Siamo lo stesso coinvolti

Aldo Grasso prova a ricordare che qualcosa non va bene nel modo in cui i media hanno usato la storia di Sarah Scazzi

Stamattina sul Corriere della Sera Aldo Grasso invita tutti a mettere un pensiero sulla propria complicità diretta o indiretta con il circo mediatico e l’attenzione morbosa che si sono creati intorno all’omicidio di Sarah Scazzi.

L’hanno portata via incappucciata per evitare telecamere e giornalisti. Gesto più simbolico non poteva esserci per Sabrina Misseri, la cugina di Sarah. Sabrina da ieri sera è agli arresti. Dopo giorni e giorni di sovraesposizione televisiva, il cappuccio diventa una sorta di contrappasso. Come spesso succede, l’omicidio di Sarah si è ben presto trasformato in un osceno circo mediatico, dove ognuno ha dato il peggio di sé. Con la scusa di aiutare il pubblico a capire. Con la suprema ipocrisia di non ammettere che di fronte a una storia simile, che nessuna fiction avrebbe mai il coraggio di mettere in scena, la morbosità fa premio sulla reticenza. Da quella sera in cui mamma Concetta ha appreso in diretta la tragica fine della figlia, i media hanno continuato a illuminare la scena del delitto e il retroscena famigliare, essendo ormai caduta la distinzione che separa la vita reale da quella rappresentata.

In tv le cose si complicano non poco perché il contesto e l’assenza di una qualsiasi mediazione estetica contribuiscono a far crollare alcune barriere di pudore, di misericordia capaci di mettere al riparo i triboli esibiti dalla speculazione e dallo spettro dell’audience. Ecco le interviste dello «zio orco», le apparizioni di Sabrina nel salotto di Barbara D’Urso, dove ha trovato conforto e comprensione. Il fratello di Sarah ha invece preferito La vita in diretta. Porta a porta, Matrix, telegiornali e giornali, radio e riviste, tutti si sono buttati a capofitto su una storia così tragica e torbida. Qualcuno ha parlato di sovraesposizione barbarica. Ma forse dovremmo avere il coraggio di ammettere che i meno colpevoli sono proprio i protagonisti di questa brutta storia.

(continua a leggere sul Corriere della Serapdf)