaspettatamente dicendo che in primo luogo sarebbe stata valida la “dottrina Sinatra”, alludendo alla canzone “My way” (A modo mio). Da quel momento nella regione si innescò un effetto domino democratizzatore.
Oggi l’Unione europea, anziché elaborare una dottrina per rispondere alle rivoluzioni arabe, avanza in punta di piedi in mezzo ai tumulti. La dottrina dell’Europa non ha un nome, a causa di una clamorosa mancanza di leadership a tutti i livelli: nelle capitali, dove i governanti si guardano l’un l’altro con la coda dell’occhio e nessuno vuole essere il primo a scommettere sul cambiamento; e a Bruxelles, dove neanche Catherine Ashton ha voluto prendersi alcun rischio. La crisi attuale avrebbe potuto essere per Ashton un’opportunità di reinventarsi, invece la baronessa ha accettato con totale sottomissione di essere un semplice portavoce di ciò che i ventisette decretano all’unanimità, per cui non ci sarà una “dottrina Ashton”.

(continua a leggere l’articolo del Pais su Presseurop)

L’Unione europea chiede la fine delle violenze in Libia e l’apertura del dialogo tra i manifestanti e il governo. Queste dichiarazioni sono state fatte dai ministri degli esteri all’inizio della settimana e sono state ripetute i giorni successivi dalla Commissione europea e da Catherine Ashton, capo della diplomazia europea, durante il suo soggiorno al Cairo. La fine delle violenze e il dialogo fanno l’unanimità. Nessuno vi trova nulla da ridire. È come il progresso, la lotta contro la pedofilia e l’onestà in politica: chi non è a favore?
L’intelligenza consiste nel non ripetere gli stessi errori. Ma a quanto pare l’Unione europea non è intelligente: per troppo tempo ha sostenuto tiranni corrotti, come in Tunisia e in Egitto, e questi ricordi le rimarranno incollati addosso per molto tempo.
Con la Libia l’Unione europea si sbaglia ancora una volta: da tempo avrebbe potuto imporre sanzioni contro il clan Gheddafi ed esprimere la sua solidarietà ai manifestanti. Ma l’Italia si è opposta. Roma ha bisogno della Libia come fornitore di energia e baluardo contro l’immigrazione. Ma la Germania non usa mezzi termini: Gheddafi deve andarsene. Anche la Francia raccomanda ormai la linea dura. Ma la politica estera europea rimane una farsa, un’impostura degna della tesi di dottorato di Karl-Theodor zu Guttenberg: tutto fumo, niente arrosto.

(continua a leggere l’articolo del Frankfurter Rundschau su Presseurop)