Chi vorrà prendersi questa croce?

La situazione è talmente grave ed estrema – figurarsi, un presidente della repubblica costretto a intervenire per modificare un provvedimento mentre è all’esame del parlamento: è davvero saltata ogni minima regola – che passa perfino la voglia di fermarsi a rimarcare la follia insita nell’ultima mossa disperata del governo.

In mezza giornata la manovra che solo lunedì era «chiusa» è stata stravolta. E sono stati cancellati capisaldi intorno ai quali Tremonti, Bossi e Berlusconi s’erano arroccati per settimane, facendo perdere all’Italia un’enormità di tempo, di denaro, di credibilità. Avevano detto che non si poteva ritoccare l’Iva: l’hanno alzata. Avevano detto che non volevano appesantire l’Irpef: lo fanno, anche se solo contro lo 0,03 per cento dei contribuenti. Avevano detto che le pensioni non si toccavano: aumenta l’età minima di pensionamento per le donne. Avevano anche detto, promesso, che non avrebbero fatto ricorso alla fiducia: l’hanno messa ieri. Ma di questo ci occupiamo più avanti.

Ecco poi, mentre si affastellano misure che fino a ieri venivano escluse drasticamente, che ne spariscono altre sulle quali invece s’era giurato: quelle sui costi della politica, sulle liberalizzazioni, sulla lotta all’evasione fiscale. Il fatto più grave: tutti i draconiani provvedimenti decisi ieri, intorno ai quali s’erano svolte fin qui battaglie campali, appaiono già oggi un argine fragile, quasi inconsistente, di fronte all’ondata che si profila all’orizzonte. Non siamo padroni del nostro destino. I padroni sono a Francoforte, a Berlino. E ci colpiranno ancora, perché hanno deciso che non è più una questione di misure più o meno incisive: è la questione di un ex-grande paese da ridurre alla ragione con le cattive perché i suoi vizi antichi e la sua classe di governo attuale rappresentano un pericolo per l’Europa intera.

Esiste un’alternativa a questa prospettiva catastrofica? Quale ruolo giocano e possono giocare le opposizioni politiche e sociali, di cui ieri s’è vista tanta parte nelle piazze italiane? Per quanto possa apparire brutale, va detto che la scelta di mettere la fiducia al senato, contestata dalle opposizioni, in realtà le solleva da un passaggio gravoso.

Se dare un giudizio sulle misure economiche è quasi impossibile, vista la loro volatilità e varietà, ciò che centrosinistra e Terzo polo possono affermare facilmente è che non si può concedere alcuna fiducia a Berlusconi. Il loro senso di responsabilità è stato ampiamente messo alla prova: ora, al momento di applicarlo a un voto parlamentare, lo stato politico catastrofico della maggioranza li libera dall’imbarazzo. È un sollievo per loro (ed è l’esito che era ampiamente prevedibile), ma non è una buona notizia per gli italiani. Analogamente, nella società: ieri la Cgil ha riempito le sue piazze, dando voce a una esasperazione che va oltre i confini del sindacato della Camusso. Di tante cose della manovra che vanno e vengono, l’unica che viene difesa coi denti è quell’intervento sul mercato del lavoro che ormai si giustifica solo con motivi politici e ideologici: al governo serve avere la Cgil come avversaria irriducibile.

L’ossessione di Sacconi rischia però di ritorcersi contro: nella sua follia, il governo ha infatti tradito su Iva e pensioni l’intesa raggiunta con Cisl e Uil. Sicché la manovra alla fine avrà contro tutte le confederazioni, e un clima sociale surriscaldato. Se serviva qualche altro fattore per avvicinarci alla Grecia, eccoci serviti.

Ci sono possibili alternative, segnali positivi da raccogliere? L’iniziativa assunta lunedì sera dal capo dello stato, al termine di una giornata drammatica per i mercati, è stata talmente straordinaria da far ritenere che Napolitano non si fermerà qui. Ammesso che si possa mettere un punto nella vicenda della manovra, non appena quel punto sarà stato messo si può immaginare che il Quirinale voglia prendere di petto l’inadeguatezza del quadro politico.

Quello sarà il momento della verità. Non solo perché potrebbe sciogliersi la matassa di rancori, recriminazioni e vere e proprie incompatibilità nella quale si è avvolto il centrodestra. Ma anche perché emergerà un altro problema, fin qui reso invisibile dall’ostinazione di Berlusconi nel rimanere al proprio posto: chi vorrebbe, oggi, essere in quel posto? Quale personalità – politica o tecnica, conta poco – sana di mente e dotata di amor proprio, vorrebbe caricarsi una croce che l’incompetenza altrui ha reso pesante al limite delle umane possibilità? Qualche giorno fa, seduto accanto a Bersani per un dibattito, ho avuto la netta impressione che il segretario del Pd stesse per esprimere esattamente questo concetto, prima che l’opportunità ne frenasse comprensibilmente lo slancio di sincerità. E parliamo del leader di un partito che secondo ogni sondaggio vincerebbe oggi le elezioni, quindi di un uomo che con quella prospettiva anche personale deve aver fatto i conti.

Ecco, forse quello che spaventa di più adesso è proprio la sproporzione fra la gravità della crisi nazionale, e la forza che i singoli attori possono mettere in campo. Chi è consapevole di questo drammatico gap ragiona su una transizione condivisa (prima o dopo il passaggio elettorale) dalla quale nessuno possa tirarsi fuori per lucrare sulle difficoltà collettive.

Non c’è dubbio che Napolitano si spenderebbe per una soluzione del genere, e con lui la grande maggioranza degli italiani vi guarderebbe con speranza. Ma se confrontiamo questo scenario ipotetico con la realtà attuale – così frammentata, dove i due schieramenti non dialogano, dove non c’è neanche unità d’azione fra i partiti dell’opposizione e dove è venuta meno anche la preziosissima alleanza fra sindacati e parti sociali – ci rendiamo conto che oltre a essere pesante di per sé, il presente rischia di compromettere la nostra unica possibile via d’uscita nel prossimo futuro.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.