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  • Venerdì 5 novembre 2010

Vigilia di elezioni in Birmania

Il 25 per cento dei seggi del parlamento andrà di diritto a membri della giunta militare

Domenica prossima, il 7 novembre, i cittadini birmani torneranno a votare per la prima volta dopo vent’anni. L’ultima volta, nel 1990, le elezioni erano state vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, a cui l’esercito non ha mai consentito di prendere il potere. La Birmania è governata da un regime militare dal 1962.

Dissidenti, governi stranieri e diversi osservatori internazionali tra cui l’ONU hanno chiesto a lungo queste nuove elezioni, che però si annunciano una farsa. Il 25 per cento dei seggi del parlamento andrà di diritto a membri della giunta militare, e solo il restante 75 per cento sarà eleggibile attraverso il voto. Nell’aprile scorso, inoltre, diversi militari si sono dimessi dai loro incarichi per partecipare al voto come civili e aumentare così le possibilità di essere eletti.

Suu Kyi ha passato quattordici degli ultimi vent’anni agli arresti domiciliari, e le leggi emanate dal governo non le hanno permesso di candidarsi alle elezioni. La stessa data scelta non sembra essere casuale: i suoi arresti domiciliari finiranno il 13 novembre, proprio una settimana dopo il voto. Oggi il New York Times racconta l’aria che si respira in questi giorni in Birmania.

Non ci sono stati dibattiti, la stampa è sotto censura e i partiti devono ottenere il permesso dal governo con settimane di anticipo per poter organizzare manifestazioni elettorali. Anche la comunicazione via Internet è stata distrutta, con i portali che periodicamente vengono sopraffatti da enormi flussi di dati che rendono la comunicazione di fatto impossibile. Anche se il responsabile di questi blocchi non è stato identificato, i sospetti si concentrano sul governo che non consente ai giornalisti occidentali di coprire le elezioni dall’interno e che in generale cerca di impedire qualsiasi collegamento di Myanmar con il mondo esterno.

Nonostante questo, racconta il New York Times, molti cittadini sembrano comunque nutrire qualche speranza in più per il futuro. Abituati a decenni di repressione, misurano la speranza e il progresso con una soglia più bassa di quella mediamente considerata e alcuni di loro vedono in queste elezioni i semi per un sistema autoritario meno rigido. «In futuro speriamo di poter far sentire di più la nostra voce», ha detto Yuza Maw Htoon, uno degli ottantadue candidati indipendenti che corrono per un posto in Parlamento, «all’inizio le persone erano impaurite quando distribuivamo i primi volantini, ora sono loro a chiederceli, ci dicono: “Forza! Forza!”».

Questo è quello che potrebbe succedere se ci sarà davvero qualche cambiamento: nel nuovo sistema politico, il budget del governo, che finora è stato trattato come un segreto di stato, potrebbe essere discusso in Parlamento. L’economia, che finora è stata quasi interamente controllata dalla giunta militare, potrebbe essere in parte liberalizzata, consentendo a Myanmar di seguire il cammino intrapreso da paesi come il Vietnam e la Cina, dove le libertà politiche restano scarse ma l’economia rifiorisce e i redditi aumentano.

Oltre 3.100 candidati si contenderanno i 1.150 seggi parlamentari. La maggioranza dei candidati appartiene ai due principali partiti sostenuti dalla giunta militare: il Partito per lo Sviluppo e l’Unione Solidale e il Partito per l’Unità Nazionale. Suu Kyi ha deciso di non candidarsi e boicottare le elezioni, ma diversi membri del suo vecchio partito NLD si sono riuniti formando un nuovo gruppo, la Forza Nazionale per la Democrazia, che domenica si presenterà alle elezioni insieme a una dozzina di altri partiti più piccoli. Con la speranza che almeno alcuni seggi parlamentari possano essere occupati da esponenti civili e non soltanto da militari.


Richard Horsey, ex rappresentante delle Nazioni Unite a Myanmar, ha detto che una rivalità tra i due principali partiti appoggiati dalla giunta militare potrebbe rendere il regime meno monolitico. «La legislazione sarà sempre dominata da un nazionalismo di stampo conservatore e autoritario ma certamente non si tratterà soltanto di un fac-simile dell’attuale governo in abiti civili», ha scritto in un’analisi.

Le elezioni sono parte del cammino verso la democrazia che i generali di Myanmar hanno intrapreso sotto la spinta delle Nazioni Unite e di altri governi stranieri, principalmente occidentali. Ma non è chiaro come mai l’attuale leader del regime, il generale Than Shwe, che ha quasi ottanta anni, vorrebbe rinunciare al suo potere assoluto. Alcuni analisi dicono che le elezioni sono solo parte del suo piano di successione, una strategia per diffondere il potere e addolcire la sua eredità dittatoriale.

In ogni caso, è molto difficile prevedere quello che davvero faranno domenica le persone. Il regime ha bandito qualsiasi sondaggio e i giornalisti stranieri sono costretti a intervistare le persone in segreto. Per le strade ci sono pochissimi manifesti elettorali e la vecchia capitale Rangoon è particolarmente tranquilla la sera, secondo alcuni abitanti per paura che possano esplodere da un momento all’altro violenze legate al voto. La Commissione Elettorale ha anche deciso la chiusura di un certo numero di seggi in alcuni distretti del nord del paese che potrebbero essere troppo influenzati dal controllo dei gruppi etnici. Il giornalista Marc McKinnon – una delle fonti più esperte e aggiornate su quello che succede in Birmania – oggi su Twitter ha scritto che alcuni monaci di Rangoon che nel 2007 avevano partecipato alla «Rivoluzione Zafferano» sono stati costretti a lasciare i monasteri e tornare nelle loro abitazioni prima delle elezioni di domenica e che la polizia sta fotografando tutte le persone che entrano nel quartier generale del partito NLD.

Negli ultimi mesi i media di stato hanno cercato di dare risalto agli obiettivi raggiunti dal governo militare, mostrando immagini di nuovi ospedali, piste di atterraggio e fabbriche. “The New Light of Myanmar”, uno dei giornali controllati dalla giunta, ha pubblicato un articolo scrivendo che tutti i precedenti monarchi del paese nell’insieme non sono riusciti a totalizzare il numero di dighe costruite dall’attuale governo: appena 62 contro 233. Eppure la vita quotidiana dei cittadini birmani è lontana anni luce dalla realtà del progresso: i blackout elettrici sono continui e le strade delle città sono piene di edifici che sembrano sul punto di crollare da un momento all’altro. La maggior parte delle persone che vivono nelle campagne soffre di problemi di malnutrizione e la vita media è di sessanta anni, dieci anni in meno rispetto alla vicina Thailandia.

Agli abitanti della ottantasettesima strada di Rangoon, piccola ma densamente popolata, alcuni rappresentanti del Partito per lo Sviluppo e l’Unione Solidale (uno dei due partiti supportati dalla giunta militare, ndr) avevano detto che avrebbero asfaltato quella strada se avessero raccolto cinquecento voti per loro. Stanchi di fango e polvere, gli abitanti decisero di accettare e riempirono le schede elettorali che i membri del partito avevano già consegnato loro. I lavori iniziarono e gli operai iniziarono a gettare il cemento sulla strada. Poi, improvvisamente, tutto si fermò: il partito si era accorto che le schede elettorali raccolte erano soltanto cento. Ora la strada è asfaltata solo a metà, gli abitanti sperano che qualcuno torni a finire il lavoro prima o poi.